Non esistono veri ritratti della Monaca di Monza.
Questa figurazione proviene da una stampa ottocentesca
riprodotta da un quadro di fantasia, dove l'autore
prende spunto dalla narrativa manzoniana per riprodurre
il carattere della Monaca: il famoso "ricciolino
che sfuggiva qua e là" viene debitamente
proposto in entrambi i lati della fronte.
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Marianna de Leyva (1575-1650) nasce a Milano a Palazzo Marino,
all'epoca di proprietà della famiglia materna, da don
Martino de Leyva e Virginia Maria Marino, già vedova
del conte Ercole Pio di Savoia, morta quando la piccola Marianna
ha appena un anno. La metà dell'ingente eredità
materna le viene subito contestata dal fratellastro Marco Pio
di Savoia, mentre il padre la defrauda dell'altra metà
assegnandola ai figli maschi. Obbligata a monacarsi, Marianna
pronuncia i voti a sedici anni, assumendo il nome di Suor Virginia,
il 12 settembre 1591, nel convento di S. Margherita di Monza,
scelto perchè appartenente ad un feudo della famiglia,
e perchè la fanciulla stessa portava il titolo di "contessa
di Monza". Il soprannome de "La Signora" le deriva
dunque dal suo stato sociale.
Conosce il nobile Giovanni Paolo Osio, che abita in un palazzotto
attiguo al convento, ed inizia una relazione che dura ben nove
anni, con l'ausilio di altre monache e Paolo Arrigoni, un prete
compiacente. Dopo alcuni aborti, nel 1602 Marianna dà
alla luce una bimba che il padre fa battezzare e alleva in casa
sua, così come un altro figlio nato l'anno dopo. Caterina
della Cassina, una conversa di Meda, e quindi estranea al feudo
monzese, uno speziale e un fabbro osano parlare di questi fatti,
e vengono uccisi tutti e tre dall'Osio.
Questi fatti giungono finalmente agli orecchi del cardinale
Federigo Borromeo, che si reca a parlare al convento direttamente
con Marianna, la quale nega ogni addebito, ma compie l'errore
di dichiarare di essere stata spinta alla monacazione irregolarmente,
ed anzi chiede la libertà. A questo punto Paolo Osio
viene fermato e rinchiuso nel carcere di Pavia, ma riesce a
fuggire e scrive al cardinale una lettera assai compromettente
per Marianna, la quale viene fatta prelevare nottetempo dal
cardinale e rinchiusa a sua volta nella casa delle Benedettine
di S. Ulrico (detta "del Bocchetto") e in seguito,
chiarite tutte le colpe, nella casa delle Convertite di S. Valeria,
rifugio di ex prostitute.
Marianna de Leyva se ne sente oltremodo offesa, e tenta prima
di fuggire, poi di suicidarsi battendo la testa ai muri, poi
rifiutando di nutrirsi. La famiglia la rifiuta e chiede anzi
che venga cancellato il suo nome dall'albero genealogico. Nel
frattempo l'Osio, nel tentativo di eliminare ancora dei testimoni,
tenta di uccidere due suore corrotte del convento monzese, Ottavia
Rizia e Felicia Omati, che avevano condiviso i peccati delittuosi
di Marianna: l'una viene gettata nel Lambro, l'altra in un dirupo,
ma entrambe sopravvivono e l'accusano. L'Osio allora cerca rifiugio
presso il conte Taverna, che credeva amico, ma questi lo uccide
decapitandolo ed espondendone fuori della propria casa la testa
infilzata in una picca.
Suor Virginia rimane murata per tredici anni e viene liberata
dopo di aver assicurato tutti di essere stata graziata, di avere
visioni celesti e sante, ed essere divenuta "specchio di
penitenza", come scrisse personalmente il cardinale Borromeo
all'abate Besozzo nel 1627. Ma, vera o falsa la grazia ricevuta,
ormai il tempo trascorso aveva del tutto calmato i bollenti
spiriti di Marianna de Leyva, che non fa più parlare
di sé e muore nel suo letto monacale al principio dell'anno
1650.
BIBLIOGRAFIA
Le vicende di Marianna de Leyva vengono narrate per sommi
capi dal canonico Giuseppe Ripamonti (1573-1643, quindi contemporaneo
della Monaca di Monza) nel sesto libro delle sue Historiae
patriae che contiene la biografia del cardinale Federigo
Borromeo, dal quale aveva attinto il Manzoni per il personaggio
di Gertrude, ma all'epoca
non erano ancora stati rinvenuti in un oscuro archivio lombardo
gli atti del processo a Virginia de Leyva,
sicchè il personaggio manzoniano accese la curiosità
morbosa della gente e la fantasia degli scrittori seguenti.
