SIBILLA ALERAMO
Rina
Marta Felicina Faccio nasce ad Alessandria il 14 agosto 1876 da
Ambrogio, ingegnere (+ 1927) e Ernesta Cottino (+1917); trasferita
la famiglia a Milano quand'era ancora bambina, vi compie gli studi.
Dal 1887 abita a Portocivitanova (l'attuale Civitanova Marche).
Il padre professa l'ateismo e trasmette molta della propria personalità
alla figlia, che in seguito ne rimarrà delusa e se ne allontanerà
quando scopre che lui mantiene una relazione extraconiugale. La
madre, debole e infelice, dopo un tentativo di suicidio rimane
inferma di mente. Rina è la maggiore di quattro figli e
sin dai dodici anni aiuta il padre nel lavoro: dirige una vetreria
a Civitanova Marche. Rina è felice nell'adolescenza, le
piace aiutare il padre, è considerata da tutti la padrona
di casa poichè la madre è assente per lunghi periodi
(internata); Rina scrive di tutto, solo per se stessa, dalle poesie
ai pensieri.
E' ancora adolescente quando viene costretta a subire le attenzioni
di un impiegato della fabbrica, Ulderico Pierangeli, ed è
il dramma della sua vita: incinta, è costretta al matrimonio
riparatore (che avviene il 21 gennaio 1993). Il bambino poi non
nasce, ma nel 1895 avrà Walter, un figlio amato ma che
poi abbandonerà quando decide di rompere il matrimonio.
Ne
frattempo continua a scrivere; collabora al giornaletto locale
con resoconti di avvenimenti e feste mondane. Il marito è
un bruto povero di spirito, che la contrasta, soprattutto dopo
che Rina si interessa assai attivamente al femminismo nascente.
Scrive una serie di articoli al proposito, ed entra in polemica
con Neera, all'epoca sulla cresta dell'onda, accusandola di rappresentare
la condizione femminile in maniera caricaturale e di negare che
la donna abbia in sé le forze per sottrarsi alla retriva
condizione di asservimento all'uomo.
Nel 1899 la famiglia si trasferisce a Milano, dove Rina era vissuta
da bambina. Scrive su Vita moderna e Vita internazionale;
dirige per qualche tempo L'Italia femminile dove tiene
una rubrica intitolata "In salotto" e firmata con lo
pseudonimo di Favilla. Nel 1900 il marito vuole tornare a Civitanova
Marche e per Rina questo è troppo. Già si era ridotta
ad un non ben chiaro tentativo di suicidio (forse indotto proprio
dal marito), ed ora decide che è arrivato il momento di
liberarsi dalle pastoie di un matrimonio che è ben peggiore
di 'non riuscito'. Nel 1902 abbandona il marito e dunque anche
il figlio; farà il tentativo di di averlo con sé,
ma inutilmente. Lo rivedrà solo nel 1933.
Si
trasferisce a Roma. E' Giovanni Cena, poeta e romanziere,
nonchè direttore della Nuova Antologia, che sceglie
per lei il nome con il quale sarà conosciuta: Sibilla Aleramo
(dalla 'terra d'Aleramo' della poesia carducciana Piemonte).
Nel 1906 pubblica Una donna, sorta di dolorosa
autobiografia che desta estrema attenzione nei critici e, insieme
con un notevole scalpore, la rende nota al grande pubblico. L'evoluzione
del suo pensiero la fa transitare al socialismo, e insieme con
Cena e i coniugi Celli si adopera fattivamente per la bonifica
dell'Agro Pontino e per l'assistenza ai 'guitti', i poverissimi
braccianti sfruttati dai latifondisti. Su questo impegno umanitario
vengono pubblicati sulla Nuova Antologia numerosi articoli
firmati NEMI, pseudonimo collettivo della redazione (in realtà
il gruppo di intellettuali che si occuparono dell'Agro Pontino
era assai più vasto e comprendeva anche Giacomo Balla e
Duilio Cambellotti). In seguito Sibilla si occuperà quotidianamente
e con abnegazione dei
problemi dell'infanzia povera e bisognosa al Testaccio.
