Renato Eduardo Manganella nasce a Roma il 1° settembre 1870 da
Domenico e Luigia Villa. Il nonno paterno era un antico magistrato
borbonico, il padre è burocrate in un Ministero. Il nonno materno
era garibaldino, aveva partecipato alle Cinque Giornate ma era anche
un eclettico artista; la figlia Luigia, la maggiore di un buon manipolo
di sorelle e fratelli, ne eredita l'anima d'artista e la propensione
ai viaggi; sposa un dragone di Cavalleria da cui ha una figlia, poi
morta piccina, ma l'ufficiale perisce durante la difesa di Palermo
stroncato dall'attacco garibaldino. In condizioni di spirito non ottimali
accetta la corte dell'impiegato borbonico, lo sposa, ne ha una figlia
morta in fasce e poco dopo un maschio, Renato.
Il ragazzo frequenta il Collège Français Saint Joseph
come convittore e poi il Collegio Romano, dove studiava anche Eugenio
Pacelli futuro Papa, e giovinetto si accende d'amore per la grande
letteratura e comincia a scrivere. A tredici anni si ammala di una
misteriosa malattia, che altro non era se non insofferenza alla durezza
del collegio e all'opposizione paterna alla sua vocazione. Intanto
si ingegna di comporre un giornale, Il Corriere Letterario,
redatto a penna dalla testata sino all'ultima riga. Ottenuto un periodo
di sospensione dal collegio per la "convalescenza", frequenta
di nascosto il Caffè Greco e gli intellettuali; riesce a conoscere
autori famosi come Luigi Capuana, Giovanni Verga, Emile Zola. Ma il
padre, inflessibile, lo costringe a ritornare agli studi, esigendo
una laurea (che non verrà mai).
Aiutato dalla madre, organizza un piccolo studio dove raduna gli amici,
in assenza del padre, e dà lettura dei suoi versi e delle sue
prime opere. Colto sul fatto, viene mandato per punizione ad Alatri,
dove trova il modo di pubblicare a proprie spese un primo volume di
versi, dedicato a D'Annunzio (1895). Intanto cresce e cominciano ad
attirarlo le donne, tanto che si infiamma per un'attrice di una compagnia
ambulante e fugge con il carrozzone dei guitti, come nei romanzi d'appendice,
dai quali fa rappresentare una commedia da lui scritta. Ma il padre,
avvertito della fuga, lo fa riaccompagnare dai carabinieri, e infine
torna a Roma. Continua a scrivere commedie, sposa a Napoli, nel 1899,
la napoletana Adele, che gli dà il piccolo Diego l'anno seguente.
Per la pubblicazione del primo romanzo, Il miraggio,
l'amico Ugo Ojetti un bel giorno gli propone tre pseudonimi, e tirato
a sorte fra i tre pezzetti di carta, ne esce Lucio D'Ambra. Il romanzo
ottiene lusinghiere recensioni da parte di Capuana, De Gubernatis,
Luciano Zuccoli. Seguono altre opere e, ben presto, l'onorificenza
di Cavaliere della Corona d'Italia.
Nel 1901 muore la madre, e poco dopo, nel 1903, muore anche il padre.
Nel 1905 il grande attore Ermete Novelli gli commissiona un dramma
storico fra il sentimentale e il cavalleresco e D'Ambra, insieme con
l'amico Lipparini, scrive una
commedia satirica, Il
Bernini: ma in versi alessandrini, e
Novelli, ormai in là con gli anni, non si sente che di recitare
a soggetto. Poi è la volta del Goffredo Mameli,
rappresentata dalla compagnia di Virgilio Talli nel 1906. La
via di Damasco lo consacra grande commediografo, e la via
è spianata dinnanzi a lui.
Nel frattempo nascono Maria Luisa e Francesca, per le quali inventa
favole; il figlio Diego mostra presto di volerne seguire le orme:
vince infatti un concorso del Giornalino della Domenica per
una novella (1907). Diego sposerà poi Ninì ed avrà
la figlia Claudia, e compirà studi giuridici per avviarsi alla
carriera diplomatica, ma muore prematuramente nel 1931.
Eclettico e poliedrico, Lucio D'Ambra è romanziere, autore
drammatico, critico, saggista, commediografo, impresario teatrale,
e come giornalista
collabora alle principali testate nazionali come Il Corriere
della Sera, Il popolo di Roma, La Tribuna e le sue riviste
Noi e il mondo e La Tribuna Illustrata di cui è anche direttore;
è redattore
de L'Italia, pubblicista de Il Romanzo Mensile; per
l'estero: Revue d'art dramatique,
Grande France, La
Patria degli Italiani di Buenos Ayres, e L'Italie.
