Più
che dimenticata, Elisabetta è una poetessa sconosciuta
al grande pubblico. Per suo volere l'ampio corpus delle
sue composizioni poetiche ha potuto vedere la luce solo dopo
il 1950 e la pubblicazione, avvenuta ancora più tardi
(1981) non ha suscitato grande interesse. Infatti l'Elisabetta
colta, poliglotta, studiosa di Heine, è soverchiata ancora
adesso da Sissi ("la principessa Sissi" come viene
chiamata oggi, incongruamente poichè non è mai
stata principessa: all'età di sedici anni era già
imperatrice). La donna più bella della sua epoca, con
i capelli lunghi fino ai talloni, maniaca del proprio aspetto
tanto che per mantenere snella la sua figura da ondina si faceva
impacchi di alghe marine e si nutriva solo di succo di carne
e gelati alla violetta... un gossip antico ma sempre molto gradito
al pubblico. Inoltre l'immaginario collettivo è influenzato
ancora adesso dai rugiadosi film anni cinquanta del ciclo "Sissi",
interpretati da una giovanissima Romy Schneider che tratteggia
un personaggio del tutto positivo di mogliettina innamorata
e madre dolcissima. Si aggiunga a tutto questo la constatazione
che le poesie di Elisabetta non hanno un grande valore poetico:
ci si renderà conto del perché la sua opera sia
subito caduta nel dimenticatoio. Eppure l'Imperatrice ci aveva
creduto e ci si era impegnata con tutta se stessa.
La vita
L'origine di un destino di singolare infelicità fu il
romantico e impetuoso innamoramento del giovane imperatore Francesco
Giuseppe per la bella cuginetta Sissi non ancora sedicenne (1853):
l'unico colpo di testa nella vita di quell'uomo posato, pieno
di buon senso e ligio al dovere. Quel colpo di fulmine tanto
celebrato dai contemporanei si tradusse in un disastro per tutti
e due: lui ci guadagnò una moglie capricciosa, che non
lo comprendeva e non gli era minimamente di sostegno: lei si
avviò a una vita di donna perennemente insoddisfatta,
errabonda e con il progredire degli anni decisamente eccentrica.
Un tempo (diciamo precedentemente al secondo conflitto mondiale)
Elisabetta era considerata anche dagli storici accreditati poco
meno che una martire, la vittima incolpevole di una costrizione
al matrimonio e di un inserimento infelice in una corte che
la odiava: ma i biografi più recenti si sono resi conto
che, se essa fu realmente infelice e non trovò mai requie,
lo dovette solo alla sua indole. Elisabetta "sprecò"
doti naturali di tutto rispetto: era una donna intelligente,
amante della cultura, di idee liberali e provvista di una forza
interiore che si rifiutò quasi sempre di adoperare preferendo
considerarsi una grande sventurata e fuggire, fuggire sempre
dai doveri familiari e da quelli connessi con la sua alta posizione,
finchè un giorno davanti alla sua figura di anziana indifesa
si parò un giovane uomo malvestito ed esaltato, Luigi
Lucheni.
La vita di Elisabetta è scandita in periodi precisi.
Prima di essere notata e scelta da Francesco Giuseppe era soltanto
la quartogenita (nata nel 1837) di nove figli compresi fra il
1831 e il 1849 dei quali uno, Guglielmo, morì in culla
(1832). Nonostante l'imponente numero di rampolli, il padre,
duca Massimiliano in Baviera (si noti la corretta dizione "in"
che indica un ramo secondario della famiglia Wittelsbach) e
la madre Ludovica, figlia ultimogenita del re Massimiliano I
di Baviera, non andarono mai veramente d'accordo: lui la tradì
per tutta la vita, lei soffrì sempre per essere stata
l'unica fra tutte le sue sorelle a non fare un matrimonio regale.
