Un
po' di storia dell'istruzione primaria fiorentina
In
Italia dopo il 1831 l'istruzione e l'educazione del popolo venne
a cuore ai liberali e accanto alle scuole governative ne sorsero
alre, private, tutte vivaci e innovatrici i cui maestri provenivano
dagli ambienti progressisti. Il governo toscano, conservatosi
aperto fin dal regime del primo Leopoldo, incoraggiò
queste tendenze generose (ricordiamo che la Toscana vantava
all'epoca il maggior numero di scuole pubbliche e private in
rapporto alla popolazione, rispetto agli altri Stati). La Toscana
inoltre aveva escluso la presenza dei gesuiti dal territorio
(essendo stato l'ordine di S. Ignazio di Loyola scacciato sin
dalla metà del secolo XVIII). Al posto dei gesuiti avevano
dunque il privilegio dell'istruzione i padri delle Scuole Pie,
detti Scolopi, i quali sempre annoverarono nelle loro file uomini
dediti all'istruzione e all'educazione.
Nel 1833 Luigi Frassi e Matilde Calandrini aprirono a Pisa un
asilo infantile per le bambine povere e presto ne sorsero altri
due per i maschietti. I maestri erano tutti volontari, in genere
persone abbienti che intendevano offrire della beneficenza intellettiva
(1).
A Firenze l'Accademia dei Georgofili, nelle persone del marchese
Cosimo Ridolfi e dell'abate Raffaele Lambruschini, si istituiva
educatrice delle classi contadine. Fondarono un Istituto Agrario
a Meleto, e una scuola a San Cerbone; contemporaneamente apriva
asili infantili a Figline. Sulla scia dei precedenti, persino
il poeta satirico e umorista Giuseppe Giusti fondò una
scuola femminile a Pescia. Tra i tanti ad aprire scuole per
il popolo, citiamo Antonio Guadagnoli d'Arezzo ed Enrico Mayer.
A quel tempo Gino Capponi pubblicava i suoi "Pensieri sull'educazione"
e il Tommaseo raccoglieva in volume gli scritti educativi pubblicati
sull'Antologia. Si assegnavano premi per il miglior libro
di lettura per fanciulli, come ad esempio il "Giannetto"
del Parravicini, offerto dall'Accademia dei Georgofili (2).
In questo contesto si fece strada, a poco a poco, Pietro Thouar.
Il primo autore per ragazzi di Toscana
Pietro Thouar nasce a Firenze il 23 ottobre 1809 da Francesco
e Zenobia Bensi, onesta popolana. La famiglia è oriunda
della Lorena, venuta a Firenze quando la dinastia lorenese era
succeduta nel Granducato agli estinti Medici. La famiglia abita
nel quartiere di Santa Maria Novella ed è povera, il
padre si arrangia insegnando lingue straniere. Tuttavia manda
il figliolo a scuola, prima alle elementari della Santa Croce,
poi dai Padri Scolopi, dove tuttavia viene espulso per monelleria.
Il padre si arrabbia e lo punisce rinchiudendolo nella Pia Casa
di Lavoro, una specie reclusorio dove venivano rinchiusi vagabondi
e mariuoli, che il popolo chiamava "Montedomini",
dove la gente veniva ammassata, senza scuole né maestri
per i giovani, senza lavoro per i vecchi, ma solo con guardie
di vigilanza e vere e proprie carceri. Molto tempo dopo il Thouar
sarà direttore di questo istituto e vi apporterà
le riforme necessarie a farne un luogo quanto meno dignitoso,
anche se correzionale. Questa esperienza sarà in seguito
narrata in "Il signore e l'artigiano", primo racconto
della raccolta Racconti per giovinetti (Tip. Galileiana,
1861). La madre comunque riesce a farlo liberare, ma il padre
voleva farne un computista per collocarlo poi presso qualche
casa signorile come "maestro di casa", cioè
poco più di un domestico. Appena adolescente entra come
correttore di bozze nella stamperia di Vincenzo Batelli e cerca
di istruirsi come può; non riesce ad avvicinarsi ai classici
greci e latini, da solo, ma alla letteratura italiana sì,
e inoltre legge i giornali, anche francesi, e talvolta si infiltra
ad assistere a qualche lezione universitaria. Conosciuto il
movimento per l'educazione popolare, contribuisce alla propaganda
con un lunario per il popolo, intitolato Il nipote di
Sesto Caio Baccelli (dal nome di un altro noto lunario),
sostituendo alle profezie e alle cabale sui numeri del lotto
alcuni sani precetti morali. E' il 1831. Il lunario si pubblicò
per una quindicina d'anni almeno, sotto forma di libriccino
in 24° di una sessantina di pagine, al prezzo di due crazie
(3). Il lunario offriva raccolte di massime, proverbi, stornelli
popolari, poesie e prose in forma di raccontini, e inoltre forniva
spiegazioni ad uso del popolo sulle istituzioni che si venivano
man mano formando, come ad esempio le casse di risparmio, le
società di mutuo soccorso fra i lavoranti, etc. Inoltre,
ogni fascicolo conteneva un raccontino, pensato come un popolano
dabbene e scritto nella lingua del popolo, compreso qualche
dialettismo (4); gli scritti dovevano essere semplici, poichè
si doveva tener presente che il lunario spesso era l'unica lettura
delle classi contadine. I racconti contenuti nei lunari verranno
in seguito raccolti sotto il titolo Scene di Camaldoli,
e nel 1860 pubblicati da Le Monnier nel volume dei Racconti
popolari, rinominandoli "Una passeggiata pei borghi
di Firenze". Oltre al lunario del Touar, le classi povere
e/o contadine non leggevano altro che il preesistente Bertoldo
Bertoldino e Cacasenno, e le varie "canzonacce"
stampate su fogli volanti dai tipografi, in sostituzione dei
giornali, destinati ad un pubblico più sofisticato. I
lunari (poi chiamati annuari) non erano una novità nemmeno
per le altre regioni, ma si limitavano a riportare i pronostici
per le stagioni, i numeri per il lotto, le genalogie delle varie
famiglie regnanti, e qualche massima popolare.