Traduce dal francese.
E' in relazione con tutti gli intellettuali suoi contemporanei, buon
amico di Anatole France, Paul Margueritte, Paul Bourget, Matilde Serao,
Fausto Maria Martini, Silvio D'Amico, Enrico Annibale Butti, Girolamo
Rovetta, Anton Giulio Barrili, Tomaso Monicelli, Sem Benelli, Ada
Negri, Massimo Bontempelli, per citarne alcuni; ed è lui a
far rappresentare la prima commedia di Luigi Pirandello.
Nel 1917 scopre il cinematografo. Inizia con lo scrivere soggetti
(33 in tutto saranno i suoi film). L'ascesa in questo campo lo porta
alla direzione della Medusa Film, una casa di produzione fondata dal
marchese di Bugnano. Nel
1919 fonda la casa di produzione D'Ambra Film, che confluisce nel
1922 nell'Unione Cinematografica Italiana del barone Alberto Frassini.
Nel 1920 è direttore di Romanzo-film, con romanzi quindicinali
tratti da film di successo e scritti dallo stesso regista.
I
FILM di LUCIO D'AMBRA
Il Re, le Torri, gli Alfieri
La chiamavano Cosetta
Il bacio di Cyrano
Amleto e il suo clown
Ballerine
La commedia dal mio palco
I cinque Caini
Mago di Clipton
Vita di Giuseppe Verdi
Su
Youtube è visibile un suo film del 1920,
L'illustre attrice Cicala Formica
(regia Lucio D'Ambra per la D'AMBRA FILM), da
una favola di La Fontaine,
trasposizione parodistica.
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Nel 1937 è' nominato Accademico d'Italia. Autore prolifico, compone
sette trilogie (delle passioni, romantica, della vita in due, del patriarcato,
delle ombre, sociale e spirituale - incompiuta) oltre a una trentina
di romanzi. Tutta l'opera drammatica è contenuta nel volume
Piccole scene della gran commedia. Scrive prefazioni alle
opere degli amici, presentazioni a cataloghi di mostre d'arte, biografie,
pamphlet, giochi letterari, e tra questi partecipa al gruppo dei Dieci
ideato da Marinetti (Il
novissimo segretario galante: 400 lettere d'amore per ogni evenienza:
Primo libro: Approcci / scritte da i dieci: A. Beltramelli, M. Bontempelli,
L. D'ambra, A. De Stefani, F. T. Marinetti, F. M. Martini, G. Milanesi,
A. Varaldo, C. G. Viola, L. Zuccoli, 1928; e Lo zar non è
morto, grande romanzo d'avventure; I Dieci: A. Beltramelli [et.
al.] 1929). Compila compendi di letteratura, e per i ragazzi compone
un unico titolo. Di tutta la sua tumultuosa vita scrive un memoriale
in tre parti: "La partenza a gonfie vele", "Il viaggio
a furia di remi", "Il ritorno a fil d'acqua".
Il 31 dicembre 1939, recatosi alla redazione del giornale nel pomeriggio,
lo accoglie la notizie della morte dell'amico Giannino Antona Traversi.
Si sente male. Torna a casa, in via Stoppani, dove vive con la moglie,
la nuora e la nipotina, per il cenone tradizionale. Ma si sente male
nuovamente, e non cè più nulla da fare.
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Lucio
D'Ambra,
La formica su la cupola di San Pietro
Mondandori, 1932,
cover di Ciseri
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Lucio
D'Ambra,
Il passo nella mia strada
Mondandori, 1943,
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(courtesy
Donatella Legnani)
Testo:
©
www.letteraturadimenticata.it,
febbraio 2014
Fotografie:
©
Archivio Brandolini-Morgagni
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Luigia
Villa Manganella
Renato Manganella
nell'uniforme del Collège Saint Joseph (ca. 1880)
Lucio
D'Ambra nel 1898
Diego
Manganella
Lucio D'Ambra
e la moglie Adele
La tomba
di Lucio D'Ambra al Verano (Roma), dove compare
il nome d'arte e non quello anagrafico. Qui riposano Renato Manganella,
il figlio Diego, la figlia Maria Luisa.
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