biografie

ANGELO DE GUBERNATIS


Angelo De Gubernatis

(Torino, 7 aprile 1840 - Roma, 26 febbraio 1913)

Il conte Angelo De Gubernatis è una figura di rilievo nel panorama dell'intellighenzia italiana della seconda metà Ottocento, uomo di vasta cultura e molteplici attività. Peccato che i posteri di manzoniana memoria non l'abbiano premiato, e i motivi sono diversi (1); noi riteniamo che, a parte il suo valore di uomo di cultura, egli veleggi un po' troppo sopra le righe, e pecchi indiscutibilmente di presunzione. Egli, che scrive su tutti gli argomenti possibili, di lettere come di scienze, ha per argomento privilegiato... se stesso. Egli non ci nasconde nulla di sé. Nell'edizione del 1879 del suo famosissimo Dizionario biografico, egli parla di sé per ben 24 pagine di introduzione: e sono di grande formato, con caratteri piccoli. Sul numero 11 di Cordelia (15 gennaio 1882) egli inizia a ripercorrere la storia della famiglia ad uso della figlia (e prosegue per qualche numero). Dovendo tracciare una biografia dell'uomo, tralasciamo di riportare la carriera accademica del De Gubernatis - rintracciabile in altri siti o nei dizionari biografici - e proponiamo il racconto della sua vita così com'egli lo narra, magari modernizzando un po' il linguaggio. Le informazioni qui riportate quindi sono di prima mano.

L'antica famiglia era illustre e potente; v'era stato un Gerolamo Marcello De Gubernatis che aveva servito Casa Savoia come Ambasciatore e come Gran Cancelliere. Tuttavia essa era decaduta, si erano estinti i De Gubernatis conti di Bausone; i De Gubernatis conti di Gorbio stavano per farlo.
Il padre Giovanni Battista era nato nel 1798 a Pinerolo, dove il nonno Giuseppe Vittorio, gentiluomo di Sospello, serviva nell'esercito piemontese; facendo parte dell'esercito del Re di Sardegna, aveva preso parte alle campagne contro i Francesi, ma, ferito, per lungo tempo non se ne ebbero notizie. Prima di partire aveva affidato la moglie e l'unico figlio all'amico Cavaliere Enrico de' Conti Pastoris di Saluggia, sicché la nonna, non avendo notizie e credendosi dunque vedova, lo sposò in seconde nozze. Il capitano Giuseppe Vittorio de Gubernatis tornò dunque un giorno e trovò la patria in mano ai Francesi e la moglie in mano ad un terzo marito, essendo morto nel frattempo il Pastoris. Il nonno allora prese con sé il figliolo, lasciando la moglie al terzo marito, e si trasferì a Nizza, da dove in origine proveniva la famiglia. Pieno tuttavia di dolore, morì nel 1805, lasciando il figlio di sette anni, il quale fu messo in collegio a Carmagnola. Probabilmente fu un buono studente, dato che gli venne consegnato un libro di premio nel 1813, ma, povero e orfano, dovette impiegarsi nell'Amministrazione delle finanze, di cui era a capo al Ministero un cugino, tal Giambattista De Gubernatis, che resse perfino il portafoglio delle Finanze nel 1821 grazie alla fiducia del Principe di Carignano. Tuttavia continuò a studiare per proprio conto, e anzi si guadagnò degli avanzamenti fino a divenire Direttore delle Contribuzioni Dirette per la provincia torinese, grazie alla fiducia del Conte di Cavour. Esercitava il vero ufficio di pater familias verso i numerosi figli, che peraltro dagli estranei ne sentivano solo lodi. Aveva perso la nobiltà del blasone ma non quella dell'animo; quando il figlio Angelo rimase fermo nel proposito di darsi alle belle lettere (rifiutando di farsi ecclesiastico in vista di un canonicato) gli disse che se le lettere a volte danno la fama, non sempre danno da mangiare, e comunque se lettere dovevano essere, non avrebbe tollerato alcuna mediocrità.

