EVELINA CATTERMOLE
(CONTESSA LARA)
Guglielmo
Cattermole, scozzese, si sposa quattro volte. Dal primo matrimonio
nasce William, apprezzato violinista; dal secondo nasce Eufrosina,
che nel
1864 sposa Giuseppe Cherubini. Cattermole si trasferisce
a Firenze dopo essere stato console del suo paese a Cannes: gode
di appoggi presso la corte dei Lorena ed ottiene una cattedra
per l'insegnamento dell'inglese. Il terzo matrimonio avviene a
Firenze: sposa Elisa Sandusch (morta
nel 1867), pianista, di padre russo e madre romagnola.
Eva
Giovanna Antonietta è l'unica
figlia, e nasce il 26
ottobre 1849. Con il quarto matrimonio sposa l'italiana
Clementina Lazzeri dalla quale avrà i figli Esterina, Enrico
e Fausto. I Cattermole abitano in via del Maglio 14. Esterina
si fa monaca francescana prima dei vent'anni con il nome di suor
Elena.
Eva (poi Evelina) è bellissima già dalla culla,
bionda con occhi azzurri (molto miopi). Il padre l'adora e le
insegna le lingue, la madre la musica. Evelina comincia a scrivere
poesie fin da bambina e nel 1867 pubblica il suo primo libro di
versi Canti e ghirlande dedicato alla madre morta.
Ha un buon successo. Ciò le apre la colonia straniera e
i salotti di Firenze, tra i quali quello di Laura Mancini Oliva,
moglie di Pasquale
Stanislao Mancini, un personaggio di spicco del Risorgimento e
della prima unità d'Italia. Nel 1849, avendo redatto una
protesta pubblica perché il re Ferdinando II aveva ritirato
la costituzione che pure aveva emanato prima di ogni altro principe
italiano, viene condannato a morte in contumacia e deve emigrare
a Torino: la madre rimane nel regno delle Due Sicilie a curare
gli interessi del figlio, riscattando le sue proprietà
confiscate. Negli anni successivi Mancini, grande giureconsulto,
si guadagna la meritata fama di artefice del Risorgimento, di
cui cura l'impianto dottrinale: è il massimo studioso italiano
di Diritto Internazionale, più volte ricopre la carica
di Ministro della Pubblica Istruzione.
Nel 1840 sposa Laura Beatrice Oliva, figlia di Domenico Simone
Oliva, che era stato precettore dei figli di Gioacchino Murat;
la quale da bambina segue la famiglia nell'esilio a Parigi; è
musicista e pittrice, e nutre fortissimi sentimenti patriottici
tanto da esporsi di fronte alla repressione borbonica (scrive
infatti versi per i fratelli Bandiera e per l'assedio di Venezia);
democratica e liberale, rinuncia, d'accordo con il marito, ad
ogni titolo nobiliare; molto nota ai suoi tempi, è soprannominata
"La Corinna Italica". Ciò non impedisce al marito
di farle partorire ben dodici figli. La figlia Grazia è
poetessa e lascia venti volumi di versi e due libri di ricordi;
Eleonora, Rosa e Florestana si sposano nell'ambiente borbonico;
dei maschi sopravvivono solamente Francesco ed Angelo.
Francesco Saverio Eugenio detto "Ciccillo" nasce a Napoli
il 28 maggio 1842, e quando incontra Evelina nel salotto di sua
madre è tenente dei Bersaglieri. Il patriottismo di Laura
spinge il diciassettenne Francesco a combattere nella seconda
guerra d'Indipendenza (1859) ed Angelo nella terza (1866). Francesco
è anche alla presa di Roma. E' un bel giovane dagli occhi
azzurri, anche lui musicista e poeta, con la fama di tiratore
infallibile. Francesco ed Evelina si sposano a Firenze il 5 marzo
1871, e si affrettano a riprendere il titolo di conti che i genitori
di lui avevano rifiutato.
