Nel 1940 appare per i tipi "I romanzi della vita vissuta"
di Garzanti la biografia di Emilio Salgari a cura del figlio
Omar. La lunga prefazione di Lucio d'Ambra, Accademico d'Italia,
è già di per sé un'agiografia. Con un mero
espediente ("ho ricevuto una lettera firmata da Un vecchio
marinaio alla fonda nella rada del disarmo") tenta
di ribattere a "quel giornalista che di recente accusò
Salgari di aver voluto lasciar credere d'essere stato capitano
marittimo mentre in realtà non avrebbe mai messo piede
neppure nella più umile barca" facendo credere esattamente
il contrario: peccato che lo stile linguistico della "lettera"
sia il medesimo di d'Ambra, e poco credibile in un vecchio marinaio.
Terminata la "lettera", d'Ambra chiede al Governo
fascista "che bada al sodo e non alle chiacchiere"
di nominare Emilio Salgari Capitano di lungo corso ad honorem,
un "modo italianissimo e fascista" di onorare lo scrittore
a trent'anni dalla morte. E termina il paragrafo con queste
parole: "Ché noi dobbiamo, insieme col geniale e
pittoresco scrittore, onorare in Emilio Salgari il massimo e
più generoso preparatore di fanciulli italiani a ricevere
da Mussolini, all'ora segnata dal destino, la legge e la religione
dell'Italia più grande". La data in calce alla prefazione
reca "Roma, ottobre 1939-XVIII".
Segue
una seconda prefazione a firma Varo Varanini, che descrive il
modus operandi di Salgari, tenendo a precisare che "le
cartelle [...] si spargevano disordinatamente sul piccolo tavolo,
ove solo esse imperavano, giacché mai un libro di consultazione,
un atlante, un vocabolario vi trovò posto". E rieccoci.
A dire il vero poche righe più avanti si legge "Vi
è da chiedersi come egli abbia potuto girare così
tutti i continenti e tutti i mari [...] senza una guida"
e termina con l'ammettere che sempre si trattò di fantasia.
Segue la descrizione dell'affannosa vita privata di Salgari,
il suo accanimento sulla penna, e infine tanti particolari che
non sappiamo se attribuire ai veri ricordi di Omar o ad un'ennesima
bella favola. Non manca l'accenno alla cronica mancanza di denaro,
gettando la colpa sugli editori, che gli pagavano appena da
300 a 500 lire a libro. In questo paragrafo ci si riferisce
all'ultimo editore di Salgari come "l'editore che il Regime,
quasi a condanna postuma, ha cancellato dall'Editoria italiana".
Non sorprende che la data in calce rechi semplicemente "4
novembre XVIII".
E
veniamo alle "memorie" di Omar. In premessa si precisa
che non si tratta della narrazione della vita del padre, ché
"questa fu da Lui stesso narrata nelle sue "Memorie"
ordinate dal mio povero fratello Nadir" (ricordiamo che
nel 1940 Omar era l'unico superstite della famiglia).
La prima cosa da mettere in chiaro è che la fantasia
di Emilio Salgari nulla doveva ad altri: "nomi di paesi,
flora, fauna, usi e costumi, gli venivano sotto la penna spontaneamente:
Egli non aveva né un Atlante, né un libro di geografia
[...] non frequentava biblioteche", e suggerisce che si
trattasse addirittura di un "vero caso di medianità".
Più avanti usa la parola "trance". Tali affermazioni,
anziché onorare la memoria paterna, al contrario offendono
grandemente il genio di colui che, volendo scrivere di paesi
lontani e sconosciuti, si documentava seriamente e scientificamente
prima di intraprendere la scrittura. Più avanti, nel
capitolo dedicato alla scrittura paterna, afferma senza vergogna:
"io non gli ho mai veduto usare un vocabolario".
Uno dei pochi ricordi veritieri di questo zibaldone è
legato alla casetta della Madonna del Pilone, non lontana dalla
Valle San Martino, dove la famiglia si recava per le scampagnate
e colazione al sacco, e dove andavano a raccogliere i fiori.
Insieme con la famiglia v'era quello che Omar chiama "il
nostro piccolo zoo": compaiono, qua e là sparsi
per le pagine del volume, nomi di cani, gatti (ben 17), scimmie,
polli, scoiattoli, tartarughe ed altri animali che dovevano
condividere l'esistenza approssimativa dei fratellini Salgari.