Angelo De Gubernatis nacque a Torino il 7 aprile del 1840, settimo figlio del suddetto Giambattista, cavaliere, e Maria Cleofe Turchetti, figlia di un medico di Alessandria. A causa della salute cagionevole, il padre nel 1841 si ritirò a Nizza con la famiglia, lasciando il piccolo Angelo a Riva di Chieri con la nutrice Teresa Gaidano. Nel 1843 il padre ritornò a Chieri dove si fece promotore, insieme con il barone Carlo Daviso, dell'istituzione degli asili di carità, e dove tutta la famiglia visse fino al 1848. I primi rudimenti di istruzione Angelo li ricevette dalla madre, a quattro anni fu mandato nella scuola privata di Francesco Onesti, in seguito maestro elementare in una scuola pubblica di Genova, e successivamente da Don Ignazio, al quale serviva anche la Messa in Duomo. Tra i numerosi ricordi infantili che non ci risparmia, c'è anche quello di aver piantato una castagna d'India nel giardinetto di casa e di aver visto l'albero crescere e farsi grande, tanto da dar noia al vicino che lo voleva abbattere, "ma l'albero venne difeso ed è ancora vivo e prospero, e il suo proprietario attuale [siamo nel 1879] mi scrive che esso non si lascerà più morire".

Recuperata la salute, Giambattista De Gubernatis si trasferì a Torino nel 1848 occupandosi del sistema tributario, riformato da Cavour quand'era Ministro delle Finanze. Il giovane Angelo entrò nel collegio di San Francesco di Paola dove ebbe per maestro delle ultime classi elementari Pietro Beiletti, e, al ginnasio, Agostino Lace, Luigi Schiaparelli, Luigi Girelli, Don Luigi Botto. A scuola fondò un giornaletto, dove compendiava le lezioni ad uso dei compagni, che venne presto soppresso dal direttore. Pare che non fosse proprio disciplinato, tanto che avendo sbeffeggiato un professore còlto in errore, fu minacciato di espulsione e riammesso al collegio ma tenuto in isolamento, dopo che il padre, a casa, l'aveva castigato a dovere. Al liceo già studia per conto proprio per perfezionare le materie, e scrive, scrive, scrive. In quegli anni, insieme con il fratello Enrico, poi console a Smirne, fondò in casa un'accademia letteraria intitolata La Speranza (lui presidente e il fratello segretario) di cui faceva parte un gruppetto di persone i cui nomi qui vi risparmiamo. Le attività consistevano nel leggere i propri scritti, una volta a settimana, e sottoporli poi all'esegesi dei compagni. Il pubblico consisteva nelle due sorelle Teresa e Carolina e le loro amiche. L'accademia si sciolse con la partenza di Enrico per l'Oriente, nel 1858. Per prepararsi all'Università, Angelo compì studi supplementari con Pier Luigi Donini, allora noto traduttore dal latino, ed egli stesso tradusse i classici, appassionandosi all'epica, ell'elegia, alle odi.

Nel 1857 per la prima volta si recò a teatro per udire Ernesto Rossi recitare l'Amleto, al Teatro Carignano. Il risultato fu che si mise a leggere tutto Shakespeare per produrre poi un dramma, Sampiero di Bastelica, che ebbe l'onore di venir letto dal Tommaseo e, a sentire l'Autore, anche apprezzato. Entrato nell'autunno di quell'anno all'Università di Torino per i corsi di belle lettere, ebbe per insegnanti di lettere Michele Coppino, Domenico Capellina, per il latino Tommaso Vallauri, per il greco Prieri, in storia antica Barucchi, in storia Ricotti. Al terzo anno vinse un premio universitario e fondò una società universitaria di lettura e conversazione, ed un giornale che voleva intitolarsi Alessandro Manzoni ma che poi, per non recare dispiacere al grand'uomo, s'intitolò La letteratura civile; e, naturalmente, iniziò a pubblicare drammi sulla Rivista Contemporanea; uno di questi, Pier delle Vigne, venne rappresentata dalla compagnia di Ernesto Rossi per due sere al teatro Gerbino nel 1860. Scrisse rassegne sull'appendice de Il Diritto, a lui affidata, e collaborò al Mondo Illustrato; per Giuseppe Pomba, che andava raccogliendo materiale per i suoi Contemporanei Italiani, scrisse le prime biografie di Santorre Santarosa e di Giovanni Prati. Non contento, si mise a studiare inglese e tedesco per conto proprio. Ottenne di insegnare rettorica nel liceo di Chieri, dove il padre era appena rientrato da pensionato, e dove prese il posto del direttore del ginnasio, appena deceduto. Nel 1861 scrive altri drammi, variamente rappresentati a teatro, ma d'ora in poi vi risparmieremo i titoli delle opere, perchè esse si moltilpicheranno a ritmi esponenziali.

