La famiglia Ruffini
E' una delle famiglia liguri più note e benemerite del
Risorgimento e fu per Genova centro di irradiazione liberale
e patriottica, e specialmente di propaganda mazziniana. Bernardo
ed Eleonora Ruffini ebbero tredici figli, quasi tutti di costituzione
delicata, e infatti morirono quasi tutti in tenera età.
Ne sopravvissero tre, oltre ad una femmina, e si votarono con
ardore, fin dalla giovinezza, alla causa della rigenerazione
politica dell'Italia e per essa incontrarono difficoltà
e dolori. Essi sono Jacopo, Giovanni e Agostino.
Bernardo Ruffini nacque il 19 agosto 1765 a Finale Marina
da antica famiglia; frequentò l'Università di
Genova dove si laureò in legge, dedicandosi poi alla
professione. Di idee liberali, pare che partecipasse il 21 maggio
1797 al colpo di mano che abbatté la vecchia repubblica
aristocratica, professando fedeltà poi al governo provvisorio
della nuova repubblica; a nome della comunità di Finale
fece parte della commissione legislativa che aveva il compito
di redigere la nuova costituzione.
Il 4 febbraio 1798 sposò Eleonora Curlo, figlia unica
di una nobile e ricca famiglia, tutelandone i beni. Nel 1799,
sconfitti i Francesi e trionfando nuovamente il partito aristocratico,
abbandonò Genova per San Remo; della sua lontananza approfittò
uno zio della moglie per impossessarsi dei valori affidatigli
e per condurre la nipote a Pisa. Dopo la vittoria di Napoleone
a Marengo, tornò a Genova e intentò causa contro
il malvagio zio, ottenendo giustizia, ma poi, un po' per la
sua ostitlità verso i Francesi, un po' per lo scandalo
delle vicende personali, abbandonò la vita pubblica e
abbracciò la carriera in magistratura: prima giudice
del Tribunale di Cassazione, poi vice presidente del Tribunale
di prima istanza. Dopo l'unione della Liguria con il Piemonte
venne collocato a riposo e poi richiamato in servizio nel 1817
come giudice del Quartiere del Molo a Genova. Tale carica era
inferiore a quelle precedenti, sicchè egli accettò
con riserva, e dopo due anni persistendo lo status quo, chiese
al ministro Balbo di essere nominato senatore, ma tale carica
gli venne negata, e solo nel 1822 fu nominato vice prefetto
(carica corrispondente a quella di consigliere della Corte d'Appello)
e nel 1831 fu nominato prefetto. Anche per via di queste cariche
pubbliche egli non partecipò a quell'esaltazione verso
il Mazzini che invece aveva preso la moglie e perdurò
nei figli, ma nell'intimo non aveva abbandonato le idee liberali,
anche dopo il suicidio del figlio Jacopo e la dispersione dei
mazziniani. Bernardo morì a Genova il 4 aprile 1840.
Eleonora Curlo nacque nel 1781 a Genova, unica figlia
del marchese Ottavio e ultima discendente del ramo dei Curlo
di Taggia. Perduta la madre ch'era ancora bambina e chiusa in
un monastero, non ebbe un'istruzione regolare, e d'altronde
andò sposa giovanissima. Il marito si premunì
di istruirla, tal che ella potesse poi occuparsi dei figli in
maniera intelligente, assistendoli negli studi e inculcando
loro l'amor patrio. Tutavia i figli maschi le diedero grandi
dolori, alcuni morendo da piccoli, altri suicidandosi: Vincenzo,
studente di medicina, si gettò da una finestra; Jacopo
si suicidò in carcere nel 1833 quando venne arrestato
perchè affiliato alla Giovine Italia. Gli ultimi due
superstiti, Giovanni e Agostino, dovettero prendere la via dell'esilio
per lo stesso motivo. Lei stessa accompagnò il più
giovane fino a Marsiglia e si incontrò col Mazzini, ma
poi dovette rifugiarsi a Ginevra.