L'impegno
sociale di questi primi anni del secolo riaffiorerà molto
più tardi, quando si volgerà al partito comunista
del dopoguerra.
E' Cena che la influenza maggiormente sul piano letterario, ma
è anche colui che la fa sentire per la prima volta necessaria
ed amata. Per lui lei corregge le bozze quindicinali della Nuova
Antologia, e con lui frequenta un cenacolo letterario di tutto
rispetto, non solo: la coppia presiede uno dei principali salotti
romani.
Una donna ottiene commenti di eccellenza. Luigi
Pirandello (che non si perita di tratteggiare la caricatura di
Grazia Deledda) commenta così: "Pochi romanzi moderni
io ho letti che racchiudano come questo un dramma così
grave e profondo nella sua semplicità e lo rappresentino
con pari arte, in una forma così nobile e schietta, con
tanta misura e tanta potenza." Dalla sua prima pubblicazione,
il titolo non ha mai cessato - a tutt'oggi - di essere ristampato.
Lo
scultore Leonardo Bistolfi le fa il ritratto per la moneta da
venti centesimi.
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Sibilla
Aleramo nel 1902
Il
figlio Walter
Giovanni
Cena
(1870-1917).
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Busto
nudo a s. con spiga alta nella d. sormontata dalla scritta ITALIA
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Libertà
librantesi a s. con face
su stemma coronato, davanti valore,
data e R nel giro del basso
L.BISTOLFI M. / L.GIORGI INC.
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Autoritratto
di
Leonardo Bistolfi
(1859-1933)
scultore, incisore, pittore
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Il
disegno originale
di Leonardo Bistolfi
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La
moneta da 20 centesimi Vittorio Emanuele III coniata nel 1908
nella zecca di
Roma, in vigore sino al 1935
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Sibilla
Aleramo nel 1919
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L'ultima 'missione' umanitaria di Cena e di Sibilla è il
viaggio nelle zone terremotate nel dicembre 1908. Vi sono stati
chiamati dall'amico Gaetano Salvemini, che aveva perso la moglie
e i cinque figli. E' l'ultimo atto della relazione Cena-Aleramo,
perchè Sibilla conosce Lina Poletti, soprannominata "la
favola". La ravennate Lina lavora alla Biblioteca Classense
ed è tramite gli incontri letterari da questa organizzati
che conosce Sibilla, e se ne innamora. Quasi le si impone. Sibilla
ama in lei l'amore suscitato in un'altra persona, la sua passione
è intellettuale. Nel 1909 Sibilla incontra un giovanissimo
poeta, Nazareno Caldarelli, che si firma Vincenzo Cardarelli.
L'anno seguente interrompe le relazioni sia con Cena sia con la
Poletti, che diventa l'amante di Eleonora Duse.
Nel
1911 Sibilla va a vivere a Firenze insieme con Cardarelli, ma
la loro relazione è platonica. All'epoca lei collabora
a La Tribuna e La Voce. Frequenta come sempre l'ambiente
letterario, tra cui Scipio Slataper, Valéry Larbaud, André
Gide, e Giovanni
Papini, direttore de La Voce dal 1912, amico di Giovanni
Cena, e che per un breve periodo è suo amante. Scrive articoli
che più avanti raccoglierà sotto il titolo di Andando
e stando e il monologo Trasfigurazione.
Ma è incapace di fissarsi in un posto, deve sempre cambiare
luogo, città. Si trasferisce a Sorrento dove conta di scrivere
il secondo tomo della sua autobiografia, Il passaggio,
che tuttavia completerà solo nel 1919. Viene in contatto
con Benedetto Croce, che senza mezzi termini le fa capire di non
apprezzare troppo la sua prosa, ma i due si scrivono anche per
dialogare su questioni personali. A parte gli amanti del mondo
artistico e letterario, Sibilla ne ha degli altri, che vanno e
vengono nella sua vita disordinata lasciando ai posteri come segno
tangibile della loro presenza ciò che ispirano a Sibilla:
racconti, poesie, lettere, quasi tutte inedite e lasciate al fondo
Gramsci. Nel 1913 è la volta di Umberto Boccioni, conosciuto
a Milano, che la porta nel movimento futurista presieduto da Marinetti.
