Angelo De Gubernatis
(Torino, 7 aprile 1840 - Roma, 26 febbraio 1913)
Il conte Angelo De Gubernatis è una figura di rilievo
nel panorama dell'intellighenzia italiana della seconda metà
Ottocento, uomo di vasta cultura e molteplici attività.
Peccato che i posteri di manzoniana memoria non l'abbiano
premiato, e i motivi sono diversi (1);
noi riteniamo che, a parte il suo valore di uomo di cultura,
egli veleggi un po' troppo sopra le righe, e pecchi indiscutibilmente
di presunzione. Egli, che scrive su tutti gli argomenti possibili,
di lettere come di scienze, ha per argomento privilegiato...
se stesso. Egli non ci nasconde nulla di sé. Nell'edizione
del 1879 del suo famosissimo Dizionario biografico,
egli parla di sé per ben 24 pagine di introduzione:
e sono di grande formato, con caratteri piccoli. Sul numero
11 di Cordelia (15 gennaio 1882) egli inizia a ripercorrere
la storia della famiglia ad uso della figlia (e prosegue per
qualche numero). Dovendo tracciare una biografia dell'uomo,
tralasciamo di riportare la carriera accademica del De Gubernatis
- rintracciabile in altri siti o nei dizionari biografici
- e proponiamo il racconto della sua vita così com'egli
lo narra, magari modernizzando un po' il linguaggio. Le informazioni
qui riportate quindi sono di prima mano.
L'antica famiglia era illustre e potente; v'era stato un Gerolamo
Marcello De Gubernatis che aveva servito Casa Savoia come
Ambasciatore e come Gran Cancelliere. Tuttavia essa era decaduta,
si erano estinti i De Gubernatis conti di Bausone; i De Gubernatis
conti di Gorbio stavano per farlo.
Il padre Giovanni Battista era nato nel 1798 a Pinerolo, dove
il nonno Giuseppe Vittorio, gentiluomo di Sospello, serviva
nell'esercito piemontese; facendo parte dell'esercito del
Re di Sardegna, aveva preso parte alle campagne contro i Francesi,
ma, ferito, per lungo tempo non se ne ebbero notizie. Prima
di partire aveva affidato la moglie e l'unico figlio all'amico
Cavaliere Enrico de' Conti Pastoris di Saluggia, sicché
la nonna, non avendo notizie e credendosi dunque vedova, lo
sposò in seconde nozze. Il capitano Giuseppe Vittorio
de Gubernatis tornò dunque un giorno e trovò
la patria in mano ai Francesi e la moglie in mano ad un terzo
marito, essendo morto nel frattempo il Pastoris. Il nonno
allora prese con sé il figliolo, lasciando la moglie
al terzo marito, e si trasferì a Nizza, da dove in
origine proveniva la famiglia. Pieno tuttavia di dolore, morì
nel 1805, lasciando il figlio di sette anni, il quale fu messo
in collegio a Carmagnola. Probabilmente fu un buono studente,
dato che gli venne consegnato un libro di premio nel 1813,
ma, povero e orfano, dovette impiegarsi nell'Amministrazione
delle finanze, di cui era a capo al Ministero un cugino, tal
Giambattista De Gubernatis, che resse perfino il portafoglio
delle Finanze nel 1821 grazie alla fiducia del Principe di
Carignano. Tuttavia continuò a studiare per proprio
conto, e anzi si guadagnò degli avanzamenti fino a
divenire Direttore delle Contribuzioni Dirette per la provincia
torinese, grazie alla fiducia del Conte di Cavour. Esercitava
il vero ufficio di pater familias verso i numerosi
figli, che peraltro dagli estranei ne sentivano solo lodi.
Aveva perso la nobiltà del blasone ma non quella dell'animo;
quando il figlio Angelo rimase fermo nel proposito di darsi
alle belle lettere (rifiutando di farsi ecclesiastico in vista
di un canonicato) gli disse che se le lettere a volte danno
la fama, non sempre danno da mangiare, e comunque se lettere
dovevano essere, non avrebbe tollerato alcuna mediocrità.