Confusa com'era nel novero dei fratelli, nessuno diede importanza
alla piccola Sissi finchè si arrivò a quel fatale
18 agosto 1853, compleanno di Francesco Giuseppe. In quella
occasione si sarebbe dovuto festeggiare il fidanzamento del
ventitreenne imperatore con Elena (Nené), sorella maggiore
di Sissi. Il matrimonio era stato favorito dall'arciduchessa
Sofia, madre di Francesco Giuseppe e sorella di Ludovica. Una
donna notevole, che nel 1848, al momento della grande ondata
rivoluzionaria che stava per spazzare via anche l'impero austriaco,
aveva salvato il trono convincendo il cognato imperatore, l'epilettico
e malandato Ferdinando, ad abdicare ed il proprio marito Francesco
Carlo a rinunciare anche lui alla porpora imperiale in favore
del loro figlio Francesco Giuseppe, diciottenne e quindi mondo
da ogni colpa nei confronti dei sudditi. Fra parentesi, Sofia
e Ludovica erano state in gioventù due donne bellissime,
forse più affascinanti ancora, si sostiene, della tanto
celebrata Sissi.
Il giovane imperatore si era detto perfettamente d'accordo con
la scelta della madre, dato che era abituato a fidarsi del suo
giudizio: ma quando accanto alla pur graziosa e gentile Elena
vide la sorellina minore, cambiò idea e volle lei, a
tutti i costi. Non gli importava che fosse troppo giovane, che
non avesse completato gli studi e non conoscesse le lingue né
l'etichetta di corte. Da parte sua Sissi, sebbene facesse un
po' di storie (almeno non fosse imperatore! sospirava),
fu certamente lusingata dall'impetuoso amore che le dimostrava
il suo giovane cugino e per qualche anno coltivò l'illusione
di esserne innamorata. Quel matrimonio la poneva su un piano
altissimo: e se Elisabetta non era interessata alla vita di
corte e di rappresentanza, non fu certamente mai insensibile
ai privilegi che le dava il suo rango, primo fra tutti la possibilità
di spendere, anzi di dilapidare somme enormi per il proprio
capriccio.
Si sposarono il 24 aprile 1854. Seguirono tre figli nell'arco
di quattro anni: Sofia (1855), destinata a morire di morbillo
a ventiquattro mesi, Gisella (1856) e Rodolfo (1858) il futuro
protagonista della tragedia di Mayerling. Ma dei due figli superstiti
Sissi non si curò mai granchè, nonostante le sue
lamentele nei confronti della suocera, che secondo lei glieli
sottraeva. Partorito il maschio, l'imperatrice poco più
che ventenne giudicò di aver compiuto il suo dovere verso
la dinastia e si sottrasse abilmente, da allora in poi, ad una
regolare vita coniugale. Cominciava così il secondo periodo
della sua esistenza, quello dei viaggi: in realtà non
fu solo un periodo perché Elisabetta viaggiò instancabilmente
tutta la vita percorrendo l'Europa in lungo e in largo, da Madera
all'Inghilterra, dalla Germania alla Grecia, all'Irlanda.
La giovanissima fidanzata e sposa non era stata ancora la bellezza
famosa che divenne in seguito: l'Imperatrice sedicenne era solo
una ragazzina fresca e graziosa, dalle guance piene. Negli anni
successivi continuò a crescere e ad affinarsi e solo
a partire dai vent'anni si trasformò in una donna, alta
ed eterea, dal nobile portamento e dal viso incantevole, incorniciato
dalle pesanti, foltissime trecce raccolte intorno alla testa
come una corona.
L'indipendenza di questa nuova Sissi, sancita da viaggi che
duravano mesi e mesi, partì da una sua grave malattia
o supposta tale (ottobre 1860): il marito consentì che
essa si mettesse in viaggio verso paesi più caldi dato
che la credeva tubercolotica all'ultimo stadio. Niente di meno
vero: Elisabetta non fingeva, le pareva davvero di star male
ma la sua terribile tosse altro non era che un sintomo psicosomatico:
lontano da Vienna la giovane donna principiava subito a stare
meglio.