Sibilla non è una donna appassionata, il suo rapporto con
gli uomini è tutto intellettuale, a modo suo, e ciò
li porta a lasciarla. Dopo la terza notte d'amore Boccioni non
ne può più e la lascia, bollandola come una melensa
sentimentale; ciò la induce nei mesi seguenti a cercare
disperatamente di riconquistarlo invano.
Sibilla torna a Parigi, dove frequenta Apollinaire e i migliori
salotti letterari dell'epoca. Viene ricevuta nella sede dei Cahiers
de la Quinzaine e presentata a Rodin.
In
Francia Una donna è stato letto da tutta
la società intellettuale con esiti assai lusinghieri. A
Parigi in quel periodo c'è anche D'Annunzio, si frequentano,
ma lei non gli piacerà mai più di tanto.
Sibilla è già compresa di un'altra passione, quella
per il pittore Michele Cascella. Assume
la direzione de La Grande Illustrazione, a cui collabora
anche Giovanni Boine, amico di Giovanni Papini e di Emilio Cecchi.
Ha una relazione con Clemente Rebora, anch'egli
vittima della guerra, e Giovanni Boine. Più tardi scriverà
ne Il frustino di Cascella, Rebora e Boine, i tre
uomini tra i quali si divide in quella lunga estate calda del
1914.
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Lina
Poletti
Vincenzo
Cardarelli
(1887-1959).
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Umberto
Boccioni
(1882-1916)
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Giovanni
Papini
(1881-1956)
ritratto da Pietro Annigoni
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Scipio
Slataper
(1888-1915)
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Michele
Cascella
(1892-1989)
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Giovanni
Boine
(1887-1917)
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Lasciamo
ad altri biografi il compito di ricercare le cause di un simile
comportamento. E' troppo semplice, dal punto di vista psicologico,
ritenere che in Giovanni Cena Sibilla abbia ricercato la figura
paterna (perduta poichè l'aveva delusa) e che nei numerosi
giovani amanti abbia ricercato il figlio (perduto poiché
costretta a separarsene per affrancarsi dal tristo matrimonio).
Salta agli occhi in ogni caso la fragile personalità di questa
donna così insicura che per vivere deve sentirsi desiderata
da qualcuno, anzi, ogniqualvolta si presenta un adoratore nuovo,
lei ne trae linfa vitale e ispirazione poetica. Scrive infatti continuamente
a tutti coloro che la circondano, in un caleidoscopio di sentimenti,
e con grande confusione: romanzi iniziati e mai finiti, lasciati
e poi ripresi; poesie, articoli e lettere: tante lettere private,
a volte inviate al destinatario, a volte conservate, a volte ricopiate
ed inviate ad altri, così che tutti sapevano tutto.
Né vogliamo dare un giudizio critico troppo severo alle sue
opere, e tuttavia corre l'obbligo di far notare che la stragrande
maggioranza della sua produzione letteraria è personale,
e dopo il primo innegabile capolavoro, Una donna (che
alcuni critici ritengono sia stato assai revisionato da Giovanni
Cena), Sibilla scrive ben poco: gli altri suoi due romanzi, sempre
autobiografici, sono un puzzle di pensieri poetici e di lettere
private che nulla apportano alla storia della letteratura. Articoli,
resoconti, poesie e lettere non costituiscono un corpus letterario,
ma solo la testimonianza della sua personale e privata vicenda umana.
Sibilla è donna di lettere, ma in fondo, non è ciò
che si definisce una vera scrittrice.
Boine
tiene una rubrica letteraria sulla rivista Riviera Ligure,
dove in generale più che apprezzare le opere recensite, le
stronca. Lo fa anche nei confronti di Ada Negri, all'epoca all'apice
della notorietà, e di Amalia Guglielminetti. Boine morirà
nel 1917. Sibilla nel 1916 ha una breve e folle relazione con Dino
Campana, che aveva pubblicato nel 1914 I canti orfici
e si era alienato tutto il gruppo futurista (Soffici, Boccioni,
Papini, Cecchi). Poco prima di venire internato in manicomio, in
una lettera del novembre 1917 indirizzata alla moglie di Papini,
Campana scrive di lei cose terribili: "questa carogna è
piombata su di me come la collera di Dio"...