Ricordi slegati tra di loro, senza che un vero affetto per gli
animali traspaia dalle parole di Omar. Anzi, non possiamo che
rabbrividire nel leggere che al cane Niombo era stato insegnato
ad abbaiare in modo intelligibile "per piasèr"
e che la gatta Nerina era in grado di rubare da dentro la pentola
il manzo mentre questo bolliva. Certo che il senso del ridicolo
al povero Omar doveva essere del tutto sconosciuto.
Non mancano altri ricordi di casa, di cui purtroppo dubitiamo
assai: il dono di una meravigliosa bambola a Fatima da parte
della Principessa Jolanda (bambola che Omar ancora stringe tra
le braccia...), e numerose lettere dell'intera famiglia reale,
nonché di principi e regnanti stranieri. Perchè
mai non vi sono fotografie di questi nobili reperti nel volume,
pur ampiamente dotato di immagini private?
Gli altri ricordi senz'altro veritieri sono legati agli strumenti
del lavoro salgariano: il tavolino, la penna e l'inchiostro,
il furioso fumare. L'inchiostro è proprio suo, lo fabbricava
utilizzando alcuni "neri frutti" di una pianta del
giardino; solo che l'inchiostro risultava pallido e dopo un
po' di tempo di difficile lettura: questo fatto, unito al tempo
passato sui fogli, notte e giorno, indebolirono alquanto la
vista dello scrittore, che negli ultimi tempi temeva seriamente
di perdere la vista, tanto da causargli un vero stato di ossessione.
Che sotto il piccolo tavolino zoppicante lo scrittore non volesse
mai porre un pezzo di carta ripiegato per pareggiarne l'equilibrio
forse è veritiero, così come l'attaccamento verso
la penna. Tutti sanno che Emilio Salgari sempre usò un'unica
penna, che veniva accuratamente accomodata con del refe quando
si spaccava: è il tratto davvero umano di questo singolare
scrittore, che si affidava alla sua penna sia in senso metaforico
sia in senso letterale. La chiusa del capitolo sulla penna è
straziante, colmo di luoghi comuni ("gloriosa penna",
"sacra penna che io venero" e via piagnucolando).
Peccato che Salgari, scrivendo "vi saluto spezzando la
penna", lo facesse per davvero.
Tralasciamo le poche bizzarre parole a proposito di Jules Verne,
e proseguiamo con il deplorevole racconto di una "intervista"
concessa ad un giornalista spagnolo il quale definsce i romanzi
di Salgari "delle cinematografie", spiegandone così
il grande successo. Salgari risponde: "Ma che cosa è
che piace al grande pubblico nei films?" e in questi termini
prosegue la conversazione. Ora, il povero Omar nel 1940 sapeva
bene cosa fossero i film e cosa poteva volere il pubblico da
questi ultimi, ma Emilio Salgari quali film poteva mai aver
veduto? E' vero che sin dal 1896 l'industria cinematografica
muove i primi passi anche in Italia, e proprio a Torino viene
istituita la Società Anonima di Arturo Ambrosio, e poi
quelle di Giovanni Pastrone ed Ernesto Pasquali, ma i primi
film a soggetto - quadri animati - si hanno a partire dal 1905
(prima erano solo documentari), e durano pochi minuti. Ambrosio
produsse nel 1908 Gli ultimi giorni di Pompei, con grandi
effetti visivi che ricreavano l'eruzione vulcanica e scene di
terrore, ma era composto, anche questo, da una serie di quadri
animati senza montaggio; Pastrone con il film La caduta di
Troia del 1910 dilata il tempo oltrepassando i dieci minuti
di proiezione (source: Wikipedia).
Se Emilio Salgari li ha veduti, è comunque difficile
che possa aver intuito il grande potenziale dietro l'utilizzo
della macchina da presa, con concetti come montaggio e sceneggiatura.
I primi progressi in questo senso si fanno a partire dal 1911,
ma Salgari già non è più. Omar bara un
po' sui tempi, ci pare.
Questo figlio disgraziato annota che "il genio del vero
romanziere precorre con la fantasia il futuro" e "simile
fantasia anticipatrice era sovrana in mio Padre". Il solo
romanzo avveniristico di Emilio Salgari, tuttavia, è
Le meraviglie del 2000, dove, ahimé, le invenzioni
anticipatrici si limitano a fantasiose abitazioni dove premendo
un bottone arriva il pasto caldo bell'e pronto, e cose di questo
genere, partendo dal presupposto che un medico geniale ha trovato
il modo di "decongelare" un personaggio vissuto un
secolo prima e, risvegliato costui, gli mostra tutte le "meraviglie"
moderne. Ma la fantasia di Salgari non arriva al punto di immaginare
mezzi di comunicazione e di trasporto diversi da quelli del
suo tempo (le due maggiori aree di progresso tecnologico del
XX secolo), eccezion fatta per qualcosa che taluni hanno voluto
ravvisare nella futura televisione: si tratta di una specie
di schermo dove si possono vedere persone lontane, ma non viene
spiegato in che modo si trasmettano le immagini che pervengono
allo schermo. Fantasia, appunto, e non fantascienza.