Da questo punto in poi Sissi si rese conto del suo potere sul
marito e non ebbe più remore a fare a modo suo: non ascoltò
più le critiche di nessuno, tantomeno quelle della zia-suocera
Sofia, che del resto le voleva molto bene e si limitava ad esigere
da lei un comportamento consono alla sua posizione. Dei figli
continuava a non curarsi, lasciandoli di fatto nelle mani della
stessa Sofia, per fortuna una nonna molto affettuosa.
E' di questi anni l'unico intervento politico dell'imperatrice.
Fin da sposina, Elisabetta aveva manifestato la sua grande simpatia
per la nazione ungherese: i maligni ci avevano voluto vedere
un'opposizione alla suocera, che odiava profondamente gli ungheresi
dopo la loro ribellione durante il biennio rivoluzionario, ribellione
repressa sanguinosamente soltanto con l'aiuto della Russia.
Comunque fosse nato, l'amore di Elisabetta per l'Ungheria durò
tutta la vita e si concretizzò nel suo intelligente appoggio
all'Ausgleich (Compromesso, 1867), cioè alla nascita
di un impero non più solo austriaco ma austro-ungarico
(è da allora che l'aquila absburgica prende le due teste),
con le due nazioni alla pari e l'Ungheria dotata di una forte
autonomia. Ciò rimetteva in sesto l'impero di Francesco
Giuseppe, vacillante dopo la tremenda sconfitta subita ad opera
dei Prussiani (1866) in quella che noi italiani chiamiamo "Terza
guerra di indipendenza". L'incoronazione di Elisabetta
a Regina d'Ungheria (8 giugno 1867) segnò non solo il
suo trionfo politico ma anche quello della sua bellezza, come
dimostrano i dipinti realizzati in tale occasione.
Subito dopo l'imperatrice uscì dalla politica anche se
rimase filoungherese per tutta la vita: un nome che usava fra
i suoi alias, quando correva l'Europa in incognito, era Erzsébet
Kiralyné, "Elisabetta regina" in lingua magiara.
Il suo romantico dono alla nazione amica fu la sua nuova gravidanza,
fortemente voluta stavolta, perché la giovane regina
desiderava consacrare il nuovo principe o principessa che fosse
all'Ungheria. Nell'aprile 1868 nacque così, a Budapest,
la sua ultima figlia, Maria Valeria, che, a differenza degli
altri, fu profondamente amata dalla madre: "la sola persona
al mondo per la quale l'imperatrice effettivamente si impegnò"
come dice la sua più autorevole biografa, Brigitte Hamann.
E non a caso i caustici viennesi soprannominarono la bambina
proprio "l'unica".
Il periodo che seguì fu quello delle grandi cacce a cavallo:
Elisabetta, considerata una delle migliori amazzoni d'Europa,
partecipò a partite di caccia in Francia e soprattutto
in Inghilterra e in Irlanda, correndo, a causa della sua spericolatezza,
grandi rischi. Ma quando raggiunse i quarantacinque anni (1882),
di punto in bianco l'Imperatrice smise questa sua pericolosa
(e costosissima) attività: si è ipotizzato che
il coraggio quasi leggendario fino allora dimostrato nel cavalcare
la stesse abbandonando dato che i reumatismi cominciavano a
renderla meno elastica ed agile.
Frattanto anche la sua famosa bellezza aveva subito un rude
ridimensionamento, complice, oltre l'età, la vita all'aria
aperta condotta durante tutti quegli anni di imprese sportive
e di trekking giornaliero con il quale sfiniva le sue dame,
costrette ad adeguarsi al suo passo di marcia. Il bel viso cominciava
a coprirsi di rughe ad onta di tutte le cure: il corpo flessuoso,
provato dalla dieta da anoressica che da sempre aveva seguito,
si andava trasformando in quello spigoloso di una donna anziana.