Un'altra impresa del Thouar che tuttavia ebbe poca fortuna fu
il tentativo di costituire un giornale per ragazzi, Il giornale
dei fanciulli, compilato insieme con il Bayer. Ma forse
era presto per un prodotto di quel genere: bisognerà
attendere gli anni Ottanta dell'Ottocento per vedere la nascita
e crescita dei giornali per i ragazzi. Ma intanto il suo nome
circolava, e Giampiero Vieusseux gli offre lo stesso incarico
che teneva dal Batelli. Al celebre Gabinetto, nel palazzo Buondelmonti
in piazza Santa Trinita, Thouar entra in relazione con Cosimo
Ridolfi, Raffaello Lambruschini, Lapo de' Ricci (i tre dirigenti
del Giornale Agrario Toscano), Gino Capponi, il Niccolini,
etc. In questo ambiente contribuisce alla diffusione della letteratura
patriota (come ad esempio le poesie del Berchet, vietatissime),
facendone copie manoscritte e divulgandole tra amici e conoscenti,
e anche tra le classi inferiori. Si iscrive alla Giovine Italia.
E' il Lambruschini che si accorge del valore della prosa del
Thouar e lo sprona a scrivere racconti, dialoghi, commediole,
narrazioni storiche, nonchè a collaborare a riviste come
L'Amico del Popolo e Letture Popolari. Il Lambruschini
lo invita anche a collaborare alla "Guida dell'Educatore",
dove Thouar pubblica le sue novelle, sulla parte del periodico
chiamata "Letture giovanili". Anche Atto Vannucci
scrive sullo stesso periodico. Di Thouar vengono apprezzate
la naturalezza dello stile e la forbitezza della lingua, tanto
che passa al racconto storico ("Annalena", "Cecchino
Salviati", "Carlo Graziani", eroi all'epoca molto
popolari).
Il racconto "La tessitora" viene letto dal Giusti,
il quale in una lettera appuntò varie improprietà,
lettera che Thouar mise come introduzione in una nuova edizione
dei Racconti nel 1862 (ma la lettera del Giusti è datata
11 novembre 1844). Le annotazioni del Giusti fanno riferimento
a certi modi di dire popolani che il Thouar immette nei suoi
scritti proprio perchè il popolo capisca la sua prosa,
la senta familiare, ma in due casi il Thouar ha frainteso la
frase idiomatica (5). Al di là delle precisazioni del
Giusti, il Thouar ebbe solo lodi dai contemporanei, e perfino
il Tommaseo molto lodò i suoi racconti.
Pietro Thouar è considetrato il vero iniziatore della
letteratura infantile italiana (6) perchè i suoi racconti
sono scritti in lingua semplice e comprensibile a tutti, mentre
i racconti dei precursori sono scritti in lingua dotta e pertanto
di difficile comprensione, utilizzati solo nei collegi (7).
Tuttavia, persino la critica coeva si accorge del quadro oleografico
composto dal Thouar: nei racconti, infatti, l'indole popolana
è presentata al meglio, la miseria è rassegnata
e tranquilla, il popolano virtuoso è dotato di tutte
le virtù e si accontenta di una modesta gioia. Sul desco
c'è solo pane nero e fagioli, ma l'appetito e la riconoscenza
per poter solo sfamarsi rendono tutti contenti. E la famiglia
del popolano è religiosa, credente, pia: tutte le domeniche
va a messa e digiuna alle vigilie comandate, dice le divozioni
tutte le sere prima di dormire, e in qualche stanza c'è
sempre un lumino acceso; il tutto viene spesso paragonato al
ricco miscredente, o all'aristocratica peccatrice incallita.
