Paolo
Lorenzini nasce a Firenze il 12 gennaio 1876, il primo dei dieci figli
di Ippolito e Giulia Morelli, figlia di un ex maestro di scuderia del
duca Roberto di Parma e di una cameriera. Il padre, che ha sempre vissuto
precariamente, ha finalmente un lavoro stabile, impiegato al Comune
di Firenze. Egli è fratello minore di Carlo Lorenzini, scrittore
con lo pseudonimo Collodi.
Viene battezzato con il nome dello zio Paolo, direttore della Manifattura
Ginori, che era in grado di aiutare finanziariamente i numerosi componenti
della poverissima famiglia Lorenzini, specie Ippolito che era sempre
indebitato e che i fratelli aiutavano sia direttamente che indirettamente
pagando i conti dei fornitori.
Paolo Lorenzini passa le vacanze estive a Castello, nella villa «Il
Bel Riposo» in via della Petraia, ospite dello zio Paolo e della
moglie Luisa, che non avevano figli, e con la nonna Angiolina Orzali,
presso la quale vive fino a sei anni, e occasionalmente anche con lo
zio Carlo. Fin da ragazzino dimostra un temperamento vivace che lo porterà
ad avere una vita avventurosa.
Con
l'aiuto di entrambi gli zii frequenta le scuole ginnasiali (come venivano
chiamate all'epoca le odierne scuole medie) al Collegio Cicognini di
Prato, poi il Collegio Militare a Firenze che abbandonò per motivi
di salute e l'Istituto Tecnico di Firenze nella sezione Fisica-Matematica,
che frequenta di malavoglia poiché scrivere, il "vizio di
famiglia", lo aveva già colto. Infatti, oltre allo zio Carlo,
anche il padre Ippolito scrisse con lo pseudonimo di Icilio Cortona.
Giovanissimo, emigra in Argentina, dove già si trovavano molti
componenti della numerosa famiglia Lorenzini. Imbarcatosi a Genova,
arriva a Buenos Aires nel 1897, viaggiando in seconda classe sulla nave
Perseo. Nella lista passeggeri si dichiara "anni 22, non
accompagnato, cattolico, celibe, sa leggere e scrivere, professione:
civile". Arrivato con duecento lire in tasca, per sopravvivere
è costretto a fare vari mestieri: commerciante, assicuratore,
corriere postale, farmacista a Belgrano ("dovetti adattarmi
a tutto, anche a studiare farmacia e per forza di cose, finii
per diplomarmi dopo tre anni in quella disciplina").
Ritornato in Italia, esordisce nel 1900 con la raccolta di poesie Canti
Mesti e in seguito si dedica alla prosa scrivendo soprattutto
per i ragazzi e sfruttando il personaggio di Pinocchio, inventato dallo
zio Carlo, in quelle che oggi sono definite "pinocchiate".
Cfr. la pagina dedicata a Pinocchio.
Seguono Le avventure di Chifellino, Bemporad
1902, con ill. Carlo Chiostri, e quello che rimane il suo capolavoro
per la letteratura infantile: Sussi e Biribissi,
Bemporad, 1902. Il testo viene ristampato successivamente da Salani,
in varie collane, compresa la Biblioteca dei Miei Ragazzi, dove comparirà
nel dopoguerra anche il seguito, Le nuove avventure di Sussi
e Biribissi.
Negli anni Trenta lavora all'EIAR come presentatore-animatore del programma
"Il Cantuccio dei bambini" raccontando storie che furono poi
raccolte in volume, illustrate da Roberto Lemmi.
Nel 1932 diviene il primo direttore responsabile del settimanale "Topolino"
edito dall'editore Nerbini di cui fu molto amico. Introduce il n°1
(31 Dic. 1932) con l'editoriale: Due paroline di Topolino ai suoi
lettori. Nel giugno 1934 la direzione passa a Mario Nerbini. Pare
infatti che Lorenzini si sia licenziato perché l'editore assunse
anche per l'edizione italiana i balloons americani che Lorenzini
detestava, abbandonando le striscie con testo rimeggiato (1)
("Topolino dal rinchiuso, fatto ardito, anzi gradasso,
al bestione in pieno muso scaglia dritto un grosso sasso");
tuttavia continua a collaborare con la testata saltuariamente. Successivamente,
sempre per Nerbini, Lorenzini dirige L'Avventuroso,
fondato nel 1934, e nel 1938 il giornale a fumetti Pinocchio
che chiuse dopo trenta numeri. Nel 1935 Corrado Sarri illustra l'albo
"Il gaucho nero", con testo di Lorenzini per la collana «Avventura».
Partecipa alla realizzazione del film (1936) I due sergenti
diretto da Enrico Guazzoni con Gino Cervi e Alida Maria Altenburger
(ovvero Alida Valli al suo debutto cinematografico), tratto dal suo
testo I due sergenti: romanzo dell'epoca napoleonica: sulla
trama del dramma di D'Aubigny, Firenze, 1932.
Traduce
anche alcuni testi stranieri e, oltre ad una nutrita di titoli per la
gioventù, scrisse anche qualche romanzo poliziesco, sempre per
Nerbini; inoltre svolse anche una modesta attività di paroliere
per alcune canzonette dell'epoca. Lorenzini mantenne
continuamente viva la memoria dello zio Carlo e nel 1954 ne scrisse
una biografia ampliando una memoria che aveva scritto nel novembre 1930
per La Lettura, rivista del Corriere della Sera.
Paolo Lorenzini fu il più informato sulla vita dello zio Carlo
poichè il padre Ippolito era in possesso di quelle che furono
chiamate Le Carte Collodiane ricevute dalla cognata Luisa alla
morte del marito Paolo. In effetti la frequentazione dello zio era stata
sporadica, lo zio lo portava con sé a passeggiare "col
tranvay a vapore fino alle Cascine", ma una vera comunanza
non vi fu mai ("poche volte ebbi da lui un bacio").
Paolo Lorenzini visse la sua carriera letteraria all'ombra dello zio,
tanto più famoso, oggi forse anche più di quanto lo sia
stato ai suoi tempi. Lorenzini, sposato e padre di due figli
("ho sempre tirato avanti la famiglia e condotti due figliuoli
ad una professione"), muore nel 1958 a Firenze.
(1)
Tuttavia, fin dalla loro prima apparizione in Italia sul Corriere
dei Piccoli (1908), i balloons erano stati eliminati da
Antonio Rubino, che in sostituzione aveva inventato le strofette rimate.
Evidentemente Nerbini deve averli re-introdotti alcuni decenni dopo.
Testo parzialmente
riprodotto da www.bibliotecadeimieiragazzi.com
© Anna Levi