Era un duro colpo per una persona abituata ad essere osannata
come un'ondina, una fata. Fu allora che venne da lei inalberato
in pianta stabile il famoso ventaglio, che apriva con mossa
fulminea davanti al viso non appena fossero in vista degli estranei.
E' di questo periodo la sua stagione poetica. Ma nel 1889, precisamente
il 30 gennaio, la vita di Elisabetta si spezzò: l'Imperatrice
visse ancora quasi dieci anni, è vero, ma cominciò
da quel giorno il suo corteggiamento della morte. Fu quando
suo figlio, il principe ereditario Rodolfo, compì uno
degli atti di suicidio più famosi della storia, facendosi
saltare le cervella dopo aver ucciso Mary Vetsera, l'esaltata
ragazzina che aveva acconsentito a morire con lui.
Rodolfo, omicida e suicida. Elisabetta non si riprese mai dal
colpo soprattutto per il terribile rimorso che non l'abbandonò
più. Non aveva capito fino a che punto fosse arrivata
l'infelicità di suo figlio, che in politica si vedeva
emarginato per volere dell'onnipotente padre e nel privato si
sentiva vittima di un matrimonio fallito. Elisabetta si rendeva
conto di aver sempre minimizzato, di non aver dato retta a chi
cercava di farle capire in quali condizioni si trovasse Rodolfo:
in parole povere, di averlo ucciso anche lei con la sua indifferenza.
La
baronessina Maria Vetsera
|
|
Sin:
l'arciducessa Stefania, vedova del Principe Rodolfo.
Sopra: Elisabetta, loro figlia
|
Regalò alle figlie tutti i suoi gioielli e si vestì
a lutto fino all'ultimo dei suoi giorni, risolvendosi ad indossare
un abito chiaro soltanto il giorno delle nozze della sua amata
figlia Maria Valeria con il cugino Francesco Salvatore di Toscana:
matrimonio d'amore, da lei appoggiato. Continuò a correre
da un capo all'altro dell'Europa e nell'estremo tentativo di
trovare pace, si fece costruire la famosa villa "Achilleion"
nell'isola di Corfù... ma non abitò che pochissimo
quell'elefante bianco che aveva voluto a tutti i costi e nella
edificazione del quale aveva dilapidato somme enormi.
Ormai viaggiava solo in incognito, con un piccolo seguito che
spesso congedava. E fu così che il 10 settembre 1898
la morte tanto corteggiata e invocata la raggiunse, a Ginevra,
per mano di Luigi Lucheni, un giovane anarchico italiano che
aspirava ad assassinare una testa coronata, di chiunque si trattasse...
e che aveva letto su un giornale la notizia della presenza in
città dell'Imperatrice d'Austria.
La morte fu rapida, pietosa, silenziosa. Elisabetta non si accorse
di niente: credette che Lucheni l'avesse solo urtata, mentre
in realtà la lima affilata dall'assassino come un pugnale
l'aveva colpita al cuore, provocando una lenta emorragia interna.
Dal battello, al quale era arrivata camminando con le sue gambe,
accasciandosi subito dopo, la riportarono all'Hotel in cui aveva
soggiornato. Nel giro di una mezz'ora, tutto era finito, senza
sofferenze.
L'opera poetica
Sissi cominciò da ragazzina a scrivere poesie romantiche
e tristi. Fidanzata ad un Imperatore, non trovava niente di
meglio che invocare:
Oh rondine, dammi le tue veloci ali
E portami con te verso paesi lontani.
Sarò felice di spezzare le catene che mi stringono
E di infrangere le sbarre della mia prigione...
Se potessi volare con te
Attraverso l'azzurra eternità dei cieli
Come renderei grazie con tutto il mio essere
Alla Dea che gli uomini chiamano libertà!
|
...e da sposina, non si dimostrò più allegra:
Mai avessi lasciato la strada
Che mi avrebbe condotta alla libertà:
Mai mi fossi perduta
Imboccando la via della vanagloria.