Nel luglio 1861 morì a Torino l'ultimo conte di Gorbio, il colonnello Vittorio De Gubernatis. Caso vuole che nello stesso mese il giovane Angelo fosse colui che ottenne la prima laurea in lettere del Regno d'Italia - cosa che fece un po' di notizia e fu citato nei giornali, anche perchè si era scomodato ad assistervi il ministro De Sanctis in persona. La tesi negava i diritti storici del Papa al potere temporale (e di cosa mai poteva parlare una tesi, in quell'anno?!) e tuttavia fece un gran scalpore; la sorella di Silvio Pellico, Giuseppina, ne levò gran rumore su L'Armonia. Tornato dopo un breve viaggio a Chieri, fondò un nuovo giornale, L'Italia Letteraria, che si avveleva di firme già note: Anton Giulio Barrili, Giuseppe Revere, Vincenzo ed Eugenio Riccardi, Ferdinando Bosio, Cletto Arrighi, ed altri. Accintosi ad un'opera sulle origini della lingua italiana, iniziò ad interessarsi vivamente alle lingue orientali, focalizzandosi sul sanscrito, senza tralasciare lo studio del fenicio e dell'ebraico. Nonostante fosse stato già nominato professore titolare di lettere al liceo di Lucera, partecipò al concorso per dieci posti di studio all'estero, e nel novembre 1862 partì per Berlino, dove, impadronitosi in breve della lingua, inziò lo studio comparato delle lingue orientali come il vedi e lo zendo, e dove furono poste le basi per i suoi studi futuri, che lo porteranno già dall'anno seguente, nell'ottobre 1863, alla cattedra di sanscrito all'Istituto di Studi Superiori di Firenze, costituito dal ministro Amari.

A Firenze abitava all'epoca in due stanze al pianoterra affacciate sulla piazza dell'Indipendenza; pur molto impegnato nella scrittura di drammi, nella pubblicazione delle sue lezioni, nella raccolta del materiale per un dizionario sanscrito-italiano, frequentava anche gli ambienti letterari e anche i salotti; conosceva Gino Capponi, Raffaello Lambruschini, Niccolò Tommaseo, Atto Vannucci, Aleardo Aleardi, Francesco Dall'Ongaro. In casa di un emigrato ungherese, Francesco Pulszky, nel 1865 incontrò il celebre profugo socialista russo Michele Bakunin. Egli "sedeva tonante e sovrastante innanzi ad un immenso tazzone di tè che gli poneva innanzi [...] si adunava intorno a lui un circolo di persone attente alla sua parola dotta, faconda e spiritosa". Vicino alla filosofia hegeliana, Bakunin una sera interpellò direttamente il giovane De Gubernatis, che non conosceva, e lo spinse a parlare di Schopenauer. Al termine, gli chiese se fosse massone, al che De Gubernatis gli rispose di no, gli chiese poi se fosse mazziniano o repubblicano, al che De Gubernatis rispose con un altro comizio:

"non è nella mia natura farmi seguace di un solo uomo, per quanto grande, e però io potrei forse essere repubblicano, ma non mazziniano, per quanto io riconosca che il Mazzini ha reso grandi servigi alla libertà: ma la stessa repubblica mi pare niente più che una vana parola; oggi almeno esa non significa più nulla; vi possono essere repubbliche aristocratiche e monarchie democratiche; in Italia non è la monarchia, ma l'ordinamento burocratico dello Stato che ci dà noia; ciò che importa è la libertà; ciò che importerebbe, se vi fosse il modo di riformare la società, sarebbe che tutti fossero uguali, non solo innanzi alla legge, ma anche innanzi alla questione del pane, che non è ancora uguale per tutti, poiché agli uni sovrabbonda e agli altri manca".