Abitano a Roma, poi a Napoli, in seguito a Milano quando Francesco
viene promosso capitano, dove tengono un salotto dove Evelina
suona e canta ma dove si gioca pure; hanno difficoltà economiche
e Pasquale Stanislao Mancini li aiuta con discrezione: è
attaccatissimo alla nuora che lo chiama "papà mio".
A Milano abitano in via San Simone 12; Evelina si lega al gruppo
degli scapigliati (Boito, Arrighi, Emilio Praga, Tranquillo Cremona).
Frequenta anche il salotto Maffei in via Bigli. Francesco la trascura
e forse la tradisce, comunque Evelina inizia nel 1875 una tresca
con Giuseppe Bennati di Baylon, un giovane veneziano impiegato
di banca, biondo e bellissimo: come mezzana Evelina si serve della
cameriera Giuseppina. Il marito se ne accorge e si fa rivelare
tutto da quest'ultima. Saputo che la moglie è a casa dell'amante,
Francesco corre là e afferra per il collo Bennati, il quale
grida: "Lina, porta il revolver": e lei glielo porge.
Ma non accade nulla perchè accorre gente; tuttavia il marito
esige un duello che si svolge alla pistola. Bennati non si difende
mentre Francesco gli spara ferendolo a morte. Bennati fa di più:
in punto di morte rende una dichiarazione giurata nella quale
afferma di essersi voluto suicidare. Ma in troppi hanno assistito
al duello, così a suo tempo Francesco viene processato
... e assolto. (La cameriera Giuseppina, piena di rimorsi per
la morte di Bennati, tenta di avvelenarsi inghiottendo acido solforico
e viene salvata a stento).
I coniugi Mancini si separano: Evelina riceve indietro la sua
dote e altri beni con l'impegno di andarsene a Firenze da suo
padre, ma qui dimora ben poco: il padre ha un'altra famiglia e
lei preferisce accomodarsi in camere mobiliate, finchè
trova un quartierino in via del Porcellana 14. In breve viene
accolta in tutti i salotti che contano. Scrive poesie molto apprezzate
e comincia a collaborare con i giornali.
Non dimentica l'amante morto per lei: ne conserva la camicia insanguinata
e per un certo periodo prende come pseudonimo "Lina di Baylon".
Risale a questo periodo un'ode a lei dedicata dal giovanissimo
Gabriele d'Annunzio, ma non si hanno riscontri di una relazione
tra i due. Ma pochi mesi dopo il suo arrivo a Firenze, in quello
stesso 1875, incontra Mario Rapisardi, scrittore, polemista,
poeta, il quale gode
di una fama immensa tra i suoi contemporanei (è
considerato maggiore anche di Carducci e di Verga). Per il suo
razionalismo è avversato dalla Chiesa tanto che gli furono
poi negati i funerali religiosi e l'inumazione in cimitero. La
mole dei suoi scritti è sterminata e all'epoca sono famosissimi
i poemi Lucifero (1877) e Giobbe (1883).
Sposa nel 1872 la fiorentina Giselda Foianesi che nel 1883 lo
lascia per Giovanni Verga; dopo la relazione con Evelina, nel
1885 diviene sua compagna, fedele fino alla morte, Amelia Poniatowski
Sabernich.
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Guglielmo
Cattermole
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Pasquale
Stanislao Mancini
(Avellino 1817 - Roma 1888)
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Laura
Beatrice Mancini Oliva
(Napoli 1821 - Fiesole 1869)
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Sta
lady Phoebe Cynicythere / Su 'l damascato letto ampio e profondo:
/ splende la nudità, nell'ombra, e il biondo / capo sorride
di su l'origliere. / Erto su l'esili zampe il levriere / Le lambisce
il sen rotondo
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(versi
di G. D'Annunzio
per Evelina Cattermole)
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Evelina
Cattermole il giorno
delle nozze (5 marzo 1871)
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Francesco
Saverio Eugenio Mancini
(1842 - 1923)
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Evelina
Cattermole
nel 1883
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Mario
Rapisardi
((Catania 1844 - ivi 1912)
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Rapisardi incontra Evelina nel 1875 in via del Maglio, nella casa
di suo padre. In breve fra lui, sua moglie Giselda ed Evelina
nasce un'amicizia di ferro: le due donne diventano intime ed Evelina
dedica diverse poesie a Giselda, fra cui un sonetto; e l'amicizia
delle due donne sopravvisse poi alla rottura fra i coniugi Rapisardi.