Già nel 1836 appare un Cenni intorno alla vita
di suor Virginia Maria Leyva detta la Signora di Monza e al
rinvenimento del suo ritratto, stesi dal signor Scrissio, aggiuntivi
i documenti storici già pubblicati dai signori F. Ambrosoli,
barone Custodi e canonico Bellani di un anonimo autore,
tal L. Scrissio, pubblicato da Sonzogno; successivamente
la storia appare nel 1839 in Memorie contemporanee
nella massima parte cavate dalle Memorie della
duchessa d'Abrantes di Ignazio
Cantù (1810-1877), ma non avendolo letto non possiamo
direche la storia appartenga alla fantasia del Cantù
piuttosto che riportata da Laure Permond Junot,
duchessa d'Abrantès, nel suo Vite e ritratti
delle donne celebri (1838).
Subito dopo è Giovanni Rosini (1776-1855) a scrivere
La Signora di Monza: storia del secolo XVII pubblicata
a Milano nel 1840 e dichiarato "seguito" della narrazione
manzoniana; il titolo godette di ampie ristampe per tutto il
secolo e fu un best-seller, ripubblicato anche a Firenze da
Le Monnier per la sua Biblioteca Nazionale nel 1857,
e da Salani nel 1901, per la Biblioteca Salani illustrata,
in due volumi.
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Giovanni Rosini nasce il 24 giugno 1776
a Lucignano in Valdichiana (muore a Pisa il 16 maggio
1855). Compie gli studi a Livorno, a Fiesole e a Firenze
e si fa presto conoscere per poesie e canti per musica.
Nel 1798 attende all'edizione critica del Cesarotti
e l'anno dopo pubblica un inno alla Libertà che
ottiene un successo strepitoso; nel 1803 è la
volta di un componimento in ottave, Il secolo
di Leone X, dedicato alla Regina Maria Luisa,
reggente del Regno di Etruria (1801-1815). Nel 1806
ottiene la cattedra di eloquenza italiana all'Università
di Pisa, di recente costituzione, e per quarant'anni
pubblica di tutto. Nel 1810 arriva terzo al concorso
bandito dall'Accademia della Crusca per la celebrazione
delle nozze di Napoleone con Le nozze di Giove
e Latona. Nel 1813 si reca a Parigi e trae ispirazione
dal Louvre per un'opera in sette volumi sulla pittura
italiana; altre e tante sono le sue opere, per cui rimandiamo
alla catalogazione in OPAC. Nel 1829 scrive il suo primo
romanzo: La monaca di Monza, ritenuto
privo di pregi letterari ma che ebbe larghissima diffusione
(undici edizioni nei primi tre mesi) e dal quale furono
poi tratte anche riduzioni teatrali. Ottenne premi ed
onori da principi e governi, e dal Granduca una commenda
di seicento lire nell'Ordine di Santo Stefano. Scrive
in seguito altri romanzi storici. Acquista una sua tipografia,
e pubblica una Collezione di ottimi scrittori italiani
dove trovano luogo le opere dei letterati del tempo.
Dal 1833 è ammesso al cospetto della nobiltà
pisana e per la città, divenuta sua patria di
adozione, fa anche qualcosa, come il restauro di una
chiesa, ed altro. Viene sepolto tra i cittadini illustri
nel Cimitero Monumentale.
Sin: Giovanni Rosini
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Viene
poi pubblicato dal canonico Tullio Dandolo (1801-1870) La
signora di Monza e le streghe del Tirolo: processi famosi del
secolo decimosettimo per la prima volta cavati dalle filze originali
(Milano, 1855).
E' poi la volta di un dramma (il primo di una lunga serie) di
Carlo Pratolongo che appare nel 1860, La signora di Monza:
dramma storico in quattro atti, ristampato anche negli
anni successivi.
Finalmente, dopo il ritrovamento delle carte processuali, si
stampano diversi testi meno fantasiosi e più fedeli alla
storia. Il primo è La verità vera sulla
scoperta del processo della signora di Monza a cura
di un prof. P.P. non meglio identificato (Genova, 1863), ma
dal punto di vista storico ci sembra più attendibile
La signora di Monza nella storia: notizie e documenti
di Luigi Zerbi che riporta i documenti estratti dall'Archivio
Storico Lombardo (Milano, 1890). Infine ecco la Storia
rinnovata della signora di Monza: 1575-1650: secondo i documenti
autentici resi accessibili a tutti compilata da Gentile
Pagani (Milano, 1898).
Inutile riportare le innumerevoli pubblicazioni agiografiche,
odi, poesie, sonetti, drammi e quant'altro questa storia ispirò
a vari autori (persino lettere "inedite" della Signora
di Monza) fino ai primi decenni del Novecento.
Poi, come sempre succede, l'interesse si smorzò e Marianna
de Leyva fu lasciata in pace.
FILMOGRAFIA
Dal testo di Giovanni Rosini furono ricavate le riduzioni
cinematografiche del Novecento:
1947: con Rossano Brazzi e Paola Barbara, regia
di Raffaello Pacini
1962: con Gabriele Ferzetti e Giovanna Ralli, regia di Carmine
Gallone
1969: con Antonio Sabato e Anne Heywood, regia di Eriprando
Visconti
1987: con Alessandro Gassman e Myriem Roussel, regia di Luciano
Odorisio
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febbraio 2011
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