Nella
propria autobiografia, I miei ricordi (pubblicata postuma
nel 1867), Massimo d'Azeglio esordisce ammettendo tranquillamente
"ho passata tutta intera la mia vita sino a tre mesi fa senza
saper altro della mia famiglia se non poche notizie udite da un vecchio
agente di casa". E le notizie dovevano essere davvero poche,
se nell'occasione della morte del fratello Roberto egli dovette fare
delle ricerche in fretta, per non lasciare senza storia la tomba del
maggiore della casata. Fu il nipote Emanuele, anni dopo, a pubblicare
un delizioso Une famille piémontaise au moment de s'éteindre,
dalla quale apprendiamo l'intera storia avita di Massimo Taparelli,
signore di Maresco, conte di Lagnasco, Genola e Cortandone, marchese
d'Azeglio e Montanera.
Risale all'anno 1180 il primo accenno a un Taparelli tra i membri
della Società dei nobili d'Albergo che reggevano il borgo di
Savigliano, ma è solo a partire dai primi del secolo XIV che
si ha notizia sicura del capostipite del ramo che ci interessa, Giorgio
Taparelli. I figli di costui, Gioffredo, Pietrino e Leone, nel 1341
acquisirono per ventimila fiorini d'oro il feudo di Lagnasco dal marchese
Tommaso di Saluzzo, che si aggiunse alla terre di Genola, già
possedute da tempo. I tre fratelli originarono i tre rami in cui si
divise la casata Taparelli: di Maresco (spentosi nel 1555), di Genola
(spentosi nel 1830), e di Lagnasco (il ramo del Nostro). E' infatti
quest'ultimo il vero predicato della famiglia Taparelli, poichè
il marchesato d'Azeglio pervenne solamente a metà del secolo
XVIII per via di matrimonio.
Nel 1349 un Antonio Taparelli fu tra i firmatari dell'atto di consegna
di Savigliano ad Amedeo VI, il Conte Verde; ci fu un Aimone Taparelli,
domenicano, morto da Inquisitore in odore di santità e proclamato
beato da Pio IX; un Giuseppe Taparelli dottore in legge fu consigliere
di Jolanda di Francia vedova di Amedeo IX; un Benedetto Taparelli
fu giudice del marchesato di Saluzzo al tempo dei Francesi (ricordiamo
che su Saluzzo v'era una pretesa del trono di Francia come parte della
dote di Caterina de' Medici) e nel 1570 fece restaurare il castello
di Lagnasco dotandolo di splendidi arredi, tanto che il portale è
attualmente in dotazione al museo civico di Torino.
Nella storia della famiglia non mancano le faide, soprattutto la lotta
acerrima e secolare con i congiunti Faletti, alla quale pare mise
fine Amedeo VI, e sembra risalga a codesta pacificazione il secondo
motto di famiglia, d'accord d'accord. Tuttavia, non cessarono
le faide interne agli stessi membri Taparelli: nel 1445 i fratelli
Guglielmone e Leone e i figlio di costui Bartolomeo fanno fuori un
Filippo, e l'anno dopo un Antonio cerca di far fuori a sua volta Guglielmone,
segno che tra i cugini non correva certo buon sangue. Tralasciamo
di riportare altri episodi consimili, così come gli innumerrvoli
matrimoni dei Taparelli con fanciulle provenienti da famiglie cospicue,
limitandoci a segnalare una principessa Wittgenstein e una Carignano.
Dal secolo XVII in poi i Taparelli sono magistrati, soldati, ecclesiastici,
o assumono qualche carica a corte; nel 1622 Carlo Emanuele I li onora
assegnando al ramo di Lagnasco la corona comitale.
Massimo Taparelli, marchese d'Azeglio, nasce a Torino il 24 ottobre
1798, quartogenito di Cesare. Ha un fratello maggiore, Roberto (1790-1862),
che tuttavia non riveste lo stesso spessore artistico e politico del
fratello minore. Esule con la famiglia a Firenze, dopo la caduta di
Napoleone ritorna a Torino capitale e studia all'Università;
in seguito si trasferisce a Roma al seguito del Papa, dove deve prestare
il servizio d'uso alla nobiltà. Nella città eterna si
entusiasma per l'arte, tra il 1816 e il 1820 studia pittura con il
fiammingo Verstappen dal quale apprende la maniera dei vedutisti nordici;
infatti è apprezzato paesaggista, anche se è più
noto come pittore di quadri di battaglie ("La disfatta di Barletta"
e "Leonida alle Termopili" sono i suoi quadri più
famosi). Nel 1830 torna a Torino in occasione della morte del padre,
ma si trasferisce subito a Milano, dove frequenta i circoli letterari
ed artistici. Tra il 1831 e il 1848 espone al pubblico, ma in quell'anno
partecipa alle guerre risorgimentali contro gli Austriaci. L'attività
politica e la conseguente attività letteraria gli fanno abbandonare
la pittura. Diventa intimo di Alessandro Manzoni, di cui sposa la
figlia maggiore Giulia, e si dedica alla letteratura. Giulia tuttavia
muore presto di "tabe mesenterica", una forma di anoressia,
il 20 settembre 1834, lasciando una bimba piccola, Alessandrina, che
fu allevata addirittura dalla bisnonna Giulia Beccaria. D'Azeglio
si risposa con Luisa Maumari, vedova Blondel (parente di Enrichetta
Blondel prima moglie del Manzoni). Luisa aveva una forte personalità
e infine si divisero, ma essa rimase buona amica di casa Manzoni e
si prese cura di Matilde, la figlia pià sfortunata di Manzoni,
esiliata dalla famiglia, costretta a vivere in Toscana.