Segretario dell'Accademia dei Georgofili, cerca di formare una
società per la diffusione dei libri a basso costo da
destinare al popolo, tanto che pubblica un'edizione de "La
tessitora" al bassissimo costo di quattro crazie, ma certo
un libro non bastava. Inoltre, dopo la restaurazione sul trono
del boemo Leopoldo, viene permesso alla diocesi arcivescovile
la pubblicazione di opuscoli religiosi destinati al popolo,
che avevano una valenza ben diversa da quanto era nelle intenzioni
dei liberali. Thouar, che collabora alla "Guida dell'educatore"
tra il 1836 e il 1845, cessate le pubblicazioni di questa, fonda
un foglio settimanale chiamato "Il giornaletto del popolo"
dove si dava anche qualche indicazione politica in occasione
dei primi moti (siamo nel 1847), insieme con Mariano Cellini,
direttore della stamperia galileiana. Il titolo in seguito cambiò
in "Letture politiche" e da settimanale divenne mensile,
fino a che nel 1859 divenne "Letture di famiglia".
Nel 1843 Enrico Montasio fonda "La rivista di Firenze"
e Pietro Thouar vi collabora, al solito, con racconti in appendice,
così come al "Messaggero delle donne italiane",
un album elegante stampato a Lucca da Vincenzo de Nobili.
Thouar inizia a collaborare con i compilatori della Crusca,
tuttavia le ristrettezze economiche non gli permettono di dedicarsi
alle belle lettere e si impiega alla Soprintendenza agli Studi,
esercitando anche come insegnante, ma nell'ottobre del 1848
viene incaricato del riordinamento e della direzione del reclusorio
della Pia Casa di Lavoro (Montedomini), dove, memore del suo
soggiorno giovanile, apporta notevoli migliorie. Dopo il rovescio
del 1849 anche in Toscana vi fu una reazione e i patrioti vennero
esonerati dagli uffici pubblici, e il Thouar, come tanti, sopporta
la persecuzione. Per guadagnare qualcosa fa anche il copista
ed esercita anche come precettore privato presso famiglie cospicue,
poichè deve anche mantenere i vecchi genitori, i quali
moriranno a breve distanza l'uno dall'altro, tra il 1853 e il
1854. Nel frattempo si è sposato nel 1841 con Luisa Crocchi,
sorella di un amico di gioventù, purtroppo una donna
di cattiva salute, sofferente di una malattia epatica e intestinale,
fonte di perenne preoccupazione per il Thouar. Non hanno figli.
E' anche eletto ufficiale di Stato Maggiore della Guardia Nazionale,
e tira avanti fra angustie e difficoltà. In ques'ultima
fase della vita egli è molto attivo, compone per il popolo
inni e canzoni patriottiche, tratta le questioni politiche in
scritti appropriati per renderle accessibili e chiare a tutti,
è decisamente favorevole all'annessione della Toscana
al Regno d'Italia. Il giorno 27 aprile 1859 vede il tricolore
sventolare sulla torre dell'Arnolfo e ne è tanto contento
da comporre all'istante una canzonetta in versi, poi musicata
dall'amico Gordigiani. Eccola:
E
l'ho visto il vessillo benedetto
Da capo sventolar sopra la torre:
Il Marzocco lo tien fra l'unghie stretto,
Perchè nessuno glielo vada a tôrre.
Dei tre colori quando è rivestito
Palazzo Vecchio par ringiovanito,
Quando splendono al sole i tre colori
Ringiovanisce la città dei fiori;
Quando risplenderan sull'Appennino
Tutta l'Italia diverrà un giardino.
Eletto
deputato dell'Assemblea Toscana da uno dei collegi elettorali
fiorentini, il 16 agosto 1859 dà il proprio voto per
decretare la fine della dinastia austro-lorenese. Nel 1959 infatti
i moti riescono dà dove avevano fallito dieci anni prima
e il Granduca Leopoldo II viene invitato a lasciare Firenze.
In questa occasione Thouar compone un "rispetto popolare"
che viene messo in musica e cantato in tutte le scuole. Dopo
la fuga del Granduca la Toscana viene infatti inglobata nel
Regno del Piemonte, e al Thouar viene conferito l'incarico di
dirigere una scuola magistrale maschile di tipo sperimentale
(magistrale pedagogica), alla cui inaugurazione nei chiostri
della SS Annunziata egli stesso pronuncia il discorso (28 maggio
1860). A proposito del Granduca vale la pena riportare un aneddoto.
