TOMMASINA GUIDI
Cristina
Tommasa Maria Guidicini nasce l'8 marzo 1835 da una famiglia
modesta. Il padre Giosuè muore quand'ella è ancora
in fasce e la madre, Caterina Pedrazzi, non può far altro
che ritornare alla casa paterna con la figlia sulle braccia.
Cristina cresce in campagna, ma è una bimba solitaria,
rallegrata talvolta dalla compagnia dei cuginetti, figli dell'avvocato
Gian Battista Pedrazzi, fratello della madre. Nel 1848-49 testimonia
l'invasione austriaca per la quale dovette abbandonare la campagna
e rifugiarsi a Bologna, all'epoca ancora protetta dalle mura
e dai fossati circostanti. Ma gli Austriaci pongono un vero
assedio (le "otto giornate di maggio") alla città,
durante il quale la famiglia vive in cantina, insieme a varie
persone, tra le quali il vecchio nonno ormai cieco. Gli Austriaci
tengono la collina di San Michele in Bosco e Villa Aldini all'Osservanza,
da cui sparano colpi di cannone sulla città. Nel pomeriggio
del 16 maggio la città esausta si arrende.
In seguito la madre si risposa con Giuseppe Cuzzani, degnissima
persona, ma nessun fratellino si aggiunge e Cristina non ha
che i prati con cui passare il tempo. La casa è situata
a San Lorenzo in Collina, nei pressi del Monte Avezzano. Cristina
vi passa tutta l'adolescenza, studiando da sola e leggendo ciò
che trova. Presto inizia a scrivere i suoi pensieri, bozzetti,
commediole, racconti fantastici che poi non serba. In un album
ritrovato in seguito dalla figlia ricopia i brani che l'hanno
colpita degli autori che predilige: Dumas, Sue, Manzoni, Alfieri,
Byron, insomma i classici dell'epoca, tra i quali troviamo un
outsider: Giannina Milli. In effetti, è così che
si impara a scrivere: leggendo molto. Quando è più
grandicella ha un maestro, Salvatore Muzzi (morto l'1/8/1884).
Anche il nonno muore, nel 1863.
Ha un amore infelice (non ci viene raccontata la causa per la
quale "per più di sett'anni" ella sperò
e consumò i palpiti del suo cuore), così sposa
a trent'anni suonati Paolo Tabellini, che si era distinto nel
1848 sulle mura di Bologna contro gli Austriaci, e nel 1849
a Roma, guadagnandosi due medaglie al valore. Paolo è
buon musicista dilettante e ha un animo d'artista, sicchè
l'unione è felice e duratura.
La madre si trasferisce con il secondo marito a Firenze, e questa
lontananza sarà sempre motivo di cruccio per Cristina,
a lei molto legata, ma una gioia improvvisa, dopo quattro anni
di matrimonio, la consola: nasce il piccolo Roberto. Siamo nel
1868 e purtroppo il piccolo muore quando ha appena 11 mesi,
e per Cristina questo è motivo di un dolore immenso,
che mai supererà del tutto, e che la getta nello sconforto
(oggi diremmo depressione). Il marito la manda a Firenze presso
la madre per svagarla un po', e in seguito anche a La Spezia;
Cristina scrive e scrive pensieri strazianti, ritrovati poi
anche questi dalla figlia. Il dolore è tale che i capelli
le imbiancano tutti di colpo, e non l'aiuta certo la morte improvvisa
della madre adorata.
Ma la vita continua. Miracolosamente arriva la figlia Caterina
(detta Catina), e in seguito altri due fratellini, Roberto (come
il primo) e Giovanni. Con la serenità Cristina trova
il modo di scrivere più ordinatamente e inizia a pubblicare,
dapprima sui giornali, poi trova un editore. L'esordio è
una novella, Memorie d'una zia, che viene pubblicata
nel 1877 su Il Giornale delle Donne di Torino, e così
fino al 1879 quando esce il primo volume, Ho una casa
mia!, romanzo dove in realtà vengono elargiti
consigli materni, una sorta di galateo mascherato; il testo
è dedicato alla figlia Catina, all'epoca ancora una bimba,
"per il giorno delle sue nozze". La collaborazione
con Il Giornale delle Donne, sul quale scrive non solo
novelle ma anche una serie di articoli di vario soggetto, firmati
con lo pseudonimo di Edoardo De Albertis, dura fedelmente sino
alla morte. Cristina pubblica ogni anno più di un romanzo,
anche quattro, e novelle, per un totale di oltre sessanta titoli.
Sceglie come pseudonimo un nome mascherato a metà: Tommasina
è il suo secondo nome, il cognome Guidi è solo
la troncatura di Guidicini. Nel 1891 muore l'amato marito.