Trascorse così lunghi anni, nella paura di essere sospettata
e perseguitata dalla polizia. Unico motivo di gioia fu il matrimonio
della figlia Angiolina, ma poi anche il primogenito Ottavio
(n. 1801), violinista, estraneo alla politica, morì nel
maggio del 1839. L'anno seguente, dopo la morte del marito,
si ritirò, sola, nella casa avita di Taggia. Nell'estate
del 1841 per la condiscendenza del governo francese, potè
recarsi a Montpellier per riabbracciare i due figli che erano
venuti appositamente dall'Inghilterra, dove ormai risiedevano.
Tornata a Taggia, si dimostrò circospetta, pregando il
patriota Elia Benza, amico dei figli, di non andare a visitarla.
Nel 1842, in occasione delle nozze del Duca di Savoia, rivolse
una supplica al Re Carlo Alberto per ottenere la grazia, ma
invano. Dopo l'elezione di Pio IX e le prime riforme introdotte
in Piemonte, arrivò finalmente l'amnistia, per la quale
ci fu una solenne cerimonia alla Collegiata di Taggia.
Tornati i figli in patria, Agostino, gravemente malato, si ritirò
con lei a Taggia dove ella lo curò amorevolmente ma invano,
vedendolo morire nel 1855; ella stessa andò in seguito
declinando velocemente e si spense a Taggia l'11 novembre 1856,
assistita dai due figli superstiti, Angiolina e Giovanni, tornato
appositamente da Londra.
Più tardi a questa mater dolorosa il Comune di
Taggia innalzò un monumento (1882) e il Comune di Genova
intitolò una scuola femminile.
Villa Eleonora a Taggia
Jacopo Ruffini
Nacque
a Genova il 22 giugno 1805, lo stesso giorno di Giuseppe Mazzini
di cui fu grande amico. Trascorsi gli anni infantili a Taggia,
frequentò a Genova il Collegio Reale della SS. Annunziata,
condotto dai Padri Somaschi. Destinato dal padre, un tantino
autoritario, al commercio, studiò aritmetica e la lingua
inglese, ma frequentò anche i corsi di poetica ed eloquenza
latina. Buono studente, ottenne premi ed onori; nel 1819 lesse
all'uditorio durante una cerimonia scolastica una sua composizione
poetica in ottave, intitolata Difesa di Siracusa e morte
di Archimede, che riscosse molte lodi. Messo dal padre a
praticare nello studio di un notaio, si ribellò e, dopo
la morte del fratello Vincenzo, studente al quinto anno di medicina,
ne prese il posto, divenendo il discepolo prediletto di Giacomo
Mazzini, padre di Giuseppe, docente di fisiologia e anatomia.
Non contento, frequentò contemporaneamente il biennio
di filosofia per superare l'esame di Magistero. Il 22 giugno
1829 conseguì a pieni voti anche la laurea in Medicina
e iniziò l'anno di praticantato sotto il Prof. Mongiardini.
Allo stesso tempo si diede al giornalismo, alla pittura, alla
musica e agli studi letterari. Già fraterno amico del
Mazzini, collaborò con lui alla stesura dell'Indicatore
Genovese, pubblicandovi critica letteraria. Nel 1829 si
affiliò alla Carboneria e vi introdusse il fratello Giovanni.
Amareggiato dalla politica incerta di Carlo Alberto, si spinse
più deciso sulla via della cospirazione. Nel dicembre
1831 partecipò al concorso per un posto di medico soprannumerario
all'ospedale di Pammatone e lo vinse; mentre attendeva al suo
nuovo incarico, giunse da Marsiglia il piano particolareggiato
della Giovine Italia. Egli radunò allora, nell'appartamento
della famiglia a Genova Brignole, in via delle Grazie, il gruppo
dei più fidi: il fratello Giovanni, il dott. Napoleone
Ferrari, Federigo Campanella, il marchese Gian Battista Cambiaso.
Di questo primo manipolo egli divenne il capo, e in seguito
della congrega provinciale di Genova, e con essi egli tramò
il moto insurrezionale di Genova e Alessandria che doveva scoppiare
nel giugno del 1833. Arrestato nella notte tra il 13 e il 14
maggio, fu rinchiuso nella torre del Palazzo Ducale e sottoposto
ad interrogatori che durarono un mese. E' probabile che abbia
subito anche delle torture, se nella notte tra il 18 e il 19
giugno si tolse la vita: i guardiani lo trovarono la mattina
presto in un lago di sangue: si era tagliato la carotide con
un pezzetto di lamina di metallo tolta dalla lastra di ferro
che ricopriva la porta della cella. La data della morte si stabilì
nel giorno 19 giugno 1833.