Angelo De Gubernatis nacque a Torino il 7 aprile del 1840,
settimo figlio del suddetto Giambattista, cavaliere, e Maria
Cleofe Turchetti, figlia di un medico di Alessandria. A causa
della salute cagionevole, il padre nel 1841 si ritirò
a Nizza con la famiglia, lasciando il piccolo Angelo a Riva
di Chieri con la nutrice Teresa Gaidano. Nel 1843 il padre
ritornò a Chieri dove si fece promotore, insieme con
il barone Carlo Daviso, dell'istituzione degli asili di carità,
e dove tutta la famiglia visse fino al 1848. I primi rudimenti
di istruzione Angelo li ricevette dalla madre, a quattro anni
fu mandato nella scuola privata di Francesco Onesti, in seguito
maestro elementare in una scuola pubblica di Genova, e successivamente
da Don Ignazio, al quale serviva anche la Messa in Duomo.
Tra i numerosi ricordi infantili che non ci risparmia, c'è
anche quello di aver piantato una castagna d'India nel giardinetto
di casa e di aver visto l'albero crescere e farsi grande,
tanto da dar noia al vicino che lo voleva abbattere, "ma
l'albero venne difeso ed è ancora vivo e prospero,
e il suo proprietario attuale [siamo nel 1879] mi scrive che
esso non si lascerà più morire".
Recuperata la salute, Giambattista De Gubernatis si trasferì
a Torino nel 1848 occupandosi del sistema tributario, riformato
da Cavour quand'era Ministro delle Finanze. Il giovane Angelo
entrò nel collegio di San Francesco di Paola dove ebbe
per maestro delle ultime classi elementari Pietro Beiletti,
e, al ginnasio, Agostino Lace, Luigi Schiaparelli, Luigi Girelli,
Don Luigi Botto. A scuola fondò un giornaletto, dove
compendiava le lezioni ad uso dei compagni, che venne presto
soppresso dal direttore. Pare che non fosse proprio disciplinato,
tanto che avendo sbeffeggiato un professore còlto in
errore, fu minacciato di espulsione e riammesso al collegio
ma tenuto in isolamento, dopo che il padre, a casa, l'aveva
castigato a dovere. Al liceo già studia per conto proprio
per perfezionare le materie, e scrive, scrive, scrive. In
quegli anni, insieme con il fratello Enrico, poi console a
Smirne, fondò in casa un'accademia letteraria intitolata
La Speranza (lui presidente e il fratello segretario)
di cui faceva parte un gruppetto di persone i cui nomi qui
vi risparmiamo. Le attività consistevano nel leggere
i propri scritti, una volta a settimana, e sottoporli poi
all'esegesi dei compagni. Il pubblico consisteva nelle due
sorelle Teresa e Carolina e le loro amiche. L'accademia si
sciolse con la partenza di Enrico per l'Oriente, nel 1858.
Per prepararsi all'Università, Angelo compì
studi supplementari con Pier Luigi Donini, allora noto traduttore
dal latino, ed egli stesso tradusse i classici, appassionandosi
all'epica, ell'elegia, alle odi.
Nel 1857 per la prima volta si recò a teatro per udire
Ernesto Rossi recitare l'Amleto, al Teatro Carignano.
Il risultato fu che si mise a leggere tutto Shakespeare per
produrre poi un dramma, Sampiero di Bastelica, che
ebbe l'onore di venir letto dal Tommaseo e, a sentire l'Autore,
anche apprezzato. Entrato nell'autunno di quell'anno all'Università
di Torino per i corsi di belle lettere, ebbe per insegnanti
di lettere Michele Coppino, Domenico Capellina, per il latino
Tommaso Vallauri, per il greco Prieri, in storia antica Barucchi,
in storia Ricotti. Al terzo anno vinse un premio universitario
e fondò una società universitaria di lettura
e conversazione, ed un giornale che voleva intitolarsi Alessandro
Manzoni ma che poi, per non recare dispiacere al grand'uomo,
s'intitolò La letteratura civile; e, naturalmente,
iniziò a pubblicare drammi sulla Rivista Contemporanea;
uno di questi, Pier delle Vigne, venne rappresentata
dalla compagnia di Ernesto Rossi per due sere al teatro Gerbino
nel 1860. Scrisse rassegne sull'appendice de Il Diritto,
a lui affidata, e collaborò al Mondo Illustrato;
per Giuseppe Pomba, che andava raccogliendo materiale per
i suoi Contemporanei Italiani, scrisse le prime biografie
di Santorre Santarosa e di Giovanni Prati. Non contento, si
mise a studiare inglese e tedesco per conto proprio. Ottenne
di insegnare rettorica nel liceo di Chieri, dove il padre
era appena rientrato da pensionato, e dove prese il posto
del direttore del ginnasio, appena deceduto. Nel 1861 scrive
altri drammi, variamente rappresentati a teatro, ma d'ora
in poi vi risparmieremo i titoli delle opere, perchè
esse si moltilpicheranno a ritmi esponenziali.