Bakunin allora cercò di associarlo all'opera sua, quel "patto segreto internazionale" con il quale affascinava i possibili adepti; Angelo De Gubernatis allora aveva 24 anni e cadde nella rete, molto illudendosi sull'opera del Bakunin. Conseguenza drammatica di questa adesione fu la rinuncia da parte di De Gubernatis all'incarico ricevuto dal Governo che doveva ora combattere, e rinunciò alla cattedra di sanscrito addirittura pubblicando la lettera di dimissioni sul giornale che aveva appena fondato, La Civiltà Italiana, Rivista di scienze, lettere ed arti (rivista che durò pochi numeri); pure dopo le insistenze ministeriali il giovane rimase fermo nei suoi propositi di gettarsi nell'ignoto, abbandonando l'avvenire pur sicuro. Per questo egli venne benissimo accolto dalle gerarchie della società bakuniana e postone ai vertici. Il ritratto del giovane Angelo De Gubernatis adornava così gli album dei fratelli, tra quello di Garibaldi e quello di Mazzini.

Infervorato dall'entusiasmo dell'adepto, tenne un corso di storia popolare fiorentina alla Quinet, spiegata in senso repubblicano e socialistico, e si offerse di andar per le campagne per farvi propaganda; tuttavia al capo della setta premeva più di racogliere denaro per sé e per i suoi amici, e ben presto De Gubernatis si rese conto che tutti volevano esser capi e nessuno fare il gregario, e che si trattava più che altro di un gioco, compresa la stesura di piani irrealizzabili e la composizione di inutili cifrari. Volendo persuadere un giovane toscano ad entrare nella società bakuniana, De Gubernatis venne invece persauso da costui - uno che aveva fatto le campagne di Sicilia e d'Aspromonte - che gli intenti della società erano assai fumosi e poco produttivi per il popolo. Si era a questo punto quando dalla Russia arrivò il fratello di Bakunin, Alessandro, un "savio ed onesto filosofo" con la moglie Natalia ed una cugina con la figlia, Sofia Besobrasow. La giovane gli venne presentata come pittrice dilettante e appassionata d'arte e dell'Italia, ma assai infelice - per quale motivo, non vien detto. Tre mesi dopo Angelo De Gubernatis sposava Sofia Besobrasow nella chiesa russa di Napoli, non prima di aver convinto il Bakunin a sciogliere la sua società.(2)

Egli entrò quindi a far parte delle varie società democratiche e repubblicane di Firenze, sempre vedendo nei nobili e nei ricchi i tiranni della società, fino a promuovere la costituzione di un pubblico parlamento popolare permanente in opposizione al parlamento monarchico, e pose tutte le sue sostanze in una tipografia in cooperativa che doveva occuparsi della stampa repubblicana, che ben presto fallì e lasciò De Gubernatis sul lastrico. Persuaso della sterilità di tutti i moti rivoluzionari e violenti, il buon senso gli disse di ritornare sui suoi passi e dedicarsi agli studi e ritornare alla fede monarchica, che da quel momento lo annoverò tra i suoi più fedeli sudditi. Fatta onorevole ammenda, due ministri della Pubblica Istruzione che si succedettero tra il 1866 e il 1867 lo incoraggiarono sulla ritrovata via delle lettere, così che egli pubblicò la Memoria sui viaggiatori italiani nell'India a spese del Ministero, e venne altresì aiutato nel fondare la Rivista Orientale, finché ministro divenne Michele Coppino, suo antico insegnante, il quale lo invitò ad aprire nell'istituto di Studi Superiori un corso di lezioni sulla letteratura indiana. Era il primo passo verso la reintegrazione. Al secondo anno di lezioni il corso venne dichiarato ufficiale, e nel 1867 De Gubernatis riebbe la sua cattedra.