Mi sono destata in un carcere
Con le braccia avvinte da penose catene.
Più mi struggo nel desiderio di te
Più tu, libertà, mi abbandoni...
|
La giovinetta ignorantella si trasformò presto in una
donna non banale che, pur non smettendo di lamentarsi del suo
destino, apparve interessata alla cultura. Parlava inglese e
francese e coltivò tanto la lingua ungherese da padroneggiarla
in breve tempo: e si tratta di un idioma difficilissimo (una
lingua del gruppo ugro-finnico non facente parte delle lingue
indoeuropee). Negli ultimi anni Elisabetta, pazza per i poemi
omerici e convinta di poter comunicare spiritualmente con l'eroe
Achille, studiò anche il greco antico e moderno.
La passione della sua vita, comunque, fu quella per il grande
poeta Heinrich Heine. Heine morì a cinquantanove anni,
quando lei ne aveva diciannove (1856), quindi avrebbero anche
potuto conoscersi: in realtà non si incontrarono mai.
Ma Elisabetta sosteneva che spesso l'anima del morto poeta veniva
nella notte a congiungersi alla sua e le dettava dei versi...
Lo studio appassionato di Heine rese l'imperatrice una grande
esperta della sua opera, al punto che gli studiosi le si rivolgevano
per delle vere e proprie perizie e lei non sbagliava mai: sapeva
riconoscere l'autenticità di un carme con assoluta sicurezza.
Il periodo più fecondo della creatività di Elisabetta
andò dal 1884 al 1889. Nel 1884 aveva incontrato un'altra
regina che, come poetessa, era molto famosa: la sua omonima
Elisabetta di Romania, nata principessa tedesca di Wied (1843-1916),
il cui nom de plume era l'evocativo Carmen Sylva. Benchè
più giovane di lei, la regina di Romania sembrava sua
nonna, precocemente invecchiata com'era e con la chioma candida:
ma le due donne si intesero perfettamente divenendo grandi amiche.
Ciò, sommato al culto per Heine, aumentò l'interesse
di Sissi per la composizione poetica.
Composto un rispettabile corpus di poesie diviso in due parti:
"I canti del mare del Nord" (Nordsee Lieder) e i "Canti
d'inverno" (Winter Lieder), l'Imperatrice avrebbe gradito
pubblicarlo ma si accorse subito di non poterlo fare: quelle
poesie scottavano, come diremmo noi oggi. Tuttavia, non volendo
rinunciare al suo sogno di farle conoscere, ricorse a un espediente.
Fece ricopiare da due sue parenti l'originale del suo corpus
poetico e solo così si fidò a far stampare le
copie ottenute in una tipografia: non voleva infatti che qualcuno,
per avventura, riconoscesse la calligrafia dell'Imperatrice.
Ciò fatto, affidò poi diversi plichi (non si sa
precisamente quanti) ad altrettanti suoi amici fedeli con l'ingiunzione
di far pervenire la sua opera al presidente della Confederazione
Elvetica nell'anno 1950.
Venne il 1889, portando il tragico suicidio di Rodolfo: da allora
l'imperatrice non scrisse più un verso ma non rinunciò
alle sue ambizioni poetiche:
Cara anima del futuro! Ti affido questi scritti. Il
grande maestro che li ha ispirati mi ha suggerito
anche cosa farne: potranno essere pubblicati solo
quando saranno trascorsi sessant'anni a partire dal
1890 e i proventi dovranno essere impiegati per aiutare
i perseguitati politici e i loro familiari bisognosi.
Anche fra sessant'anni la felicità e la pace
ovvero la libertà continueranno infatti a non
essere di casa su questo nostro piccolo pianeta così
come non lo sono state ai miei tempi. Forse lo saranno
un giorno in un mondo diverso. Oggi non sono in grado
di dirlo, forse però quando leggerai queste
righe... Un saluto di cuore. Ti sento vicino.