Nel luglio 1861 morì a Torino l'ultimo conte di Gorbio,
il colonnello Vittorio De Gubernatis. Caso vuole che nello
stesso mese il giovane Angelo fosse colui che ottenne la prima
laurea in lettere del Regno d'Italia - cosa che fece un po'
di notizia e fu citato nei giornali, anche perchè si
era scomodato ad assistervi il ministro De Sanctis in persona.
La tesi negava i diritti storici del Papa al potere temporale
(e di cosa mai poteva parlare una tesi, in quell'anno?!) e
tuttavia fece un gran scalpore; la sorella di Silvio Pellico,
Giuseppina, ne levò gran rumore su L'Armonia.
Tornato dopo un breve viaggio a Chieri, fondò un nuovo
giornale, L'Italia Letteraria, che si avveleva di firme
già note: Anton Giulio Barrili, Giuseppe Revere, Vincenzo
ed Eugenio Riccardi, Ferdinando Bosio, Cletto Arrighi, ed
altri. Accintosi ad un'opera sulle origini della lingua italiana,
iniziò ad interessarsi vivamente alle lingue orientali,
focalizzandosi sul sanscrito, senza tralasciare lo studio
del fenicio e dell'ebraico. Nonostante fosse stato già
nominato professore titolare di lettere al liceo di Lucera,
partecipò al concorso per dieci posti di studio all'estero,
e nel novembre 1862 partì per Berlino, dove, impadronitosi
in breve della lingua, inziò lo studio comparato delle
lingue orientali come il vedi e lo zendo, e dove furono poste
le basi per i suoi studi futuri, che lo porteranno già
dall'anno seguente, nell'ottobre 1863, alla cattedra di sanscrito
all'Istituto di Studi Superiori di Firenze, costituito dal
ministro Amari.
A Firenze abitava all'epoca in due stanze al pianoterra affacciate
sulla piazza dell'Indipendenza; pur molto impegnato nella
scrittura di drammi, nella pubblicazione delle sue lezioni,
nella raccolta del materiale per un dizionario sanscrito-italiano,
frequentava anche gli ambienti letterari e anche i salotti;
conosceva Gino Capponi, Raffaello Lambruschini, Niccolò
Tommaseo, Atto Vannucci, Aleardo Aleardi, Francesco Dall'Ongaro.
In casa di un emigrato ungherese, Francesco Pulszky, nel 1865
incontrò il celebre profugo socialista russo Michele
Bakunin. Egli "sedeva tonante e sovrastante innanzi ad
un immenso tazzone di tè che gli poneva innanzi [...]
si adunava intorno a lui un circolo di persone attente alla
sua parola dotta, faconda e spiritosa". Vicino alla filosofia
hegeliana, Bakunin una sera interpellò direttamente
il giovane De Gubernatis, che non conosceva, e lo spinse a
parlare di Schopenauer. Al termine, gli chiese se fosse massone,
al che De Gubernatis gli rispose di no, gli chiese poi se
fosse mazziniano o repubblicano, al che De Gubernatis rispose
con un altro comizio:
"non è nella mia natura farmi seguace di un solo
uomo, per quanto grande, e però io potrei forse essere
repubblicano, ma non mazziniano, per quanto io riconosca che
il Mazzini ha reso grandi servigi alla libertà: ma
la stessa repubblica mi pare niente più che una vana
parola; oggi almeno esa non significa più nulla; vi
possono essere repubbliche aristocratiche e monarchie democratiche;
in Italia non è la monarchia, ma l'ordinamento burocratico
dello Stato che ci dà noia; ciò che importa
è la libertà; ciò che importerebbe, se
vi fosse il modo di riformare la società, sarebbe che
tutti fossero uguali, non solo innanzi alla legge, ma anche
innanzi alla questione del pane, che non è ancora uguale
per tutti, poiché agli uni sovrabbonda e agli altri
manca".