Anni dopo, sulle pagine di Cordelia, De Gubernatis pubblicò degli stralci dell'epistolario tenuto con il padre su questo drammatico periodo della sua vita, di cui proponiamo un esempio:

Cordelia, Anno I, n° 16, 19 febbraio 1882
Alcuni stralci delle lettere che Angelo De Gubernatis riceveva dal padre e che vennero pubblicate, come esempio di virtù e di saggezza,
in due numeri di Cordelia del febbraio 1882, in una rubrica dal titolo "consigli ad un giovane".

Anno pieno di cambiamenti, il 1867, perchè nel luglio nacque Cordelia, per la quale Sofia aveva comperato una villetta in Santo Stefano di Calcinaia, presso Signa; in autunno morì il padre di De Gubernatis e l'anno dopo la madre. Pubblicata l'Enciclopedia Italiana, Angelo De Gubernatis insegnò ancora un anno e mezzo come professore straordinario, ma nel 1869 il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (ministro Broglio), esaminati i titoli, lo nominava come titolare definitivo della cattedra, che egli mantenne fino al 1991. Nel frattempo pubblicava ancora drammi, e ancora testi storici sugli usi indiani. Nello stesso anno iniziò a dirigere la Rivista Contemporanea, pubblicata a Torino dall'editore Negro, ma volendo rimanere a Firenze rinunciò alla rivista torinese e ne fondò una fiorentina, chiamata Rivista Europea. Ancora nel 1869 compì il primo viaggio in Russia, insieme con la moglie e la figlioletta. Collaborò nell'occasione al Messaggiere d'Europa di Pietroburgo, e iniziò la collaborazione all'Atheneum di Londra, che si protrasse per lunghi anni.
Tra il 1870 e il 1872 compilò la Mitologia Zoologica, dedicata a Michele Amari e Michele Coppino, tradotta in inglese, francese, tedesco. Il testo fu occasione per fargli conosce il conte Alessio Tolstoj (3). Nel 1872 pubblica un testo intitolato Ricordi biografici, biografie di uomini illustri del suo tempo, dove sono pubblicate anche lettere private, oltre a numerosi saggi poetici. Il testo è dedicato alla moglie: "Mia cara Sofia, a Te, che in giorni a me sconsolati risuscitavi tutte le mie morte speranze, a Te compagna soave e diletta della mia seconda vita, a Te custode amorosa e santa de' nuovi miei lari, voglio dedicati questi ricordi". Nel 1873, mentre componeva l'ennesimo dramma, Romolo, dedicato al duca di Sermoneta, nacque il figlio Alessandro. Sempre nel 1873 decise che era ora di cominciare a scrivere di sé, e pubblica i Ricordi biografici, dedicati alla moglie. Nel 1874 pubblica diversi testi sempre sulla mitologia vedica e sull'India.

La Storia dei viaggiatori italiani nell'India venne presentato al Congresso Geografico di Parigi, dove De Gubernatis si recò facendo un bel viaggio tra Francia e Germania, e dove ebbe modo di conoscere personalmente Daniele Stern, la contessa d'Agoult, di cui era fervente ammiratore, l'Egger, il Baudry e il Laboulaye. Nel 1875 scrisse il Romolo Augustolo, dedicato a Tullo Massarani, e vari testi sulle tradizioni popolari. Nel 1876 partecipò al terzo Congresso degli Orientalisti di Pietroburgo quale delegato del Governo italiano, dove potè assicurarsi la sede di Firenze per il quarto Congresso, nominato presidente Michele Amari e segretario lo stesso De Gubernatis. In preparazione di ciò pubblicò a proprie spese il Bollettino italiano degli Studi Orientali ed organizzò una mostra ed inaugurò, alla presenza dell'imperatore del Brasile Don Pedro, l'Accademia Orientale. Durante il famoso Congresso, al quale presenziò S.M. il Principe Amedeo venne rappresentato un suo "idillio drammatico" a tema indiano, dedicato alla Regina Margherita, che si era degnata di gradirne la dedica. Non contento, scrisse rassegne mensili sulle letterature straniere, si recò ad Oxford per delle letture sopra Alessandro Manzoni, in seguito pubblicate da Le Monnier, dove nell'occasione, passato da Londra, conobbe il Gladstone; ed ebbe il tempo di passare anche da Weimar ad ossequiare il granduca Alessandro, presentato dal vecchio amico duca di Sermoneta. Nel 1879, infine, pubblicò una delle sue opere ancora oggi valide e consultate, quel Dizionario Biografico dal quale abbiamo tratto la storia suddetta.