Rapisardi è utilissimo ad Evelina perché le corregge
i versi e la presenta a tutti quelli che contano.
Chi la lancia veramente è l'editore milanese Angelo Sommaruga,
famoso anche per i suoi periodici, come la rivista Farfalla.
Sommaruga pubblica il volume Versi con il quale
nasce lo pseudonimo di Contessa Lara. Questo nome è preso
dal poemetto Lara di Byron (1814) dedicato al conte
di Lara, il pirata spagnolo di origini aristocratiche che sbarca
in Inghilterra e trova la morte avendo scatenata una rivolta.
Il volume di poesie della Contessa Lara è un grande successo
(1883).
Sempre in quell'anno Giselda lascia il marito per Verga: subito
Rapisardi propone ad Evelina di andare a convivere con lui a Catania.
Ma la poetessa, ormai lanciatissima e desiderosa di trasferirsi
a Roma, si rifiuta di seguirlo. La rottura è molto antipatica.
Nel 1886 Evelina si fissa definitivamente a Roma dove collabora
a periodici e riviste. Alla redazione della rivista Nabab
conosce un collega siciliano, di dodici anni più giovane,
Giovanni Alfredo Cesareo; in breve diventano amanti ed è
proprio questa la relazione più stabile della vita di lei
(ben otto anni). Giovanni
Alfredo Cesareo (Messina 1860 + Palermo 1937) è a sua volta
un personaggio che diventerà molto importante: drammaturgo,
saggista, critico letterario; molto più tardi, in pieno
sec. XX, sarà professore unversitario e Rettore di Facoltà
a Palermo, nonchè Senatore del Regno durante il Regime.
I due abitano un elegante appartamento in piazza Montedoro; è
un periodo fecondo di lavoro, certo il migliore della vita della
Contessa Lara, che collabora a: Il Corriere di Roma di
Scarfoglio e della Serao, Capitan Fracassa, Il Fanfulla
della Domenica, L'Illustrazione Italiana, Margherita,
Tribuna illustrata, dove tiene la rubrica "Il salotto
della signora" dando consigli di moda e costume. Tengono
un noto salotto letterario frequentato dai più noti scrittori
e giornalisti italiani e qualche straniero, fra cui Pierre Loti.
Evelina sviluppa una passione per gli animali, uccelli, topi bianchi
(ne tiene sempre
uno in una manica), cani, fra cui l'adorata Isella. La relazione
con Cesareo termina per volere di lei nel 1894.
Ma è destino che non rimanga sola troppo a lungo: e purtroppo
incontra un mascalzone. Nel
1894 Angelo De Gubernatis affida alla Contessa Lara la rassegna
della moda in Vita Italiana da lui diretta, e siccome teneva
a che la riproduzione dei figurini francesi avesse una nota italiana,
manda a casa della redattrice il pittore Pierantoni
perchè insieme prendessero gli accordi per illustrare la
rassegna, avvertendolo di stare in guardia perchè la Contessa
Lara era una donna che "poteva essere fatale". Giuseppe
Pierantoni, venticinquenne napoletano, era stato impiegato alle
ferrovie ma ne era stato esonerato per indisciplina. Si era in
seguito dato alla pittura ma con scarso talento e nessuna originalità,
così che conduceva una vita molto stentata. Evelina ne
sente pietà e prende a proteggerlo, anzi, gli fa prendere
i pasti in casa sua per fargli spender meno, poi non si fa più
pagare affatto. Solo nel febbraio del 1895 diventano intimi. Il
lavoro che De Gubernatis gli aveva commissionato era riuscito
banale, e il direttore pensò che fosse meglio riprodurre
direttamente i figurini francesi: al pittore rimane così
soltanto l'ufficio di segretario, poco più di un commesso,
incarico dal quale si dimette non appena Evelina prende a mantenerlo
di tutto punto. In qualche modo ella era presa di lui. Abita all'epoca
in Piazza della Libertà, ma vanno ad abitare insieme in
via Sistina al n° 27. Purtroppo ella si rende ben presto conto
che il giovane è solamente interessato al suo denaro, anzi,
la maltratta e si comporta in maniera offensiva, tanto ch'ella
tenta di porre termine alla relazione; ma egli non è affatto
d'accordo, anzi, e comincia anche a percuoterla, persino di fronte
alla servitù.