Bakunin allora cercò di associarlo all'opera sua, quel
"patto segreto internazionale" con il quale affascinava
i possibili adepti; Angelo De Gubernatis allora aveva 24 anni
e cadde nella rete, molto illudendosi sull'opera del Bakunin.
Conseguenza drammatica di questa adesione fu la rinuncia da
parte di De Gubernatis all'incarico ricevuto dal Governo che
doveva ora combattere, e rinunciò alla cattedra di
sanscrito addirittura pubblicando la lettera di dimissioni
sul giornale che aveva appena fondato, La Civiltà
Italiana, Rivista di scienze, lettere ed arti (rivista
che durò pochi numeri); pure dopo le insistenze ministeriali
il giovane rimase fermo nei suoi propositi di gettarsi nell'ignoto,
abbandonando l'avvenire pur sicuro. Per questo egli venne
benissimo accolto dalle gerarchie della società bakuniana
e postone ai vertici. Il ritratto del giovane Angelo De Gubernatis
adornava così gli album dei fratelli, tra quello
di Garibaldi e quello di Mazzini.
Infervorato dall'entusiasmo dell'adepto, tenne un corso di
storia popolare fiorentina alla Quinet, spiegata in senso
repubblicano e socialistico, e si offerse di andar per le
campagne per farvi propaganda; tuttavia al capo della setta
premeva più di racogliere denaro per sé e per
i suoi amici, e ben presto De Gubernatis si rese conto che
tutti volevano esser capi e nessuno fare il gregario, e che
si trattava più che altro di un gioco, compresa la
stesura di piani irrealizzabili e la composizione di inutili
cifrari. Volendo persuadere un giovane toscano ad entrare
nella società bakuniana, De Gubernatis venne invece
persauso da costui - uno che aveva fatto le campagne di Sicilia
e d'Aspromonte - che gli intenti della società erano
assai fumosi e poco produttivi per il popolo. Si era a questo
punto quando dalla Russia arrivò il fratello di Bakunin,
Alessandro, un "savio ed onesto filosofo" con la
moglie Natalia ed una cugina con la figlia, Sofia Besobrasow.
La giovane gli venne presentata come pittrice dilettante e
appassionata d'arte e dell'Italia, ma assai infelice - per
quale motivo, non vien detto. Tre mesi dopo Angelo De Gubernatis
sposava Sofia Besobrasow nella chiesa russa di Napoli, non
prima di aver convinto il Bakunin a sciogliere la sua società.(2)
Egli entrò quindi a far parte delle varie società
democratiche e repubblicane di Firenze, sempre vedendo nei
nobili e nei ricchi i tiranni della società, fino a
promuovere la costituzione di un pubblico parlamento popolare
permanente in opposizione al parlamento monarchico, e pose
tutte le sue sostanze in una tipografia in cooperativa che
doveva occuparsi della stampa repubblicana, che ben presto
fallì e lasciò De Gubernatis sul lastrico. Persuaso
della sterilità di tutti i moti rivoluzionari e violenti,
il buon senso gli disse di ritornare sui suoi passi e dedicarsi
agli studi e ritornare alla fede monarchica, che da quel momento
lo annoverò tra i suoi più fedeli sudditi. Fatta
onorevole ammenda, due ministri della Pubblica Istruzione
che si succedettero tra il 1866 e il 1867 lo incoraggiarono
sulla ritrovata via delle lettere, così che egli pubblicò
la Memoria sui viaggiatori italiani nell'India a spese
del Ministero, e venne altresì aiutato nel fondare
la Rivista Orientale, finché ministro divenne
Michele Coppino, suo antico insegnante, il quale lo invitò
ad aprire nell'istituto di Studi Superiori un corso di lezioni
sulla letteratura indiana. Era il primo passo verso la reintegrazione.
Al secondo anno di lezioni il corso venne dichiarato ufficiale,
e nel 1867 De Gubernatis riebbe la sua cattedra.