Titania
scritto nel'estate 1890 mentre il treno fischia
e corre veloce
(premessa al "Diario poetico")
|
Titania era la regina delle fate, con la quale si era da sempre
identificata. Questa dedica, o preghiera che dir si voglia,
fu inserita nei plichi con la speranza che almeno qualcuno di
essi riuscisse a superare la barriera dei sessant'anni posta
dall'autrice: e infatti così avvenne.
Il tempo passò. Tutte le persone più vicine a
Elisabetta morirono: Francesco Giuseppe (1916), Maria Valeria
(1924), Gisella (1932) la nuora Stefania (1945). La monarchia
austro-ungarica era crollata nel 1918, creando una piccolissima
Austria e un'Ungheria indipendente. Avvenimenti tragici quali
mai Elisabetta, pur nel suo amaro disincanto, avrebbe potuto
prevedere, sconvolsero il mondo. Alcuni di quei plichi si persero
ma due si salvarono: quello affidato al fratello Carlo Teodoro,
da lui trasmesso a un figlio, e da quello nelle mani dei principi
del Liechtenstein. Fu così che nel 1953 il presidente
elvetico Philip Etter ebbe nelle mani l'eredità poetica
di Elisabetta. Non ne fu molto lusingato, anzi fu piuttosto
imbarazzato. Fu soltanto nel 1981, dopo un lungo scambio di
vedute fra Svizzera e Austria, che l'Accademia austriaca delle
Scienze pubblicò integralmente l'opera. Per rispettare
la volontà dell'autrice, si decise che gli eventuali
proventi sarebbero stati devoluti al Fondo di Soccorso dell'ONU
per i rifugiati politici.
Perché Sissi ricorse a uno stratagemma così complicato?
Facile capirlo: pur eccentrica e sprezzante delle convenzioni
com'era, si rendeva perfettamente conto che quella pubblicazione
avrebbe creato, all'epoca sua, uno scandalo troppo grave. L'Imperatrice
irrideva infatti nei suoi carmi la corte di Vienna con un sarcasmo
feroce, dileggiandone i membri, insieme a quelli dell'alta aristocrazia:
prendeva in giro anche le famiglie reali di altri Paesi, arrivando
per esempio a descrivere come avesse stuzzicato e poi deluso
il futuro Edoardo VII d'Inghilterra, noto donnaiolo che le faceva
delle avances: e così via. Nemmeno Francesco Giuseppe
si salvava del tutto dal suo ironico disprezzo.
Ma c'era anche un motivo più importante che le sconsigliava
una pubblicazione immediata. Dalla lettura dei suoi carmi l'Imperatrice
di un paese fortemente cattolico e militarista appariva di idee
repubblicane (definiva la monarchia "il costoso ornamento
che grava sulle spalle del suo paese"), religiosa soltanto
a modo suo (credeva in uno spietato "Grande Geova")
e per di più anticlericale, inoltre si dichiarava anche
convinta pacifista.
Dal punto di vista letterario, il canzoniere di Sissi non ha
un gran valore. L'Imperatrice si diceva discepola di Heine,
ma rimaneva una dilettante velleitaria. Il grande poeta scrisse
alcuni dei versi più delicati e sognanti della letteratura
tedesca: il romanticismo di Sissi fu sempre di maniera. Heine
affrontò anche e soprattutto i temi più impegnativi
della sua epoca, politica compresa, con una forte vena ironica
e satirica: Elisabetta riusciva solo ad essere duramente sarcastica.
Qualche saggio dell'opera, che ora segue, renderà conto
di questo giudizio. Alcune
poesie di Sissi sono soltanto romantiche e descrittive di stati
d'animo ispirati dalla natura,a base, quindi, di boschi selvaggi
e pallidi raggi di luna. L'imperatrice si paragonò sempre
al gabbiano, simbolo di libertà:
Un gabbiano di Nessundove io sono
Nessun lido considero mia patria
Nessun luogo, nessun posto a sé mi lega: ...