Di Campana si erano interessati tutti gli intellettuali, Giuseppe
De Robertis e Giovanni Boine l'avevano recensito sulle rispettive
testate La Voce e Riviera Ligure (De Robertis a sua
volta aveva stroncato le poesie di Sibilla apparse su La Nuova
Illustrazione). Prezzolini, che frequenta lo stesso ambiente
e sa tutto, definisce Sibilla il "lavatoio sessuale della letteratura
italiana". Non è un bel commento, ma la relazione con
Campana ha davvero scandalizzato e allarmato l'ambiente letterario.
In questo periodo Sibilla lavora come traduttrice per l'Istituto
Francese, dove suo collega è Massimo Bontempelli. Giovanni
Cena, colui che è stato per lei un secondo marito, ma anche
il suo méntore, muore nel 1917, totalmente dimenticato da
Sibilla; anche ad altri periti durante
la Grande Guerra (Slataper, Boccioni, Boine) lei
non pensa più.
Nel 1918 esce Il passaggio, dove racconta la sua relazione
con Campana, ma la critica lo trova folle e indecente. Lei pensava
di aver composto il suo capolavoro, ma si sbaglia di grosso. L'intellighenzia
non apprezza la mescolanza di fatti privati (e che fatti!) in letteratura.
E' al massimo
della notorietà, articoli suoi appaiono su innumerevoli giornali,
ma ancor più numerosi sono gli articoli su di lei stessa.
Nel mondo letterario e in quello mondano la conoscono tutti. A titolo
solo esemplificativo riportiamo alcune testate alle quali collabora:
Il
Giornale delle Signore Italiane di Gran Lusso, di Moda e Letteratura,
che Virginia Tedeschi dirige sino al 1916, insieme con Neera e la
Contessa Lara; La Rivista
per le Signorine, che Sofia Bisi Albini dirige dal 1894 al 1913;
collabora anche al Giornale della Fanciulla, Cordelia,
Vita Intima. E'
anche traduttrice delle lettere d'amore di George Sand ad Alfred
De Musset.
Dopo i dintorni fiorentini nei quali ha vissuto con Campana si trasferisce
a Roma, in poche stanze all'ultimo piano di una vecchia casa in
via Margutta, che sarà la sua residenza più o meno
fissa. Nel
1920 vengono ristampate tutte le opere di Sibilla dall'editore Bemporad,
che la impiega come correttrice di bozze e lettrice di manoscritti.
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Clemente
Rebora
(1885-1957)
Dino
Campana
(1885-1932)
ritratto da Giovanni Costetti
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La
casa di via Margutta n. 42
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Sibilla
Aleramo
ritratta da Primo Conti nel 1929
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Sibilla
Aleramo
ritratta da Renato Guttuso nel 1951
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Piero
Gobetti
(1901-1926)
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Con
il giovane amante di turno frequenta i bei salotti e va spesso a
Capri, ma presto il ragazzo viene sostituito da un giovane campione
olimpico di scherma (non
appartenendo al mondo intellettuale non ne citiamo i nomi).
Quest'ultimo muore nel 1921 mentre la relazione è ancora
in piedi, e ciò ispira a Sibilla la pièce teatrale
Endimione, che lei dedica a D'Annunzio e che viene
rappresentata dapprima a Parigi, dove ottiene un larvato successo,
e successivamente, nel 1924, al Teatro Carignano di Torino dove
si conclude con una selva di fischi. Al termine della rappresentazione,
sul palco, le è vicina solo Annie Vivanti. La pièce
verrà rappresentata solo un'altra volta, a Roma, con eguale
risultato. Eleonora Duse, alla quale Sibilla si era rivolta, rifiuta
di interpretare il pezzo e anzi le sconsiglia la rappresentazione
scenica; in ogni caso la Duse muore nello stesso anno. Piero Gobetti,
all'epoca giovanissimo, le dedica un fondo assai interessante dove
la chiama "profetessa senza Dio" e ne mette in luce le
debolezze, negandole quel ruolo di "scrittrice" al quale
Sibilla tanto ambisce. Non vi saranno, lei vivente, più momenti
di gloria per Sibilla.