Anni dopo, sulle pagine di Cordelia, De Gubernatis
pubblicò degli stralci dell'epistolario tenuto con
il padre su questo drammatico periodo della sua vita, di cui
proponiamo un esempio:
|
Cordelia,
Anno I, n° 16, 19 febbraio 1882
Alcuni stralci delle lettere che Angelo De Gubernatis riceveva
dal padre e che vennero pubblicate, come esempio di virtù
e di saggezza,
in due numeri di Cordelia del febbraio 1882, in una
rubrica dal titolo "consigli ad un giovane".
Anno pieno di cambiamenti, il 1867, perchè nel luglio
nacque Cordelia, per la quale Sofia aveva comperato una villetta
in Santo Stefano di Calcinaia, presso Signa; in autunno morì
il padre di De Gubernatis e l'anno dopo la madre. Pubblicata
l'Enciclopedia Italiana, Angelo De Gubernatis insegnò
ancora un anno e mezzo come professore straordinario, ma nel
1869 il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (ministro
Broglio), esaminati i titoli, lo nominava come titolare definitivo
della cattedra, che egli mantenne fino al 1991. Nel frattempo
pubblicava ancora drammi, e ancora testi storici sugli usi
indiani. Nello stesso anno iniziò a dirigere la Rivista
Contemporanea, pubblicata a Torino dall'editore Negro,
ma volendo rimanere a Firenze rinunciò alla rivista
torinese e ne fondò una fiorentina, chiamata Rivista
Europea. Ancora nel 1869 compì il primo viaggio
in Russia, insieme con la moglie e la figlioletta. Collaborò
nell'occasione al Messaggiere d'Europa di Pietroburgo,
e iniziò la collaborazione all'Atheneum di Londra,
che si protrasse per lunghi anni.
Tra il 1870 e il 1872 compilò la Mitologia Zoologica,
dedicata a Michele Amari e Michele Coppino, tradotta in inglese,
francese, tedesco. Il testo fu occasione per fargli conosce
il conte Alessio Tolstoj (3). Nel 1872
pubblica un testo intitolato Ricordi biografici, biografie
di uomini illustri del suo tempo, dove sono pubblicate anche
lettere private, oltre a numerosi saggi poetici. Il testo
è dedicato alla moglie: "Mia cara Sofia, a Te,
che in giorni a me sconsolati risuscitavi tutte le mie morte
speranze, a Te compagna soave e diletta della mia seconda
vita, a Te custode amorosa e santa de' nuovi miei lari, voglio
dedicati questi ricordi". Nel 1873, mentre componeva
l'ennesimo dramma, Romolo, dedicato al duca di Sermoneta,
nacque il figlio Alessandro. Sempre nel 1873 decise che era
ora di cominciare a scrivere di sé, e pubblica i Ricordi
biografici, dedicati alla moglie. Nel 1874 pubblica diversi
testi sempre sulla mitologia vedica e sull'India.
La
Storia dei viaggiatori italiani nell'India venne presentato
al Congresso Geografico di Parigi, dove De Gubernatis si recò
facendo un bel viaggio tra Francia e Germania, e dove ebbe modo
di conoscere personalmente Daniele Stern, la contessa d'Agoult,
di cui era fervente ammiratore, l'Egger, il Baudry e il Laboulaye.
Nel 1875 scrisse il Romolo Augustolo, dedicato a Tullo
Massarani, e vari testi sulle tradizioni popolari. Nel 1876
partecipò al terzo Congresso degli Orientalisti di Pietroburgo
quale delegato del Governo italiano, dove potè assicurarsi
la sede di Firenze per il quarto Congresso, nominato presidente
Michele Amari e segretario lo stesso De Gubernatis. In preparazione
di ciò pubblicò a proprie spese il Bollettino
italiano degli Studi Orientali ed organizzò una mostra
ed inaugurò, alla presenza dell'imperatore del Brasile
Don Pedro, l'Accademia Orientale. Durante il famoso Congresso,
al quale presenziò S.M. il Principe Amedeo venne rappresentato
un suo "idillio drammatico" a tema indiano, dedicato
alla Regina Margherita, che si era degnata di gradirne la dedica.