Oggi sfioro con le ali la spuma del mare del Nord
Le sue onde mi cullano e mi fanno sognare...
... ora vedo le rovine del castello
Avvolte da un velo luminoso d'argento
Intessuto da fastosi raggi che la luna di maggio
Attraverso le porte della sala diffonde...
Dai Canti del mare del Nord (n° 7)
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Ma vediamo invece come l'autrice esplica la sua vena satirica
e sarcastica. La metafora che segue, per esempio, è molto
crudele. L'imperatrice, in vacanza a Bad Ischl con Francesco
Giuseppe, tramuta così una visita della nuora Stefania:
Ai piedi di un abete maestoso
Sul morbido muschio gioisce
Di essere solo in mezzo al bosco
Un profumato ciclamino d'autunno.
Ma non dura a lungo la sua gioia:
Ecco che fuori dall'erba del prato
Sbuca un rospo giallo e grosso
Che gli va a finire addosso.
Anche se ci è rimasto solo per poco
Ha schiacciato per bene la piantina:
Povero fiore! Quasi maciullato
Se ne sta ora tutto piegato...
Dai Canti del mare del Nord (Visita)
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Anche se la tragedia di Mayerling era di là da venire,
con il suo strascico di pesanti responsabilità attribuite
a Stefania, la principessa del Belgio che aveva sposato Rodolfo,
Elisabetta odiava già la nuora: la trovava una spilungona
brutta e presuntuosa, in una parola insopportabile. Stefania,
(detta anche "il cammello") torna come bersaglio di
Sissi in altre composizioni, ma non è la sola. Praticamente
tutti i parenti viennesi cadono sotto la sferza dell'Imperatrice:
e non solo loro. Ecco la descrizione della famiglia imperiale
russa, incontrata a Kremsier (oggi Kromeriz, nella Repubblica
Ceca) nell'agosto 1885: era stata, questa, una delle poche occasioni
in cui Elisabetta si era degnata di presenziare a una visita
di stato.
... un babuino, il sovrano, troneggia maestoso
In abito straniero, austero e serioso
La scimmia piccola al suo fianco, la consorte
Leziosa fa la riverenza alla gente strepitante.
I figli, due scimmiette ben riuscite come il padre
Si presentano perfino in divisa militare.
Un intero esercito di scimmie decorate
Si dà da fare a ghignare e schiamazzare...
Qualche somaro diplomatico completa infine la masnada...
Dai Canti del mare del Nord (Kremsier)
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Basti dire che il babuino è lo zar Alessandro III (1845-1894),
la scimmia piccola l'Imperatrice Maria (1847-1928), le scimmiette
ben riuscite il futuro zar Nicola II (1868-1918) ed il fratello
Giorgio (1871-1899). La lente deformante dell'odio provato da
Sissi mette in caricatura quella che in realtà era una
famiglia di persone molto gradevoli all'aspetto: lo zar era
un uomo atletico e piacente, la zarina, proveniente dalla famiglia
reale danese, una donna minuta ed estremamente chic, i figli
due adolescenti di bella presenza.
Su un piano più personale, Elisabetta completa così
una sua lunga poesia dedicata a una serie di uomini che l'hanno
ammirata e desiderata: essi formano una collezione di pelli
d'asino complete di teste e appese a un muro. L'autrice si diverte
a passarle in rivista e conclude:
L'ultimo è appeso un poco più in là:
Costui infatti pur piccolo e minuto
Per me è stato la croce più tremenda.
Era un somarello purosangue:
Molto cocciuto e caparbio
E anche se era dai modi molti fini
Di lui non c'era da fidarsi.