Nel 1892 troviamo i figli cresciuti. Roberto passa l'esame di
violoncello al Liceo Musicale di Bologna e viene scritturato
come primo violoncello nei principali teatri italiani; successivamente
si laurea in giurisprudenza. Giovanni è allievo alla
Scuola Militare di Modena e si sposa giovanissimo, ma proseguirà
la carriera militare nei Bersaglieri (alla morte di Cristina
non è ancora capitano, grado che raggiungerà in
seguito). La figlia Catina sposa un militare che nel 1896 è
tenente nel 27° Fanteria e nel 1902 diventa anch'egli capitano.
Nel febbraio 1903 Cristina si ammala. Tiene da sempre una fitta
corrispondenza con la figlia, che si sposta di città
in città per seguire il marito; l'ultima lettera è
del 14 novembre e termina con uno straziante e premonitore "Addio
mio amore!".
Il 19 novembre 1903 muore a Bologna Cristina Guidicini, in arte
Tommasina Guidi.
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La
casa dove Cristina
Guidicini
abitò a San Lorenzo in Collina
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Fortemente
contraria al divorzio, si attirò le rampogne di Anna
Franchi, che nel giugno 1897 dalle pagine di Vita Femminile
scriveva un articolo intitolato "Il divorzio secondo una
scrittrice" facendo chiaro riferimento a Tommasina Guidi.
Il testo inizia con "Fra le lotte della nascente civiltà
che vuole rialzare le condizioni generali della donna e le invecchiate
idee, è doloroso che proprio una donna, ed una donna
che pensa [...] alzi la voce contro questo movimento umanitario"
e prosegue: "Se io conoscessi la signora Guidi vorrei domandarle
come mai ella che a quanto pare ritiene essere solo compito
della donna quello di filare e tessere tele nel gineceo, ha
lasciato il suo cantuccio di buona massaia, ed ha impugnato
bravamente la penna". E infine: "O forse la signora
Guidi è tanto felice che non volge nemmeno uno sguardo
alle profonde sventure di tante, per le quali il divorzio non
sarebbe onta, ma liberazione".
E' certamente così. La giusta battaglia della Franchi
nasce proprio da un fatto personale, ed ella si illudeva che
chiunque potesse pensare come lei, che faceva della sua vicenda
particolare una causa universale. Vero è che Tommasina
Guidi aveva scritto che "di vittime innocenti ve ne sono
poche", e la querelle si svolgeva su due piani: l'una portava
il proprio esempio di sofferenza, l'altra gli esempi poco edificanti
di tante altre. La risposta forse non fu mai inviata alla Franchi.
Eccola: "[...] Non ho lasciato mai il cantuccio di massaia
benchè abbia scritti una trentina di libri - né
ho mai filato, né fatta la tela e neanche studiato. Vi
è fra il lavoro del tessere e dello studiare quel certo
intermezzo che piace a me - badare molto alla casa [...] dare
all'intelligenza ciò che si chiama pane dell'onestà:
non pretendere più di quel che si merita [...]. Scrissi
che il divorzio non è salute delle donne e lo ripeto,
perchè il divorzio - meno eccezionabilissimi casi - è
ai miei occhi non un rimedio, ma un peggiorativo [...] un riabbassamento
della propria dignità: perchè quando per disgrazia
il marito è perverso, siete purtroppo in obbligo di tenervelo,
voi che d'arbitrio vostro ve lo prendeste! [...] Che io sia
stata moglie felice non è cosa da confidare a un giornale;
dirò che se la felicità è un bel serto
invidiabile, l'infelicità stessa della donna di garbo
è un'aureola non disprezzabile, preferibile cento volte
ai pampini di una divorziata che divisa dal suo tiranno andò
in cerca di un altro passando sopra spensieratamente ai figliuoli."
E' evidente che gli esempi che la Guidi doveva aver testimoniato
erano quelli. La questione non si risolse, né per la
Franchi né per tante altre, dato che l'Italia approvò
il divorzio solamente nel 1974, buona ultima tra tutti i Paesi
europei.