Non contento, scrisse rassegne mensili sulle letterature straniere,
si recò ad Oxford per delle letture sopra Alessandro
Manzoni, in seguito pubblicate da Le Monnier, dove nell'occasione,
passato da Londra, conobbe il Gladstone; ed ebbe il tempo di
passare anche da Weimar ad ossequiare il granduca Alessandro,
presentato dal vecchio amico duca di Sermoneta. Nel 1879, infine,
pubblicò una delle sue opere ancora oggi valide e consultate,
quel Dizionario Biografico dal quale abbiamo tratto la
storia suddetta.
Storia dalla quale abbiamo omesso tutto ciò che non attiene
alla stretta biografia dell'uomo; tuttavia, dobbiamo notare
come questa storia sia condita di riflessioni incredibili. Senza
far nomi, spesso De Gubernatis accenna a dei "nemici",
persone che "lo hanno tradito", persone che "parlaron
male" di lui, raccontando anche degli episodi veramente
superflui. L'autobiografia è firmata nel 1879, eppure
egli parla di sé come se avesse terminato di esistere.
Le ultime due pagine sono un mix allucinante di buoni sentimenti
verso i nemici ("non ho proprio tempo di occuparmi di loro",
"ho già condonato volentieri tutto il male che hanno
potuto o voluto farmi"); autocelebrazione sul tenore di
"nessuna invidia mi toccò mai", "nessuna
meschina vanità mi tenta"; e rassicurazioni al lettore
che non è la gloria ch'egli cerca: "non mi preme
molto che si dica di me: egli è il primo de' mitologi,
egli è il primo degli orientalisti, egli è il
primo de' critici, egli è il primo de' poeti; io posso
essere benissimo, anzi tollero, con perfetta rassegnazione,
l'opinione ch'io possa essere l'ultimo poeta, l'ultimo critico,
l'ultimo orientalista, l'ultimo mitologo"; "non sono
nato né per servire né per comandare [...] mi
importa finalmente assai più vivere da galantuomo che
ottener fama di grande scrittore"; "non ispero raggiungere
alcuna perfezione"; e infine: "Tirando, dunque, la
somma degli anni ch'ei visse, s'egli non ha potuto, pur troppo,
operar nulla di grande, si può dire, almeno, che egli
ha dato agli uomini più di quello che loro ha preso."
Sono parole che si commentano da sole.
Morti
nel 1881 anche il fratello maggiore e una sorella, a fine anno
diede origine ad una rivista per ragazzine, battezzata Cordelia
come la figlia diletta; come di quasi tutti i suoi progetti,
se ne stancò presto, lasciando la direzione a Ida Baccini
che ne fece quel successo a tutti noto. Complessivamente il
lavoro di Angelo De Gubernatis fu immenso, dalla compilazione
dei famosi dizionari biografici e bibliografici, opere teatrali,
saggi di indianistica, studi sul linguaggio, fino ad una monumentale
Storia Universale della Letteratura in 23 volumi, e numerose
iniziative culturali, tra le quali ricordiamo l'Esposizione
Beatrice nel 1890. Nel 1891 De Gubernatis ottenne
l'ambita cattedra di letteratura italiana all'Università
di Roma, insieme a quella di sanscrito, che tenne fino alla
morte. Nel 1906 De Gubernatis fu perfino candidato al premio
Nobel per la letteratura. Egli acquistò grandissima fama
come erudito, e si fece apprezzare "dal nostro buon Re",
tanto che avrebbe voluto richiedere per il padre il titolo perduto
- ma troppo tardi: il padre era morto il 3 settembre 1867. E
quando finalmente venne il titolo, a lui assegnato per meriti
letterari, ne fu in realtà assai lieto. Il conte
Angelo De Gubernatis, come viene oggi normalmente chiamato,
scopriamo così essere di recente nobiltà sabauda.