L'avvento del fascismo segna un momento critico per Sibilla, che
già aveva manifestato idee politiche che l'avvicinano al
socialismo (e in seguito al comunismo) per cui il nuovo regime le
fa orrore. Ha una relazione con quel Zaniboni, deputato socialista,
che progetta l'uccisione del Duce nel 1925; il fallito attentato
ha come immediato risultato quello di causare la subitanea limitazione
alla libertà di associazione e di stampa. Sibilla si trova
a Firenze quando viene arrestata con l'accusa di complicità
e imprigionata; in seguito viene rilasciata, ma per lei è
la fine della carriera giornalistica. Sibilla firma il
"contromanifesto" di
Benedetto Croce in coerenza
alla sua simpatia politica per il movimento gobettiano,
e da allora in poi avrà sempre delle noie con il Governo.
Conosce Giulio Parise, a cui dedica Amo
dunque sono, come al solito un pastiche di lettere e stralci
di diario, che suscita biasimo nella cerchia di Sibilla, ma che
a sorpresa riceva una buona recensione sul Corriere della Sera.
Nel 1928 Sibilla torna a Parigi - è sempre in viaggio, questa
donna priva di una casa propria, ospite qui e là di amici
o più spesso in alberghi e pensioni - per la traduzione di
Francesca Diamante (anche questa pièce non
gode della critica e non verrà mai rappesentata). Nel
1933 riceve il Prix de la Latinité per
Gioie d'occasione che verrà tradotto da Yvonne
Lenoir, celebre giornalista, che le ha appena dedicato una lunga
intervista su Les Nouvelles Littéraires. E' il primo
testo che non viene tradotto in francese da Pierre Paul Plan, suo
traduttore storico.
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Yvonne Lenoir
Pierre Paul Plan
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Nel
1933 Sibilla è iscritta all'Associazione Fascista Donne Artiste
e Laureate: ha dovuto farlo. Incontra il giornalista Enrico Emanuelli,
all'epoca appena ventitreenne, mentre lei ne ha 56. La storia è
brevissima, lui parte per la Russia. Lei lo ricorderà, al
solito, con alcune poesie raccolte in Sì alla terra
(1934). Le poesie colpiscono l'attenzione di Salvatore Quasimodo,
che l'avvicina a sua volta. Nella corrispondenza che segue lui assumerà
il nome di "Virgilio". Dopo Dino Campana, è l'altro
vero poeta amato da Sibilla. Anche questa relazione non dura molto:
i due si rivedranno tanti anni dopo, entrambi iscritti al PCI. Come
sempre, è lui che si allontana da lei.
Nel 1936 entra in scena Franco Matacotta, l'ultimo amante conosciuto
di Sibilla, il più giovane, il più bello. Le poesie
per lui, in realtà raccolte di aforismi e aneddoti, appaiono
in Orsa Minore (1938) e Selva d'amore (1947).
Sibilla percepisce finalmente una pensione statale che le permette
un'esistenza decorosa, anche se è Matacotta che provvede
al costo dei numerosi viaggi compiuti dalla coppia. In questo periodo
inizia la compilazione del diario, che verrà ritenuto dai
critici l'altra sua grande opera, dopo Una donna.
Nel 1941 Ada Negri, l'eterna rivale, ottiene d'essere nominata prima
donna accademica d'Italia. Era il grande desiderio di Sibilla, e
che tale onore sia andato proprio alla Negri la manda sulle furie.
Si erano conosciute a Milano, agli esordi di Sibilla che all'epoca
era ancora Rina Faccio, e la Negri l'aveva incoraggiata. All'uscita
de Il passaggio, tuttavia, questa ne era rimasta così
scandalizzata da indurla a scriverle il suo pensiero, e ciò
aveva causato la rottura totale dei rapporti tra le due.