Si parla poi delle "geniali intuizioni di navigazione aerea",
riferite agli "scritti aereonautici salgariani d'ampio
sviluppo presenti in ben sei romanzi". Mah. I romanzi detti
dai critici moderni ciclo dell'aria sono solo due: I
figli dell'aria (1904) e Il Re dell'aria (1907),
dove un capitano misterioso compie le sue imprese a bordo della
macchina volante detta Sparviero. Una macchina volante l'aveva
disegnata anche Leonardo, ma la macchina salgariana difficilmente
può assimilarsi ad un moderno strumento di volo. Basta
guardare le immagini a corredo dei testi. Il primo volume è
illustrato da R. Paoletti, il secondo dalla coppia Amato/Della
Valle: in entrambi la macchina volante assomiglia praticamente
ad un'otaria, con le ali emergenti a metà corpo, morbidamente
battenti. I fratelli Wright riescono a far volare il primo apparecchio
nel 1903, ma è solo nel 1906 che un apparecchio aereo
francese decolla autonomamente, mentre il primo aereo italiano
fu costruito da Aristide Faccioli nel 1908 (source:
Wikipedia). Se ne deduce che sia lo scrittore sia
gli illustratori non avevano mai veduto la riproduzione di un
velivolo aereo, con le ali ben tese sopra la carlinga.
Ma ad Emilio Salgari questo forse non importava nulla, perchè
egli voleva scrivere romanzi d'avventure, e con essi divertire
i ragazzi. Peccato che il povero Omar faccia di tutto per farci
credere che si tratti invece di prescienza, denigrando in tal
modo l'opera paterna, certo inconsciamente.
Infine, lungo tutto il percorso delle "memorie", emerge
preponderante l'aura dell'anima fascista che avvolge lo spirito
salgariano. Si legge, tra l'altro: "Egli si prefiggeva
[...] un'anticipazione morale per il bene della Patria. Così,
è giusta l'affermazione di parecchi scrittori che riconobbero,
in Salgari, un anticipatore dell'educazione fascista".
E ancora: "...mio Padre diceva spesso: Se volete essere
buoni Italiani, dovete anzitutto diventare audaci e forti. L'Italia
si lascia purtroppo mettere il piede sul collo dallo straniero
e se va avanti di questo passo, perderemo tutto quello che abbiamo
guadagnato col diventare Italia una". Ma chi ha
scritto queste righe, Bottai in persona? Oppure Luciano De Nardis,
che firma una postfazione assolutamente inutile? O ancora, uno
dei tanti manipolatori dello stile salgariano che all'epoca
pubblicavano testi su testi che si vendevano solo perchè
da qualche parte v'era la magica parola: SALGARI?
Stendiamo un velo pietoso su queste "memorie". Resta
assai interessante per la critica l'apporto iconografico contenuto
in questo volume, con abbondanza di fotografie private, fotografie
di manoscritti e bozzetti di mano di Emilio Salgari. Unico depositario
del genio.
Le mistificazioni fasciste per fortuna spariscono nel 1946,
quando Omar viene indotto a ripubblicare le sue "memorie"
a puntate sul giornalino a fumetti intitolato Salgari - Settimanale
di grandi avventure che ebbe un successo tanto grande quanto
effimero, negli anni 1946-47 e 1948-49. A partire dal numero
15 del 14 agosto 1946 egli narra ai giovani lettori degli albi
a fumetti la vita del padre fanciullo, inventando di sana pianta
episodi di varia natura, sempre a sostegno del coraggio e dell'intraprendenza
del giovinetto Emilio Salgari. Poichè la serie termina
improvvisamente nel gennaio del 1947, bisogna attendere la nuova
serie (25 dicembre 1948) per leggere il proseguimento della
storia, ma qui troviamo una sorpresa. L'editore infatti decide
di trasformare le memorie di Omar in ... fumetto, intitolato
"Le straordinarie avventure del Capitano Emilio Salgari",
realizzato da Edward Bound e disegnato da Haltor, fumetto che
giunge a termine nel numero 26 del 18 giugno 1949. Ed era ora.
© Elena Malaguti, febbraio 2010