Altra
polemica nella quale entrò suo malgrado a far parte fu
quella che riguardò la commemorazione del centenario
della (supposta) morte di Beatrice Portinari, voluta fortemente
da tale Carlotta Ferrari da Lodi. Questa illustre signora sul
numero del 1° giugno 1889 della rivista Lettere ed arti
diretta da Enrico Panzacchi propose il centenario. La Guidi,
contrariamente alla sua natura dolce e tranquilla, sentì
di dover rispondere con obiezioni sia intellettuali (che qui
tralasciamo, ma che evidenziano una giusta visione dell'opera
dantesca) sia di puro buon senso, e sul numero dell'8 giugno,
rispose che non si poteva pensare di celebrare tutte le donne
amate dai grandi uomini, se non al prezzo di avere "un
centenario per settimana", e prosegue testualmente: "quando
si tratta che l'iniziativa viene da un pugno di donne così
dette letterate, [...] persuadetevi che se non è logico
di dar contro [...] alle donne istruite, è altrettanto
illogico il prestare mano a certe odierne utopie vanitose. Invece
di centenari, propugnate le opere di carità e state attenti
che le carità siano fatte con intelletto [...]. Informatevi
dei nomi delle signore del Comitato per il centenario di Beatrice
e sappiatemi dire se ne ritrovate uno solo, solo uno di quelli
che suonano nel mondo letterario in maniera gradevole. C'è
la Serao? C'è Neera? C'è la Colombi?" Risposta
che si commenta da sola. Nel marzo 1890 la Ferrari mandò
in giro per l'Italia una circolare di richiesta di adesione
e supporto con la quale ottenne il risultato di farsi sbeffeggiare
da Ida Baccini sul n° 18 di Cordelia del marzo 1890,
che chiamando "idea grottesca" quella della Ferrari,
fece capire al mondo intellettuale che l'iniziativa sarebbe
stata sorretta dal De Gubernatis (lo chiama "mago"),
il quale in realtà aveva mutato gli obiettivi e pensato
di "aprire a Firenze una grandiosa Esposizione Femminile".
Intercorsero quindi alcune lettere tra lo stesso De Gubernatis
e la Guidi, ma come sappiamo questa si guardò bene dal
partecipare in alcun modo al centenario, che ebbe luogo con
il nome di Esposizione
Beatrice ed ebbe un modesto successo di critica.
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Cristina
Guidicini
in un ritratto giovanile
Cristina
Guidicini
nel giorno delle nozze
Cristina
Guidicini
con il primogenito Roberto (1868)
Tommasina
Guidi nel 1894
L'ultima
fotografia di
Tommasina Guidi
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Nel panorama italiano delle scrittrici tra Ottocento e Novecento,
autrici di quel genere di romanzi romanticheggianti, a volte
tragici, improntati all'espressione del sentimentalismo più
puro, a seconda di chi scrive moraleggianti o scandalosi, che
abbiamo definito feuilletons, la figura di Tommasina
Guidi spicca solitaria. Innanzi tutto ciò che la distingue
dalle altre è il tenore di vita, improntato alla più
assoluta serietà e alla riservatezza - quasi una selvatichezza
- che la tenne ben lontana dalle cronache, dai salotti, dai
circoli e dalla mondanità intera.
Tuttavia di lei si parla poco anche oggi, e nelle innumerevoli
antologie dedicate alla letteratura femminile al suo nome si
accenna di sfuggita. Già i contemporanei di Tommasina
Guidi di lei parlavano poco; ella ebbe degli scambi epistolari
con gli intellettuali del suo tempo (Neera, Ida Baccini, Jolanda,
Alfredo Testoni, Ildebrando Bencivenni, Giosuè Carducci,
Alfredo Oriani, Angelo De Gubernatis, per citarne solo alcuni),
e ricevette commemorazioni, necrologi e ricordi da parte di
una larga parte di colleghe, come Clarice Tartufari e Giorgio
Palma; Flavia Steno scrisse sul Secolo XIX nel febbraio
1902 una favoreve recensione di Ho una casa mia!,
che diventò così il regalo classico che si fa
ad una giovane sposa, com'era anche per Eva Regina di
Jolanda: la stessa Jolanda con il nome di Viola d'Alba su Cordelia
del 23/8/1911 raccomanda alle sue cordeliane di leggere Il
libro della vita, raccolta degli articoli pubblicati
da Tommasina Guidi su riviste e giornali. Ma presto nessuno
più la ricordò. Già pochi anni dopo la
sua morte la figlia Catina lamentava l'oblìo per il nome
della madre, tanto che l'ultima sua celebrazione fu l'intitolazione
nel 1911 di una scuola media di Bologna (ancor oggi esistente).
Noi che ci documentiamo su testi d'epoca, non abbiamo mai rilevato
alcun dato biografico di Tommasina Guidi, né nelle bibliografie,
né nelle varie edizioni dei Chi è?, pubblicate
annualmente da vari estensori. Per avere le informazioni sopra
date abbiamo dovuto ricorrere a documenti privati facenti capo
alle memorie della figlia Catina Rossi Tabellini. Si ringrazia
dunque la famiglia Rossi per aver fornito le informazioni e
le fotografie di questa pagina, che sono di esclusiva proprietà
della famiglia e non possono venire riprodotte senza autorizzazione.
©letteraturadimenticata, febbraio 2009
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