De Gubernatis le consiglia di denunciare il fatto in Questura,
ma Evelina preferisce piuttosto allontanarsi da Roma. Nell'estate
del 1896 trova
rifugio
in Liguria presso il
colonnello Tommaso Bottini, amico di famiglia, che ha due figli:
Ferruccio, tenente di Marina, ed Ezio, tenente di fanteria. Ferruccio,
imbarcato sulla Morosini e prendendo parte ad una missione
a Creta, ha la bizzarra idea di mandarle in dono una gazzella,
di cui sappiamo perchè ci rimane un grazioso sonetto in
cui con molta arte sono decantati gl'innocenti occhi della gazzella.
Ma non v'è nulla di men che lecito nei loro rapporti: Evelina
considera i due fratelli Bottini "come figliuoli" (almeno,
così scrive lei).
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Isella,
il levriero favorito di Evelina
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Esterina
Cattermole, divenuta
Suor Elena, in un ritratto eseguito
da Nerina Pisani, contessa
Volpi di Misurata
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Mario
Rapisardi con la moglie
Giselda Foianesi, che lo tradì con Giovanni Verga
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Anch'essi le consigliano di allontanarsi in tutti i modi dal
Pierantoni, ed ella, parlando con Ezio, gli mostra un piccolo
revolver che Ferruccio le aveva donato qualche mese addietro,
chiedendogli se lo gradisse a sua volta in dono.
"Non voglio che te ne privi perchè dopo ne avresti
forse rincrescimento, eppoi può esserti utile se t'incontri
con quell'uomo. E' meglio che lo tieni con te" risponde
Ezio.
Il 21 ottobre Evelina ritorna a casa sua, e rivedendo il pittore
è fermamente decisa a lasciare Roma per spezzare il legame.
Evelina scrive ai Bottini di essere "consumata" a
furia di lavoro e di avere pensieri di morte. La sera del 29
novembre Evelina informa il pittore, in termini decisi, che
se non la lascia in pace si sarebbe rivolta alla Questura. Egli
la supplica di concedergli ancora un colloquio, quello del congedo,
per la sera dopo, lunedi 30 novembre. Gli viene accordato. Egli
dunque si reca in via Sistina alle 7, vi rimane fino alle 7
e mezzo, torna alle 8 e decide di aspettare in strada fino alle
9, ora in cui Evelina rientra. Quando è proprio convinto
ch'ella non voleva più saperne di lui e non intendeva
dargli più del denaro, la spinge a forza nella vicina
camera da letto. Essa lotta, si difende disperatamente (le furono
trovati graffi e lividure alle braccia e alle mani) finchè
egli, preso dall'ira bestiale, afferra il minuscolo revolver
che stava sul comodino e dice:
"Bada che ti ammazzo."
"Ammazzami. Sarai vigliacco una volta di più."
Egli ripete:
"Devi morire."
Allora essa gli si getta in ginocchio, supplicandolo:
"Per l'anima dei tuoi morti, non mi ammazzare."
Al che l'uomo sparandole addosso risponde:
"No, voglio che tu muoia."