D'Azeglio pubblica due primi romanzi storici, Niccolò
dei Lapi ed Ettore Fieramosca, dove mostra le
proprie tendenze politiche ovviamente contro la dominazione straniera.
Nel 1845, spinto da Cesare Balbo, visita la Romagna per rendersi conto
della situazione politica in avversione al papato da cui all'epoca
ancora dipendeva. L'anno seguente pubblica Degli ultimi casi
di Romagna, sfavorevole al papato di cui denuncia il malgoverno,
per cui viene espulso da Firenze. Insieme con Vincenzo Gioberti e
Cesare Balbo crede in una confederazione di stati italiani sotto l'egida
del papato (Pio IX). Nella Prima Guerra d'Indipendenza partecipa alla
difesa di Vicenza, ma viene seriamente ferito, per cui torna a Firenze,
da cui viene espulso una seconda volta. Nel 1949 il re Carlo Alberto
lo convoca per affidargli un governo, ma rifiutandosi di firmare un
trattato con l'Austria rifiuta anche l'incarico. A Carlo Alberto succede
Vittorio Emanuele II che gli rinnova l'incarico e stavolta d'Azeglio
accetta, e firma il trattato di pace. Si rivela inaspettatamente un
abile diplomatico. Nel 1850 affida un ministero al conte di Cavour,
e suggerisce al re di affidare proprio a Cavour il ruolo di primo
ministro. Si ritira a Torino, dedicandosi all'arte, e nel 1855 è
direttore del museo nazionale della città. Allo scoccare della
guerra contro l'Austria, Cavour invia d'Azeglio ancora una volta in
Romagna dove erano in corso violenti moti antipapali. Dopo la pace
di Villafranca, pubblica un pamphlet in francese, intitolato De
la Politique et du droit chrêtien au point de vue de la question italienne,
con lo scopo di indurre Napoleone III ad una politica favorevole all'Italia
(ma ci penserà poi Cavour a convincerlo, mandandogli la contessa
di Castiglione). Nel 1860 Cavour lo nomina governatore di Milano,
liberata dagli Austriaci dopo la battaglia di Magenta. Quando Garibaldi
si imbarca con la spedizione dei Mille, d'Azeglio rassegna le dimissioni
e si ritira a vita privata, pur con un occhio alla politica (infatti
diventa mazziniano). Fa a tempo a scrivere le sue memorie e muore
a Torino il 15 gennaio 1866.
Le dimore dei Taparelli erano i vari castelli sparsi nel territorio
di Savigliano, finchè anch'essi, al seguito della monarchia
sabauda, si recarono a Torino, dove verso la fine del secolo XVIII
acquistarono un bel palazzo dai marchesi di Breme, situato all'angolo
tra la via del teatro d'Angennes e la via di Santa Pelagia (attualmente
via Principe Amedeo e via San Massimo). Qui, nella camera gialla al
primo piano, nacque il Nostro. Trascriviamo il certificato di battesimo
così come risulta dai registri: "Maria Giuseppe Rafaele
Leonardo Massimo figlio degli illustrissimi signori marchese Cesare
e Cristina Morozzo giugali Taparelli di Azeglio nato e battezzato
il 24 ottobre 1798. Padrini li illustrissimi signori Abate Giuseppe
Maria Morozzo di Bianzè e contessa Teresa Matilde Calsotti
di Casalgrasso e di Lagnasco." Pochi mesi dopo i Taparelli erano
sulla via dell'esilio.
Da
sin: Massimo Taparelli, marchese d'Azeglio
in
una celebre posa;
Giulia
Manzoni, prima marchesa d'Azeglio, da un pastello eseguito da
Teresa Bisi quando ancora era in famiglia;
Luisa Maumari Blondel, seconda marchesa d'Azeglio
(dal ritratto del Molteni)
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