Giovanni Ruffini
Nacque
a Genova il 22 settembre 1807. Come i fratelli trascorse l'infanzia
a Taggia e la giovinezza a Genova, dove studiò al Collegio
Reale della SS. Annunziata, condotto dai Padri Somaschi. Compiuti
due anni di studi di filosofia in seminario, dove ebbe la fugace
idea di farsi cappuccino, frequentò la facoltà
di Legge. Anch'egli buon amico del Mazzini, prese parte alle
piccole zuffe tra romantici e classicisti e tanto si fece conoscere
come testa calda dalla polizia che venne sospeso dall'Università.
Nel 1830 si laureò in utroque iure e pur praticando
la professione, prese parte attiva prima alla Carboneria e poi
alla Giovine Italia. Vessato dalla polizia, il
17 settembre 1833 venne
condannato
alla pena capitale in contumacia dal consiglio di guerra di
Genova per il reato di
congiura contro il governo piemontese; emigrò
allora in Francia, a Marsiglia, dove rimase assieme al Mazzini
e poi raggiunto dal fratello Agostino, con il quale passò
prima a Ginevra e poi a Grange, nel cantone di Soletta, sempre
insieme al Mazzini. Pur avendo apposto la sua firma al manifesto
della Giovane Europa, pian piano cominciò a discostarsi
dalle idee mazziniane, preso anche da nostalgia per la famiglia
e la patria. Il 2 gennaio del 1837 si trasferì col fratello
in Inghilterra, dove si diede da fare per imparare la lingua
e cercare di sostentarsi per non gravare sulla famiglia, tentando
vari mestieri, anche i più umili, come rigare carta da
musica.
Acquisita la conoscenza della lingua, portò ad un amico
i primi capitoli del romanzo autobiografico Lorenzo Benoni,
ma l'amico opinò che non fosse portato alla letteratura.
Si diede allora ad impartire lezioni di italiano. In
qualchemodo riuscì a frequentare l'ambiente colto e divenne
intimo di Thomas Carlyle. Rivista la madre per breve
tempo nel 1842 a Montpellier, si stabilì a Parigi, facendo
un po' le stesse cose che a Londra. Tradusse in italiano il
libretto del Don Sebastiano per Donizetti, e poi scrisse
per il compositore il libretto del Don Pasquale. Dopo
la concessione della costituzione di Carlo Alberto, tornò
in patria e venne eletto deputato nel collegio di Taggia, mentre
il fratello Agostino veniva eletto per il collegio di Genova.
In un memorabile suo discorso alla Camera, vagheggiò
un'Italia "una con Roma capitale". Allontanatosi dagli
estremismi mazziniani, si accostò lealmente alla monarchia
sabauda, e il 9 gennaio 1849 accettò dal Gioberti, Presidente
del Consiglio, la nomina a ministro plenipotenziario presso
la Repubblica francese. Caduto ben presto il Gioberti, rimise
le dimissioni e affidò la legazione sarda al conte Borromeo,
ma il 24 marzo giunse la notizia del disastro di Novara ed egli,
pur ammalato di febbre, si trascinò dal ministro Drouin
de Lhuys perorando la causa della patria minacciata. Appena
guarito rimpatriò e corse a Torino, dove rimise circa
ottomila franchi, avanzo della sua prebenda, che gli fu pure
difficile far accettare. Rieletto deputato sempre in quell'anno,
rinunciò alla carica e si ritirò a Taggia in occasione
della malattia (e poi morte) del fratello Agostino. Poi si stabilì
nuovamente a Parigi, in compagnia del Gioberti.