Dopo egli si tira un colpo senza importanza. Si reca alla vicina
farmacia di dove fa venire un medico per entrambi, ma lui non
ha nulla di grave, lei è ferita a morte. La notizia del
ferimento si sparge rapidamente ed è un accorrere alla
casa della vittima. Febea giunge fra i primi ed entra in camera
dove nel gran letto candido agonizzava la Contessa Lara, fiancheggjata
da due guardie di Pubblica Sicurezza, e non l'abbandona più.
Quando la morente la vede, le dice:
"Grazie. Ero qui sola! sento che me ne vado. Muoio uccisa
da un mascalzone
stasera non ci sarò più
... no, non fu per gelosia! Ah! non me lo meritavo. Non è
per passione sai, non è per gelosia, è per denaro
...! Mi raccomando alla giustizia che essa non creda che è
stato per gelosia come dirà che mi ha uccisa, ma per
denaro. Per carità, che quel vigliacco non riesca a far
credere di avermi colpita per amore, è stato solo per
interesse che mi ha uccisa. Non cercava che denaro! denaro!
Voglio che si sappia la verità! Quel birbante nulla può
dire di me che non torni a sua vergogna. Accortami di quante
bassezze fosse capace, convinta che volesse vivere alle mie
spalle, volli troncare. E' un infame. Non credete a ciò
che dirà, voleva sempre denaro, denaro. Ne inventerà
tante. Da otto mesi mi sfrutta, non posso liberarmi. Anche ieri
sera voleva denaro e non volli darglielo."
All'ultimo una grave serenità si diffonde sul volto della
poverina, che mormora in inglese una preghiera e un'invocazione
alla madre; infine chiama il sacerdote per dirgli che aveva
perdonato col cuore all'assassino. Alle sette in punto spira
fra le braccia di Febea che non aveva mai cessato di sorreggerla,
dicendo: "Dio, dammi pace."
Pierantoni si lascia arrestare tranquillamente e condurre in
carcere; il 10 novembre 1897 viene condannato a undici anni
e otto mesi di reclusione: molto poco, ma gli viene riconosciuta
l'attenuante della "grave provocazione". Morirà
poverissimo nel 1925.
Evelina
Cattermole nel 1894
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La salma di Evelina, composta nella sua camera da letto, fu visitata
da molti giornalisti suoi colleghi fra i quali Pirandello (allora
un illustre sconosciuto) e Capuana. Ci si recò anche il
marito, ricevuto come tutti, come dichiarò in seguito ai
giornali per tacitare le chiacchiere secondo le quali era stato
scacciato in malo modo. Scrissero di lei con affetto Febea e Matilde
Serao.
Febea affermò che se la Contessa Lara fosse stata un uomo,
vivendo del suo lavoro come lei aveva fatto, nessuno avrebbe trovato
niente da ridire sulla sua vita amorosa: tesi molto audace per
l'epoca.
Il funerale ebbe luogo nella chiesa di San Bartolomeo all'Isola.
Il tenente Bottini rifiutò l'eredità. Ci fu allora
un'asta dei beni che gente della migliore società si disputò;
si vendette la sua casa di Firenze. Fra una cosa e l'altra si
ottenne una somma superiore alle centomila lire, somma che però
scomparve, insieme al notaio che si era occupato di tutto. Un
periodico lanciò una sottoscrizione per la tomba: le adesioni
furono molte ma anche quei soldi scomparvero e la Contessa Lara
finì nella fossa comune.
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- dicembre 2008
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Olga
Lodi Ossani (1857-1933),
alias Febea. Napoletana, giornalista e scrittrice, fra il 1884
e il 1885 ebbe una relazione con D'Annunzio conclusa per volere
concorde dei due, dato che lei si sposava con Luigi Lodi, alias
Saraceno, giornalista e scrittore.
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Una
graziosa caricatura
della Contessa Lara
(da Il Giornale di Sicilia, 1896)
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Contessa
Lara
Una famiglia di topi, front
Bemporad, 1903
Ill. di Enrico Mazzanti
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