Storia dalla quale abbiamo omesso tutto ciò che non attiene alla stretta biografia dell'uomo; tuttavia, dobbiamo notare come questa storia sia condita di riflessioni incredibili. Senza far nomi, spesso De Gubernatis accenna a dei "nemici", persone che "lo hanno tradito", persone che "parlaron male" di lui, raccontando anche degli episodi veramente superflui. L'autobiografia è firmata nel 1879, eppure egli parla di sé come se avesse terminato di esistere. Le ultime due pagine sono un mix allucinante di buoni sentimenti verso i nemici ("non ho proprio tempo di occuparmi di loro", "ho già condonato volentieri tutto il male che hanno potuto o voluto farmi"); autocelebrazione sul tenore di "nessuna invidia mi toccò mai", "nessuna meschina vanità mi tenta"; e rassicurazioni al lettore che non è la gloria ch'egli cerca: "non mi preme molto che si dica di me: egli è il primo de' mitologi, egli è il primo degli orientalisti, egli è il primo de' critici, egli è il primo de' poeti; io posso essere benissimo, anzi tollero, con perfetta rassegnazione, l'opinione ch'io possa essere l'ultimo poeta, l'ultimo critico, l'ultimo orientalista, l'ultimo mitologo"; "non sono nato né per servire né per comandare [...] mi importa finalmente assai più vivere da galantuomo che ottener fama di grande scrittore"; "non ispero raggiungere alcuna perfezione"; e infine: "Tirando, dunque, la somma degli anni ch'ei visse, s'egli non ha potuto, pur troppo, operar nulla di grande, si può dire, almeno, che egli ha dato agli uomini più di quello che loro ha preso." Sono parole che si commentano da sole.

Morti nel 1881 anche il fratello maggiore e una sorella, a fine anno diede origine ad una rivista per ragazzine, battezzata Cordelia come la figlia diletta; come di quasi tutti i suoi progetti, se ne stancò presto, lasciando la direzione a Ida Baccini che ne fece quel successo a tutti noto. Complessivamente il lavoro di Angelo De Gubernatis fu immenso, dalla compilazione dei famosi dizionari biografici e bibliografici, opere teatrali, saggi di indianistica, studi sul linguaggio, fino ad una monumentale Storia Universale della Letteratura in 23 volumi, e numerose iniziative culturali, tra le quali ricordiamo l'Esposizione Beatrice nel 1890. Nel 1891 De Gubernatis ottenne l'ambita cattedra di letteratura italiana all'Università di Roma, insieme a quella di sanscrito, che tenne fino alla morte. Nel 1906 De Gubernatis fu perfino candidato al premio Nobel per la letteratura. Egli acquistò grandissima fama come erudito, e si fece apprezzare "dal nostro buon Re", tanto che avrebbe voluto richiedere per il padre il titolo perduto - ma troppo tardi: il padre era morto il 3 settembre 1867. E quando finalmente venne il titolo, a lui assegnato per meriti letterari, ne fu in realtà assai lieto. Il conte Angelo De Gubernatis, come viene oggi normalmente chiamato, scopriamo così essere di recente nobiltà sabauda.


Teresa De Gubernatis
(Torino, 21 marzo 1832 - Roma, 28 dicembre 1893)

