Nasce a Bussolengo (VR) l'11 luglio 1881 da Filippo e Giuseppina
Anichini; nel 1891 la famiglia si trasferisce a Verona per permettere
al figlio di frequentare scuole regolari; infine viene messo
in collegio presso i Padri Stimatini, dove ottiene la licenza.
Nel 1897 si iscrive all'Istituto Nautico di Genova, pensando
di emulare le gesta del suo idolo, Emilio Salgari, il quale
nel frattempo era venuto ad abitare non lontano, nel quartiere
Sampierdarena. Nel 1901 pubblica il suo primo testo, I
flagellatori dell'Oceano, dedicato al grande scrittore,
che in virtù del fatto d'essere compaesani gli firma
la presentazione e lo elogia. L'editore Speirani di Torino,
che stava cercando di rimpiazzare Salgari in qualche modo, gli
fa un contratto e tra il 1903 e il 1904 gli pubblica quattro
titoli; più o meno contemporaneamente, Motta ne pubblica
ben sei con l'editore Celli di Milano.
La critica oggi è concorde nell'asserire che i testi
di Motta sono una mera brutta copia di quelli salgariani, ma
all'epoca le cose erano percepite diversamente. Motta stesso
ha l'intuizione che le novità portate dal progresso non
dovevano venire sottovalutate, e anzi ogni innovazione fantastica
avrebbe attirato i lettori. Egli si pone tra J. Verne ed E.A.
Poe e dichiara di "voler dare un taglio scientifico al
romanzo d'avventura", vale a dire intende scrivere romanzi
di fantascienza, termine che non è ancora stato inventato.
Nel 1908 finalmente viene cooptato dalla casa editrice dei Fratelli
Treves, e da qui inizia la sua produzione più feconda,
quella che in definitiva gli darà la notorietà.
La casa editrice fa illustrare i suoi testi nientemeno che da
Giuseppe Amato, uno dei migliori illustratori salgariani. Sono
una dozzina i titoli pubblicati nei primi dieci anni di collaborazione,
ed inoltre la Treves pubblica anche sul Secolo XX molti
titoli in appendice. Nel 1920 Treves tuttavia non gli rinnova
il contratto, e Motta passa con il fiorentino Bemporad, il quale
stava ristampando tutto ciò che poteva a firma Salgari,
dato che questa tirava le vendite in maniera esponenziale. Erano
indubbiamente i tempi in cui il romanzo d'avventura, meglio
se esotica, attirava il pubblico. Bemporad addirittura gli dedica
una collana "Opere di Luigi Motta".
Non
solo, ma iniziano ad apparire titoli a doppia firma, Salgari-Motta.
Non è facile sbrogliare la matassa dei titoli cambiati,
dei manoscritti rimaneggiati, dei testi salgariani scopiazzati,
degli appunti lasciati da Salgari ai figli che cercano di cavarne
quanto più possibile affidandosi ai ghost-writers. Essendosi
inoltre esaurita la vena - se mai ci fu stata - dello stesso
Motta, questi addirittura riprende in mano i propri testi variandone
titolo e personaggi. Negli Anni Trenta collabora a diversi giornali
per ragazzi, tra cui Il Corriere dei Piccoli e L'Avventuroso,
almeno fin quando il Regime non vieta l'importazione dei fumetti
americani.
Comunque sia, non fa certo la fame come Salgari, anzi: può
acquistare una bella proprietà sul lago di Garda, dove
si ritira a scrivere; tuttavia gli anni passano, il gusto dei
lettori cambia, dopo la Seconda Guerra Mondiale cambia tutto.
Motta cade nel dimenticatoio, dal quale tenta di sollevarsi
nel 1951, ancora una volta pubblicando un libro a doppia firma
Salgari-Motta, la sua ottantesima opera: Sandokan, Rajah
della jungla nera, ma nessuno più gli crede (l'avevano
mai creduto?). Muore a Milano il 18 dicembre 1955, assistito
dalla moglie e dall'amico Emilio Firpo, colui con il quale,
insieme con Emilio Salgari, aveva stretto amicizia fin dal lontano
1898, e con il quale aveva dato alle scene delle opere teatrali
in musica con un certo successo, tanto che Emilio Salgari ebbe
il tempo di congratularsene.
Iniziato con l'ammirazione del più giovane verso il più
anziano, presto divenuta amicizia, il rapporto di Luigi Motta
con Emilio Salgari è assai controverso, dato che il rapporto
"fisico" tra i due si interrompe a forza con la morte
di quest'ultimo, e ciò che rimane è il rapporto
della mente, vale a dire l'opera dell'uno rispetto a quella
dell'altro. E' innegabile che Motta abbia sofferto di complessi
di inferiorità, volendo emulare uno scrittore geniale
avendo a sua disposizione poca genialità. Qualche critico
gli riconosce una certa vena indipendente quando si tratti di
fantascienza, tuttavia non bastante a farne un nome nella storia
della letteratura del XX secolo.
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Uno
dei tanti titoli a doppia firma
Luigi Motta ed Emilio Salgari,
Addio Mompracem!,
Sonzogno, 1929,
cover di Fabio Fabbi
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Dal
catalogo Bemporad 1935
(courtesy Tesori di carta, Bologna)
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Credits:
Felice Pozzo per Rocambole n°
21, 2002
©www.letteraturadimenticata.it, novembre 2009
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Luigi Motta
Nel 1906 sposa Bianca Polzi, e
in seconde nozze Amelia Razza;
da nessuna ebbe figli.
Luigi Motta,
I flagellatori dell'Oceano,
Soc. Ed. Italica, 1923
Ill. di G. D'Amato
Il
gusto de pubblico per i romanzi d'avventura risale alla
seconda metà Ottocento, dove un nome brilla incontrastato,
quello di Giulio Verne, il quale inaugura un genere tutto
suo, quello dell'avventura fantascientifica, e dove fiorisce
tutta una generazione di scrittori che fanno dell'ambiente
esotico il loro unico topos.
Joseph Conrad scrive il suo primo racconto, Almayer's
Folly, nel 1890 e lo ambienta al Borneo: Conrad vive
per molto tempo in Malesia, nelle isole del Pacifico e
del Sudamerica. Rudyard Kiping, nato a Bombay, vive in
India e lì ambienta i suoi famosissimi racconti,
detti appunto "libri della jungla". Jack London,
californiano di San Francisco, viaggia dappertutto nel
nordamerica, fino in Alaska dove partecipa alla corsa
all'oro, e può a buon diritto descrivere questi
luoghi nel suoi libri. Il più prolifico di tutti,
Fenimore Cooper, il narratore della frontiera, vive la
giovinezza nelle praterie del nordamerica e passa tre
anni in Marina, per non parlare di R. L. Stevenson, che
si trasferisce a vivere in un'isola del Pacifico (ma l'aveva
già fatto Paul Gauguin...).
Salgari e Motta si trovano dunque a scrivere in un periodo
storico dove impera letteralmente il gusto dell'esotico
e dell'avventura allo stato puro. In Italia non v'è
altro narratore che si sia cimentato su questa strada,
anche se - a differenza degli autori su citati - entrambi
non si sono mai mossi da casa. Hanno avuto coraggio. La
differenza sostanziale tra i due, tuttavia, è che
Salgari non solo si documenta molto accuratamente in biblioteca,
ma gode anche di una genuina vena ispiratrice, mentre
Motta, la cui prosa è tanto piatta da rasentare
la sciatteria, non fa il minimo sforzo per rendersi edotto,
ma si limita a "copiare".
E.M.
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