Teresa
De Gubernatis
(Torino, 21 marzo 1832 - Roma, 28 dicembre 1893)
Angelo era il settimo di undici figli. La sorella maggiore Teresa
è colei che lo ispirò nell'ideazione di Cordelia
di cui fu collaboratrice fin dal primo numero. Studiò
in casa ma il padre le permise di frequentare la scuola di metodo
fondata da Ferrante Aporti. Nel 1849 fu Presidentessa della
Commissione per le scuole secondarie e dal 1857 Ispettrice Generale
per gli asili di Torino. Diresse poi una scuola d'infanzia per
le classi agiate (fondata sempre dall'Aporti), ma lasciò
l'incarico nel 1853 per fondare, insieme con il padre, la sorella
Carolina (n. Torino nel 1834), la sorella Cecilia (n. Chieri
5/7/1846), il fratello Enrico ed altre persone, un Istituto
Femminile di Educazione e Istruzione frequentato dalle classi
abbienti e nobiliari di Torino. Lasciò la direzione dell'istituto
nel 1858 poichè sposò il giornalista Michele Mannucci
(1823-1871, Governatore di Civitavecchia sotto la Repubblica
Romana) con cui diresse La Famiglia (1869-70); rimasta
presto vedova, dal 1877 diresse la Scuola Superiore femminile
della Palombella di Roma dopo Erminia Fuà Fusinato, e
divenne Presidente della Società per l'Istruzione Superiore
della Donna, sotto l'alto patronato della Regina. E' autrice
di un Galateo della Fanciulla, e vincitrice di un primo
premio per il suo Manuale pratico ad uso delle madri e delle
educatrici dell'infanzia.
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La
tomba di Sofia De Gubernatis
nata Besobrasow
(Kiev, 1834 - Firenze, 6 ottobre 1907)
in uno dei cimiteri protestanti
di Firenze, lasciata in uno
stato davvero deprecabile
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(1)
Le opere di Angelo De Gubernatis sono numerosissime.
Egli fu uomo di vastissima cultura, e tuttavia i posteri non
gli riconoscono che questo; egli fu un estensore di raccolte
di informazioni, saggi, biografie, etc., nonchè
infaticabile promotore di eventi, conferenze, circoli letterari.
Nel suo viaggio in India del 1885-86 raccolse manoscritti, oggetti
ed opere d'arte, che formarono il primo nucleo del Museo Antropologico
di Firenze (all'epoca chiamato Museo Indiano, inaugurato nel
1887). Tuttavia, per quanto riguarda le sue opere, dai drammi
ai romanzi, fino ai saggi di critica letteraria, non lasciò
il segno alle generazioni seguenti, mancando fondamentalmente
di precisione. Così per le opere
di divulgazione scientifica, non applicando alcun metodo rigoroso
di ricerca, ottenne opere frammentarie e imprecise; per le opere
di divulgazione umanistica, non lasciò nulla che abbia
avuto quel carattere di originalità che fonda su un pensiero
critico preciso, e pertanto rimase un letterato e un divulgatore,
ma non un artista. Come scrisse G. Caprin su Il Marzocco
del 9 marzo 1913 nella sua commemorazione: "la sua opera
ha più che un interesse sacientifico o letterario, un
interesse biografico" ma che "tutto ciò che
il poligrafo ha scritto è troppo per uno scienziato magari
geniale, e troppo poco per un genio universale". A nostro
parere, leggendo i suoi scritti autobiografici, laddove egli
si loda per descrivere come passasse da una passione all'altra
man mano che proseguivano gli studi - prima le scienze botaniche,
poi le lettere, e in queste dapprima la storia, poi la poesia,
poi il dramma, poi la linguistica, poi le lingue orientali -
si intuisce che De Gubernatis riusciva molto bene in tutto,
tranne eccellere in un'unica cosa. In un passo dei suoi ricordi
egli dice espressamente di essere "dominato dalla vanità
di morir glorioso", ma la gloria non arride a tutti: egli
ebbe fama in vita, e in morte riusci solamente ad evitare l'oblio.
(2) Del nichilista Bakunin i posteri si fecero beffe in vari
modi; qui riportiamo ciò che un fine umorista come Riccardo
Bacchelli mise in bocca allo stesso Bakunin a proposito del
De Gubernatis: "Figurati che avevo trovato da ridere, dieci
anni fa in Italia, con questo eccellente confusionario della
buona volontà, vanesio e facondo, inesprimibilmente cattedrattico.
Gli mostrai alcune prospettive politiche e sociali della mia
filosofia, e ci perse la testa.[...]". R. Bacchelli,
Il diavolo al Pontelungo, Milano, Mondadori, 1965, pag.
39 (prima ed. 1957).
(3) Lontano cugino di Leone Tolstoj, residente in Francia, è
autore di romanzi (un suo titolo è compreso nella Biblioteca
delle Signorine Salani).
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