Le poche righe biografiche di Raffaello Barbiera non gli rendono
giustizia: egli fu uno di quegli scrittori che riescono a creare
un caso letterario da un nonnulla, da un aneddoto, da un fatto
di cronaca: vero giornalista, che sa mescolare il "reportage"
al "commento" senza alterare la realtà dei
fatti, regalando al lettore un vero godimento. Poliedrico per
interessi, il Barbiera fece parte dell'intellighenzia
milanese in un periodo storico e letterario molto interessante.
Il
suo interesse maggiore è per i fatti risorgimentali,
che descrive con minuzia di particolari in diversi testi; nelle
due celebri biografie, quella di Cristina di Belgiojoso
e di Clara Maffei, non lesina su fatti e personaggi,
maggiori o minori che siano.
Come ogni letterato che si rispetti, il Barbiera è anche
un gourmet: in Carlo
Porta e la sua Milano si legge: "Potete
esaltare Milano come meglio vi piace, ma non colpirete mai nel
giusto segno se non ricorrete al suo epicureismo. Milano ha
la beneficenza ed ha il Duomo; ha la Scala ed ha il Cenacolo
di Leonardo; ma la sua caratteristica ricchezza è uno stomaco
di bronzo invidiabile". Segue la storia del panettone, con
testimonianze della presenza del panettone nella letteratura
in dialetto milanese.
Di tanti fatti di cui il Barbiera riporta nei suoi scritti,
ve ne sono alcuni che meritano di essere citati per essere delle
curiosità di costume che ai nostri giorni sono irripetibili:
citiamo solo quello più divertente, il rapimento di una
dama del bel mondo milanese da parte dei corsari (box a ds).
L'altro aspetto di costume, ormai perduto da tempo, è
il significato che il "salotto" aveva assunto dagli
inizi dell'Ottocento per raggiungere il suo picco durante la
Belle Epoque, e che pian piano andò a spegnersi fino
a cessare del tutto con l'avvento della Prima Guerra Mondiale.
LA
PRINCIPESSA BELGIOJOSO
La
Principessa Maria Cristina Belgiojoso (1808-1871) è tra i grandi
personaggi italiani del Risorgimento e della Restaurazione.
Nata il 28 giugno 1808 a Milano, figlia del marchese Giorgio
Trivulzio, a soli quattro anni Cristina perde il padre e la
madre e resta sola con le sue tre sorelle e il fratello. Dotata
di bellezza, ingegno, cultura, Cristina, ancora giovanissima,
va in sposa al principe Emilio Belgiojoso. Di carattere bizzarro
e in sommo grado indipendente - racconta un contemporaneo -
non aveva tardato a separarsi dal marito, al quale la legava
un affetto di tipo fraterno. Fu tuttavia una separazione amichevole,
perchè essi, così diversi in tutto, avevano un punto
di contatto: si accordavano in un alto sentimento patriottico,
per cui anche lontani Cristina ed Emilio conservavano relazione
continua e cordiale. Non erano due sposi, erano due congiurati:
è a causa dei tradimenti del marito che la principessa baratta
la di lui infedeltà con la sua libertà. Dopo essersi iscritta
fra le "giardiniere" carbonare, aderisce alla fede
mazziniana. Pronta a sostenere ogni sacrificio per sostenere
le cospirazioni, ch'erano in quei tempi crepuscolari di operoso
patriottismo, necessaria preparazione a prove maggiori, vi dedica
tempo e denaro. Cristina è costantemente controllata dalle spie
del regime austriaco, cosicché, nella primavera del 1830, lascia
clandestinamente Milano alla volta del lago Lemano, nei pressi
di Ginevra. Ma lo spionaggio non abbandona un solo attimo i
movimenti della bella principessa, la quale decide di far valere
l'originaria cittadinanza ticinese della famiglia Trivulzio
e di così recarsi a Lugano. Grazie all'appoggio di amici, Cristina
ottiene un decreto governativo che le convalida la cittadinanza
svizzera. Malgrado l'assillante controllo austriaco, la principessa
Cristina di Belgioioso, a Lugano, vive uno splendido periodo.
La munificenza benefica e il fasto dignitoso della principessa
le avevano, di colpo, guadagnata la simpatia di tutti i Luganesi.