Dai Canti del mare del Nord (La bella collezione)
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Si tratta, ovviamente, del marito Imperatore. La perfidia di
Elisabetta è raffinata: rinfaccia al marito, oltre i
difetti del carattere, anche di essere un ometto di modesta
statura. Infatti Francesco Giuseppe che pure era considerato
un bell'uomo, non eccelleva per altezza. I fotografi di corte
giungevano a ritoccare le foto dei due imperiali coniugi insieme
perché non si vedesse che lei era alta quanto lui. L'imperatore,
sotto il nome di Oberon, il re delle fate compagno di Titania,
torna ancora in questi brevi versi in cui l'autrice palesa,
in forma molto elegante (non per nulla la metafora dei cardi
e delle castagne è mutuata da Heine), la sua stizza per
il legame che il marito ha stretto con l'attrice Katharina Schratt
(1853-1940), da lei considerata una donnetta grassa e volgaruccia.
Al medesimo tempo tuttavia Elisabetta si rende conto che una
relazione del genere è necessaria al marito per uscire
da una solitudine in cui lei stessa, con le sue inadempienze
di moglie, l'ha confinato:
Quello che Oberon combina a Titania non importa.
Il suo principio è: non mettiamoci a disagio.
Se di cardi e di castagne uno si accontenta
Sarà lei stessa a volerglieli servire.
Dai Canti d'inverno
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Kaiserin
Elisabeth,
Das poetische Tagebuch,
Wien, Verlag der Osterreichischen Akademie der Wissenschaften,
1995
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Elisabetta d'Austria,
Diario poetico,
Trieste,
MGS PRESS, 1998
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Credits
La Redazione ringrazia Carlo Giovanella (Direttore
Editoriale, MGS PRESS S.a.s., Via Sara Davis 101, 34135 Trieste)
che ha consentito alla parziale riproduzione delle liriche,
tratte dal volume "Diario
poetico di Elisabetta d'Austria" pubblicato nel 1998
(traduzione di Hans Kitzmueller). I diritti di autore di questo
testo sono stati devoluti dalla Casa Editrice ad Amnesty International,
rispettando così la volontà espressa da Sissi
all'"Anima del futuro" nel 1890.
© Testo:
Alina di Collefiorito
© Fotografie: Fondo di Ricerca Storiografica Brandolini-Morgagni
- Archivio Fotografico e Alina di Collefiorito
© Liriche: MGS PRESS
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Sissi nel 1854
Sissi nel 1856
Il Kaiser Francesco Giuseppe I
(1830-1916)
Il duca Massimiliano Giuseppe
in Baviera (1808-1888)
Ludovica Luisa di Baviera
(1808-1892)
Sofia di Baviera, arciduchessa
d'Austria (1805-1872)
L'arciduchessa Gisella
(1856-1932)
Il principe ereditario Rodolfo
(1858-1889)
L'arciduchessa Maria Valeria
(1868-1924)
.
Sissi ritratta da Rausch
nel 1858
Sissi ritratta da Winterhalter
nel 1865
Sissi ritratta da Winterhalter
sempre nel 1865
Sissi ritratta da Raab
nelle vesti di Regina d'Ungheria
(1867)
La famiglia imperiale a Gödollo.
Da sin: il principe ereditario Rodolfo, l'Imperatore, l'Imperatrice,
le figlie Maria Valeria e Gisella (ca. 1869)
.
Il principe ereditario
Rodolfo d'Absburgo
Il principe ereditario
Rodolfo d'Absburgo
nel suo ultimo ritratto
Sissi si nasconde dietro il ventaglio all'arrivo del fotografo
L'Imperatore Francesco Giuseppe
e l'Imperatrice Elisabetta
a passeggio a Bad Kissingen
nel 1890
Sissi in lutto (1892)
Sissi sul letto di morte (1921). Immagine tratta da un film muto
del 1921 diretto dal regista Rolf Raffé. La dama accanto
al letto vuole essere la contessa Irma Sztaray, che le era accanto
quando l'Imperatrice fu pugnalata. Tale immagine
viene spesso data per vera.
Il monumento di Kaiserin Elisabeth eretto a Vienna nel 1907
Heinrich Heine (1797-1856)
nel ritratto di
Amalia Keller (1842)
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