Angelo era il settimo di undici figli. La sorella maggiore Teresa è colei che lo ispirò nell'ideazione di Cordelia di cui fu collaboratrice fin dal primo numero. Studiò in casa ma il padre le permise di frequentare la scuola di metodo fondata da Ferrante Aporti. Nel 1849 fu Presidentessa della Commissione per le scuole secondarie e dal 1857 Ispettrice Generale per gli asili di Torino. Diresse poi una scuola d'infanzia per le classi agiate (fondata sempre dall'Aporti), ma lasciò l'incarico nel 1853 per fondare, insieme con il padre, la sorella Carolina (n. Torino nel 1834), la sorella Cecilia (n. Chieri 5/7/1846), il fratello Enrico ed altre persone, un Istituto Femminile di Educazione e Istruzione frequentato dalle classi abbienti e nobiliari di Torino. Lasciò la direzione dell'istituto nel 1858 poichè sposò il giornalista Michele Mannucci (1823-1871, Governatore di Civitavecchia sotto la Repubblica Romana) con cui diresse La Famiglia (1869-70); rimasta presto vedova, dal 1877 diresse la Scuola Superiore femminile della Palombella di Roma dopo Erminia Fuà Fusinato, e divenne Presidente della Società per l'Istruzione Superiore della Donna, sotto l'alto patronato della Regina. E' autrice di un Galateo della Fanciulla, e vincitrice di un primo premio per il suo Manuale pratico ad uso delle madri e delle educatrici dell'infanzia.

Angelo De Gubernatis
La tomba di Sofia De Gubernatis
nata Besobrasow
(Kiev, 1834 - Firenze, 6 ottobre 1907)
in uno dei cimiteri protestanti
di Firenze, lasciata in uno
stato davvero deprecabile
Teresa De Gubernatis

(1) Le opere di Angelo De Gubernatis sono numerosissime. Egli fu uomo di vastissima cultura, e tuttavia i posteri non gli riconoscono che questo; egli fu un estensore di raccolte di informazioni, saggi, biografie, etc., nonchè infaticabile promotore di eventi, conferenze, circoli letterari. Nel suo viaggio in India del 1885-86 raccolse manoscritti, oggetti ed opere d'arte, che formarono il primo nucleo del Museo Antropologico di Firenze (all'epoca chiamato Museo Indiano, inaugurato nel 1887). Tuttavia, per quanto riguarda le sue opere, dai drammi ai romanzi, fino ai saggi di critica letteraria, non lasciò il segno alle generazioni seguenti, mancando fondamentalmente di precisione. Così per le opere di divulgazione scientifica, non applicando alcun metodo rigoroso di ricerca, ottenne opere frammentarie e imprecise; per le opere di divulgazione umanistica, non lasciò nulla che abbia avuto quel carattere di originalità che fonda su un pensiero critico preciso, e pertanto rimase un letterato e un divulgatore, ma non un artista. Come scrisse G. Caprin su Il Marzocco del 9 marzo 1913 nella sua commemorazione: "la sua opera ha più che un interesse sacientifico o letterario, un interesse biografico" ma che "tutto ciò che il poligrafo ha scritto è troppo per uno scienziato magari geniale, e troppo poco per un genio universale". A nostro parere, leggendo i suoi scritti autobiografici, laddove egli si loda per descrivere come passasse da una passione all'altra man mano che proseguivano gli studi - prima le scienze botaniche, poi le lettere, e in queste dapprima la storia, poi la poesia, poi il dramma, poi la linguistica, poi le lingue orientali - si intuisce che De Gubernatis riusciva molto bene in tutto, tranne eccellere in un'unica cosa. In un passo dei suoi ricordi egli dice espressamente di essere "dominato dalla vanità di morir glorioso", ma la gloria non arride a tutti: egli ebbe fama in vita, e in morte riusci solamente ad evitare l'oblio.
(2) Del nichilista Bakunin i posteri si fecero beffe in vari modi; qui riportiamo ciò che un fine umorista come Riccardo Bacchelli mise in bocca allo stesso Bakunin a proposito del De Gubernatis: "Figurati che avevo trovato da ridere, dieci anni fa in Italia, con questo eccellente confusionario della buona volontà, vanesio e facondo, inesprimibilmente cattedrattico. Gli mostrai alcune prospettive politiche e sociali della mia filosofia, e ci perse la testa.[...]". R. Bacchelli, Il diavolo al Pontelungo, Milano, Mondadori, 1965, pag. 39 (prima ed. 1957).
(3) Lontano cugino di Leone Tolstoj, residente in Francia, è autore di romanzi (un suo titolo è compreso nella Biblioteca delle Signorine Salani).


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