Qui conobbe la signora Cornelia Turner, che lo sollecitò
a scrivere: egli pubblicò quindi nel 1855 a Londra, dove
si stabilì con la famiglia Turner, Il Dottor Antonio,
grande affresco storico politico nel quale si descrivono i costumi
e gli usi liguri suoi contemporanei; ottenuto un primo successo,
si risolse a terminare nel 1858 il Lorenzo Benoni, ricevendone
cento sterline dall'editore Constable di Edinburgo. Pur addolorato
dalla morte della madre amatissima, trovò conforto nella
famiglia che lo ospitava, e continuò a scrivere: pubblicò
prima Lavinia (1859) e poi Vincenzo (1863). Pubblicò
anche articoli vari sulla stampa inglese (*), ma dopo il 1869
più nulla, perchè, a parole sue, "non aveva
più nulla da dire". Quando nel 1874 perdette la
signora Turner, che gli era stata come seconda madre, tornò
in patria e si ritirò a Taggia, dove visse solo fino
a che la morte lo colse il 3 novembre 1881.
Agostino
Ruffini
Nacque
a Genova il 17 febbraio 1812. Compì gli studi come i
fratelli presso i Padri Somaschi e proseguì poi gli studi
per prorpio conto, facendosi una cultura sorprendente. Seguì
i fratelli maggiori in tutto e per tutto, dalle diatribe tra
romantici e classicisti all'affiliazione alla Carboneria e alla
Giovine Italia. Intimo anche lui del Mazzini, lo seguì
a Marsiglia, a Ginevra e a Parigi, dove riprese gli studi di
matematica. Per qualche temnpo vi si trovò bene, scrivendo
articoli su poesia e critica letteraria, su Rossini e Victor
Hugo, e collaborando anche lui con Donizetti per alcuni libretti.
Nel luglio del 1835 si riunì al fratello e al Mazzini
a Grange in Svizzera, da dove collaborò al giornale L'italiano
che nel maggio 1836 iniziava a stamparsi a Parigi. Non volle
abbandonare Grange perchè invaghitosi di una donna che
dopo breve tempo morì. Andò allora a Londra, dove
tuttavia non riuscì a concludere molto per mantenersi,
e nel 1840 passò ad Edinburgo, dove diede lezioni di
italiano e frequentò i circoli letterari della buona
società; dopo qualche tempo arrivò il Giglioli,
altro fuoriuscito politico, che, divenuto medico, gli lasciò
le sue proprie lezioni di letteratura in vari collegi femminili.
Divenuto il migliore e più noto insegnante di italiano
di Edinburgo, potè finalmente nel 1843 ammobiliarsi un
appartamentino e nel 1846 riuscì ad inviare alla madre
un assegno di 250 lire, dato che dopo la morte del marito essa
versava in condizioni non floride. Lasciata definitivamente
ogni velleità rivoluzionaria, si diede a studiare: i
classici inglesi, filosofia, persino il greco antico. Era deciso
a terminare i suoi giorni in Edinburgo, quando venne l'amnistia
per tutti gli esuli. Rimpatriò così il 29 maggio
1848. Eletto deputato nel Comune di Cicagna e per il terzo circondario
di Genova, come il fratello si accostò alla monarchia
sabauda. La fama di studioso e di insegnante di valore che lo
aveva accompagnato dall'Inghilterra gli valse la nomina a R.
Provveditore agli Studi per la provincia di Genova. Ma venne
assalito da una terribile malattia: si recò alle terme
di Acqui due volte nel 1849, nel 1850 a Pesio, e nel 1851 ai
bagni di Grange, nel vano tentativo di alleviare i dolori fisici.
Paralizzato, si ritirò a Taggia, curato dalla madre,
dove morì l'8 gennaio 1855.
(*) Come anche i romanzi, Giovanni Ruffini scrisse
sempre in inglese, lingua appresa in età adulta. Chi
scrive si sentì affermare, durante una lezione universitaria
nel lontano 1974, che i soli due esempi di grandi scrittori
di lingua inglese non di madrelingua erano Nabokov e Conrad.
Può anche darsi che Ruffini non sia considerato dalla
critica un grande autore, nondimeno è un altro esempio
(e cronologicamente avvenuto ben prima dei due citati) di autore
in lingua inglese non di madrelingua.
©
www.letteraturadimenticata.it, marzo 2014