Nasce a Firenze
il 3 giugno 1877. Figlio di Mariano e Flora Tavvi, Giachetti viene
battezzato in Santa Maria del Fiore con un'abbondanza di nomi propri:
Cipriano Marco Pio Giovanni Mariano Giulio Emilio. Famiglia fiorentina
DOC, il padre è Segretario al Ministero delle Finanze nel 1869
e Capo dell'Uffizio della Cassa Militare nel 1887.
Ricordato come giornalista, Giachetti era destinato a tutt'altra carriera.
Nel 1898-99 lo troviamo iscritto al quarto anno della Sezione di Medicina
e Chirurgia del Regio Istituto di Studi Superiori Pratici (poi Università)
di Firenze. Al quinto anno frequenta, come parte obbligatoria del
corso, la Clinica Psichiatrica di San Salvi, Reparto di Osservazione
della facoltà di Medicina. Dopo la laurea, nel 1901, Giachetti
vi rimane come assistente volontario. Suo compagno di studi e collega
è Carlo Pariani, che più tardi (1926-1932) avrà
in cura Dino Campana e ne scriverà una biografia (1).
La psichiatria suscita l'interesse di Giachetti che redige il suo
primo volume di studi psicologici La fantasia, (Torino,
Bocca, 1912) seguito da altri trattati i cui principi sui metodi terapeutici
sono considerati all'avanguardia, per l'epoca, nel campo della psicoterapia.
Egli si professa fautore della "psicoterapia razionale"
introdotta dal medico bernese Paul Dubois (1848-1918), centrata sul
ragionamento e sulla persuasione (2).
Per la meritata rinomanza che acquista in campo scientifico nel 1913
entra a far parte dell'Accademia Roveretana degli Agiati di Rovereto
(TN) (3).
Ma allo stesso tempo lo attrae il giornalismo, amore adolescenziale,
anzi infantile: "ho imperversato fin da ragazzo nei giornali"
dichiara in Il Primo Passo, a cura di Luigi Personè,
Nemi, 1930. A cinque anni, tutto solo, mette insieme un giornaletto
intitolato "La Tromba", illustrato dal padre. Unica abbonata
la madre, che lo legge ad alta voce la sera a veglia, con gran diletto
del nonno. In prima liceo pubblica insieme con un amico il primo numero
di "Lyceum" in una tiratura di venti copie stampate col
velocigrafo, antenato del ciclostile e, nonostante i compagni di terza
lo scherniscano per il suo contenuto zuccheroso con l'uscita di un
derisivo "Licet", produce un secondo numero che viene intercettato
e sequestrato dal professore di storia, ponendo fine alla sua attività
di giornalismo scolastico con una punizione.
Ma egli persiste e nel 1905 - a 28 anni - è redattore del neonato
Nuovo Giornale, "una palestra aperta a tutti gli uomini
colti, che intendano a un rinnovamento profondo delle condizioni del
Paese".
Nella Grande Guerra Giachetti serve la Patria come capitano medico.
Alla fine del conflitto le condizioni del Paese sono disastrose ma
all'orizzonte è apparso chi le rinnoverà: Benito Mussolini,
l'Uomo del Destino. E' innegabile che furono proprio uomini come Giachetti,
borghesi intellettuali, ex combattenti, che, in un misto di interesse
personale e idealismo, videro in Mussolini il salvatore della patria,
divennero fascisti della prima ora e lo sostennero.
Giachetti era nazionalista: aveva partecipato al primo congresso nazionalista
tenutosi a Firenze il 2 Dicembre 1910, e la sua conversione al fascismo
fu una conseguenza naturale. Si compì presumibilmente nell'ottobre
del 1919 quando si tenne, di nuovo a Firenze, il primo congresso nazionale
dei Fasci italiani di combattimento. Giachetti si convinse che il
fascismo "non è un partito, ma uno stato d'animo"
(4).
I suoi articoli sui numerosissimi periodici e riviste a cui collabora
diventano strumenti di propaganda del regime, coronati dal volume
Fascismo liberatore, Carli,1922, agiografie di illustri
fascisti, con disegni di Brivido (pseudonimo di Alberto Manetti, giornalista/caricaturista,
Firenze, 1887-1941).
Giachetti,
inevitabilmente, si fa notare più per zelo politico che per talento
letterario (5) e fa carriera. Nel 1922 è vicedirettore del Nuovo
Giornale. Nel 1924 passa alla Nazione e riceve la Croce di Commendatore
della Corona d'Italia. Viene accolto all'Accademia di Scienze ed Arti
la Colombaria (Fi) e all'Accademia delle Arti e del Disegno (Fi). Nel
frattempo scrive romanzetti, novelle, racconti, saggi, commedie e drammi
(rappresentati con un certo successo). Cura per la casa editrice Nemi
la collana "Collezione del teatro comico e drammatico", si
acquista fama di esperto e, di professione, diventa ufficialmente critico
teatrale. Nel 1928 prende il posto del defunto Ferdinando Paolieri come
critico teatrale alla Nazione.