Leopoldo II aveva un debole per il personaggio di Pia de' Tolomei,
apprezzando in particolare la tragedia del Marenco, e assisteva
sempre alla rappresentazioni di questa; si pose poi in testa
di bonificare la Maremma (all'epoca ancora paludosa). Anche
la novella del Sestini gli piaceva, tanto che ne volle un'edizione
di lusso del tipografo Chiari, illustrata, alla quale doveva
precedere la descrizione dei luoghi. Per codesta relazione venne
inviato in Maremma il Thouar, che pellegrinò per i paesi
e ne fece un'accurata e pittoresca esposizione. Il Granduca,
che si trovava a viaggiare anch'egli per la Maremma, volle conoscere
il Thouar e lo invitò ad un incontro a Castiglion della
Pescaia; il Thouar, che aveva molto in uggia il Granduca, fece
in modo di arrivare in ritardo all'appuntamento, ben sapendo
che il Granduca non l'avrebbe aspettato. Ma da quel giorno il
Thouar venne in uggia al Granduca, e infatti venne incluso nel
mucchio sottoposto alle estromissioni dagli uffici pubblici.
Oltre a questo viaggio per la Maremma, il Thouar non mise piede
fuori di Toscana, eccetto un brevissimo viaggio a Roma, un'unica
volta.
Vittorio Emanuele II lo insignì della croce di cavaliere
mauriziano, decorazione che egli indossò una volta sola,
in occasione delle celebrazioni per la riunione della Toscana
al Regno d'Italia.
Nel maggio del 1861 si ammala di polmonite e muore il 1°
giugno 1861, vigilia della prima feata nazionale dello Statuto.
Alla finestra della sua camera, su sua richiesta, fu messo a
sventolare il tricolore, nella modesta casa di via Santa Reparata.
E' seppellito al cimitero delle Porte Sante, e il suo monumento
funebre è posto accanto a quello del Giusti. Il giorno
del funerale, le prolusioni commemorative furono pronunciate
da Raffaello Lambruschini, Atto Vannucci e Giuseppe Montanelli.
Firenze gli dedicò una strada proprio nei pressi di Montedomini,
tuttora esistente come ricovero.
Le caratteristiche fisiche del Thouar sono quasi da macchietta,
finemente descritte da Bruno Cicognani in un articolo pubblicato
sul Secolo nel 1926: "Calvo, con gli occhiali, un'incorniciatura
rada di peli rossi, ancora d'adolescente, intorno alle gote,
magro, con l'affossatura alle tempie: gli occhi e la bocca avevano
un che di severo e d'ascetico. Il solino a larghe vele, la cravatta
e il gilè neri, di raso, la redingote a grandi bottoni,
il cappello a cilindro di raso turco." Tuttavia è
una persona estremamente seria e dotata di morali virtù,
che cerca costantemente di trasmettere ai fanciulli, poichè
è un educatore per vocazione. E' per i fanciulli che
scrive infatti quei racconti poi divenuti celebri, senza rifarsi
a modelli precedenti o stranieri. A dire il vero fu in seguito
Pietro Dazzi a raccogliere e ordinare le carte del Thouar e
a curare le edizioni delle opere di Thouar pubblicate da Bemporad.
NOTE
(1) Ciò che anche a Roma facevano le famiglie
abbienti, come ad es. diversi appartenenti della famiglia Nathan.
(2) Quanto riportato in questa pagina è stato tratto
da un ponderoso volume ottocentesco, da noi riassunto brevemente
e riscritto in italiano corrente. L'Autore si rammarica del
premio devoluto al Parravicini, in primo luogo perchè
egli non era toscano, in secondo luogo perchè "reputa
impossibile per chiunque non nacque o non visse lungamente in
Toscana lo scrivere acconciamente pel popolo".
(3) Una crazia (dal tedesco kreutzer) era una piccola moneta
toscana del valore di circa otto centesimi, al valore del centesimo
dopo l'unità d'Italia.
(4) ...che il nostro Autore chiama "idiotismo".
(5) "Essere uomo da mettergli il capo in grembo",
usato dal Thouar nel significato di "persona di gran rispetto",
mentre l'esatto significato è "persona da fidarsene
alla cieca"; "aver l'agio di dar l'andare al trogolo",
usato dal Thouar con il significato di "poter ciarlare
a suo modo", mentre l'esatto significato è "lasciarsi
andare a contumelie, vituperare".
(6) I precursori della letteratura infantile sono D. Giulio
Tarra, P. Francesco Soave, e Cesare Cantù, autori di
testi pesantemente moraleggianti e oggi considerati privi di
valore letterario, ma non sono toscani.
(7) I tre autori sopracitati sono considerati "incomprensibili"
se non addirittura ridicoli dall'Autore, poichè suscitano
"matte risate alle frasi lambiccate e contorte", incomprensibili
in quella "cuna della vera lingua".
© letteraturadimenticata,
maggio 2012