Nel 1941 Sibilla, lasciata temporaneamente sola, accetta l'ospitalità
di Alba De Cèspedes a Forte dei Marmi. Allo scoppio della
guerra Matacotta viene chiamato alle armi; è di stanza in
Sardegna, dove lei lo raggiunge. La scambiano per la madre. In qualche
modo Matacotta riesce a farsi congedare e riprendono la vita di
prima: viaggi, incontri mondani. Nel dicembre del 1941 muore Amalia
Guglielminetti, che Sibilla detestava dalla sera del famoso fiasco
di Endimione, poichè l'aveva veduta ridere
di lei insieme agli altri. Nel suo diario Sibilla commenta che la
Guglielminetti "non ha lasciato nulla di valido." Alba
De Cèspedes fonda la rivista Mercurio e vi pubblica
alcune pagine del diario di Sibilla, quelle dedicate al suo amore
per Matacotta, che lei ritiene un grande poeta, ma (lui sì)
non ha lasciato nulla di valido. A fine anno pubblica Andando
e stando.
La guerra la riduce in povertà (non che sia mai stata abbiente)
anche perchè la pensione statale è cessata da un pezzo.
Come altri in quel periodo, cerca di vendere le poche cose che possiede.
Nel settembre del 1947 avviene la rottura definitiva con Matacotta,
con il quale complessivamente si è accompagnata per nove
anni. La rottura è causata dal fatto che Matacotta prende
moglie.
Dal
1945 si è infiammata per l'ideale comunista, e prende a
frequentare la nuova intellighenzia che ha sostituito quella prebellica:
Pavese, Visconti, Natalia Ginzburg, Zavattini, Corrado Alvaro,
i coniugi Moravia. Frequenta i Togliatti e Concetto Marchesi,
e Camilla Ravera le dimostra una certa amicizia, così come
Ranuccio Bianchi Bandinelli, il futuro direttore dell'Istituto
Gramsci che sarà il custode di tutti gli inediti di Sibilla.
Nel 1948 vince un premio di consolazione del Premio Viareggio
per la raccolta di poesie Selva d'amore; il vero
premio se lo aggiudicano ex-aequo Aldo Palazzeschi e Elsa Morante.
Si interessa fattivamente al comunismo, tanto da compiere un viaggio
in Polonia; tiene una rubrica di posta su L'Unità
(gli articoli saranno raccolti nel volume Il mondo è
adolescente). Anche
Aiutatemi a dire e Luci della mia sera
sono raccolte di poesie ispirate dalla fede comunista. Il
PCI le passa una rendita, le trova una casa più comoda
della vecchia soffitta di via Margutta. Rivive miracolosamente
una seconda giovinezza letteraria, riacquista notorietà,
ma Vittorini non inserisce il suo nome tra "i dieci più
grandi scrittori d'Italia" e ne resta amareggiata. Ancora
si ritiene una grande scrittrice.
Nel 1957 viene pubblicato l'epistolario Aleramo-Campana, e Matacotta
si rifà vivo polemizzando sul suo diritto di pubblicare
la corrispondenza privata; ma il documento viene ritenuto di estemo
interesse filologico, storico, poetico e umano, anche perchè
nel frattempo è Dino Campana che interessa i critici, e
molto. Sibilla non lo saprà mai, ma i posteri hanno salvato
lui dall'oblìo, lasciandovi cadere lei.
Nel dicembre 1959 Sibilla viene ricoverata in clinica, dove muore
il 13 gennaio 1960. Le rendono omaggio sui giornali Salvatore
Quasimodo e Alberto Moravia; il necrologio sul Corriere della
Sera è di Eugenio Montale.
©Elena
Malaguti, settembre 2008
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Enrico
Emanuelli
(1909-1967)
Salvatore
Quasimodo
(1901-1968)
in una fotografia del 1962
Franco
Matacotta
a
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Una
donna
Soc. Tip. Ed. Nazionale
Torino, 1907
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Il
passaggio
Treves, 1919
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Andando
e stando
Bemporad, 1921
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Trasfigurazione
Bemporad, 1922
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Amo
dunque sono
Mondadori, 1927
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Gioie
d'occasione
Mondadori, 1930
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Il
frustino
Mondadori, 1932
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