Viaggia
in Medio Oriente (fa un resoconto su Gerusalemme per Cordelia (6),
diretta all'epoca dall'amica Rina Maria Pierazzi).
A
Firenze vive in via Montebello 32.
Fra i suoi frequentatori /conoscenti/amici si contano Sam Benelli,
Roberto Mandel, Giovanni Poggi direttore degli Uffizi, Antonio Beltramelli,
Silvio D'Amico, Sabatino Lopez, Pitigrilli, Corrado Pavolini, Asvero
Gravelli, in pratica la crème del teatro e della letteratura
italiani dell'epoca e della gerarchia fascista.
Il 28 dicembre 1939 alle Tavernuzze (Impruneta, FI), sposa dopo una
lunga relazione Anna Maria Zuti, attrice teatrale della compagnia
fiorentina Niccoli, conosciuta attraverso il suo lavoro di critico
negli anni Venti. La Zuti debuttò nel cinema nel 1917 con "Un
cuore" e vi ritornò dopo quasi trent'anni in parti secondarie.
Recitò, ad es. in "Avanti c'è posto" con Aldo
Fabrizi, "La signora è servita" e "Processo
delle zittelle", entrambi con Carlo Dapporto.
In piena Guerra, subito dopo la proclamazione della Repubblica di
Salò (il 23 settembre 1943) il fervore fascista di Giachetti
raggiunge il suo apice. Dalle pagine della Nazione, sotto lo pseudonimo
Acis, tuona, con i colleghi, contro la mancanza di spirito patriottico
(leggi: fascista) dei fiorentini che non rispettano le piccole norme
di comportamento civile; che affollano, oziosi, i vari caffè
cittadini; che contribuiscono ad alimentare il mercato nero; e si
accanisce contro l'assenteismo degli insegnanti di ogni grado colpiti
da uno "strano morbo" che "ha un solo giorno di tregua
durante il mese, il giorno 27". Infatti gli insegnanti con varie
scuse non si presentano alle lezioni temendo di essere forzati a prestare
giuramento alla RSI.
Nel 1944 all'arrivo degli Alleati a Firenze viene marcato come collaborazionista
e si rifugia al Nord. A Torino Lucio Ridenti, direttore de Il
Dramma, rifiuta di continuare a dirigere la rivista sotto
le autorità della (nelle sue parole) "cosidetta Repubblica
di Salò" asservite all'invasore tedesco e Giachetti, che
già vi aveva contribuito (7), viene commissariato al suo posto.
Sarà responsabile di cinque numeri, fino al 16 aprile 1945.
A dicembre Ridenti li rinnegherà pubblicamente per iscritto.
Negli ultimi giorni della guerra Giachetti scrive insieme con Luigi
Giacosi la sceneggiatura del film "Porte chiuse" del regista
Borghesio, interprete Lilla Brignone, che fu girato a Torino, ma di
cui si ignora se sia stato terminato e/o distribuito.
Dopo
la guerra sfugge ad un processo e condanna per collaborazionismo grazie
alla Legge Togliatti. Siamo nel 1947. Giachetti ha solo 70 anni ma
non ne avrà per molto. Provato dalle vicende degli ultimi anni,
disilluso dal nuovo ordine, muore a Firenze il 6 marzo 1951. Figlio
di un'epoca che gli italiani vogliono dimenticare, sarà presto
dimenticato.
La sua vita professionale è riassunta nel lapidario giudizio
che ne diede Papini, alla morte, in una lettera all'amico Domenico
Giuliotti: "Morì, poverino, Giachetti. Incompetente, se
l'è cavata da giornalista." (8).
Pseudonimi utilizzati da Cipriano Giachetti: Chetti, Cipriano Gian,
Gian Chetti, Cip, Acis (sulla Nazione).
NOTE:
(1) Carlo Pariani: Vite non romanzate di Dino Campana scrittore
e di Evaristo Boncinelli scultore, Vallecchi,1938. Nel testo Pariani
ricorda il suo vecchio compagno di studi citandone "il degno
volume" La fantasia.
(2) "Radici antiche di una idea moderna lo psicologo di base"
di Glauco Ceccarelli in La professione di psicologo. Giornale dell'Ordine
Nazionale degli Psicologi n.1, dicembre 2012.
(3) Fondata nel 1750. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti.
(4) In Fascismo Liberatore.
(5) "Non avendo niente di meglio da raccontare: A Firenze mi
sono presentato a Cipriano Giachetti dopo una orrenda conferenza sulla
storia del teatro... Interessante ma non si ricordava un accidenti".
Lettera di Italo Calvino a Eugenio Scalfari, Firenze, marzo 1943.
(6) Cordelia, dicembre 1931.
(7) Es. In Il Dramma, Torino, 1/4/1942. Recensione a "Io,
L'erede" di Eduardo de Filippo.
(8) Carteggio Giuliotti-Papini 1940-1955, a cura di Nello Vian, 1984.
© Anna
Levi, dicembre 2015