Le prestigiose frequentazioni della principessa sembrano parlare
da sé sullo spessore di quest'affascinante donna, decisamente
emancipata per quel tempo. Eppure, ecco cosa scrive in proposito
la spia che sotto falso nome le sta alle calcagne: "La principessa
Belgiojoso è una pazzerella che starebbe meglio a casa sua a
Milano, che in giro sempre all'estero per farsi deridere, per
compromettersi forse, e compromettere gli altri". La precisa
data di partenza della principessa Belgiojoso da Lugano non
è nota. Nei primi giorni del 1831 si reca in missione a Genova
e in seguito, poco dopo la rivoluzione liberale in Ticino, raggiunge
Mazzini in Francia, il quale sta maturando la creazione della
Giovane Italia. Qui conoscerà, tra i suoi seguaci, il
Thiers, il Mignet, Alfred de Musset, Enrico Heine, Niccolò
Tommaseo. Il vecchio La Fayette la considera come una figliuola
spirituale. Ma con Mazzini - anche lui una primadonna - l'accordo
non poteva durare a lungo, anche perchè Cristina viene
delusa dai tanti falsi mazziniani al seguito del grand'uomo,
che non si accorgeva della differenza tra un galantuomo e un
profittatore. Vede nel Conte di Cavour l'uomo di Stato atto
a far risorgere l'italia, e saluta nella Casa Savoia la salvezza
della patria (e scrive subito una Histoire de la Maison
de Savoje). Ma Cristina è sempre soprattutto
una gran dama. A Parigi tiene salotto, ospitando tra gli altri
Chopin, che si manteneva suonando nei salotti e insegnando musica.
E' anche noto un grande evento organizzato a Parigi dalla principessa
Belgiojoso che, per l'anniversario della morte di Bellini, fa
incontrare i più grandi pianisti dell'epoca, amici e nemici,
che si esibivano in una gara, come i poeti di allora che si
sfidavano nelle improvvisazioni. Dopo la battaglia di Magenta,
tornata a Milano, Cristina vive combattendo contro gli austriaci
e contro la mentalità dell'epoca, non ancora pronta per accogliere
una donna tanto indipendente. L'evento senza dubbio più lieto
della sua vita è la nascita di Maria Gerolama, il 23 dicembre
1838, concepita in un breve periodo di riconciliazione con il
marito, che sposerà il marchese Lodovico Trotti e sarà
dama della regina Margherita. La principessa Belgiojoso muore
a Milano il 5 luglio 1871. Della proficua attività intellettuale
della Principessa Maria Cristina Belgiojoso sono rimaste innumerevoli
opere. Tra le più importanti scritte in italiano si annoverano:
L'Italia e la rivoluzione italiana del 1848 (1848),
Ai suoi concittadini: parole (1848), La
vita intima e la vita nomade in Oriente (1855); Il
1848 a Milano e a Venezia: con uno scritto sulla condizione
delle donne (1865), Della presente condizione
delle donne e del loro avvenire (1866); Osservazioni
sullo stato attuale dell'Italia e sul suo avvenire (1868);
Sulla moderna politica internazionale (1869).
Tra le opere scritte in francese: Asie mineure et Syrie:
souvenirs de voyages (1858), Scenes de la vie
turque, Histoire de la Maison de Savoje
(1860).
Principessa Belgioioso
La rivoluzione italiana nel 1848
Sandron, 1904
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La
Principessa
Maria Cristina Belgioioso Trivulzio
nel ritratto eseguito da
Enrico Lehmann a Parigi
(collezione privata Marchesi Dal Pozzo)
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La contessa
Clara Maffei
nata Carrara-Spinelli
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IL
SALOTTO DELLA CONTESSA ...
La donna è la vera e unica autorità nel suo salotto. È un esercizio
che svolge con sapiente abilità ed a cui è stata educata per
anni; l'abitudine all'ascolto, l'attenzione e il rispetto per
le opinioni dell'ospite sono il frutto di un lungo tirocinio
che è parte del processo educativo di una giovane donna del
XIX secolo. In una società così compenetrata di socialità l'arte
della conversazione viene insegnata ed affinata lungamente,
non è capacità innata, ma esercizio raffinatissimo, sensibilità
nell'accostare gente diversa, attenta dosatura tra parole e
silenzi. Sia pure discreta, la figura della padrona di casa
è predominante e, talvolta, l'esercizio della sua autorità è
richiesto per sanare contrasti troppo accesi o per evitare brusche
cadute di tono. Questa autorità è riconosciuta e quindi autosufficiente.
Alcuni intellettuali dell'epoca hanno paragonato il salotto
ad una monarchia assoluta, infatti accanto alla figura femminile
centrale non si trovano altri personaggi in grado di avere altrettanto
potere riconosciuto dai frequentatori del salotto. Anche quando
la dama è sposata, la figura del marito appare secondaria, marginale
e non incide attivamente sulle dinamiche del salotto. L'autorità
non viene gestita dalla coppia, ma è esercitata singolarmente
dalla padrona di casa. Questa funzione di autorità ha comunque
un fondamento etico in prima istanza; in lei i membri del salotto
venerano e rispettano non solo l'ospite proprietaria, ma quelle
virtù della buona società aristocratica in cui tutti si riconoscono.
IL SALOTTO COME CENACOLO
Tutte le grandi dame dell'epoca tengono salotto, a cominciare
dalle principesse del sangue, che vi sono obbligate per doveri
di regno. Ma vi sono dei salotti famosi, tenuti da grandi dame,
che divengono il luogo d'incontro deputato per intrattenere
i rapporti non solo mondani, ma anche e soprattutto intellettuali.
Poichè il ruolo della padrona di casa è fondamentale
e solo apparentemente di supporto e mediazione, solo alle grandi
personalità femminili è dato tenere un salotto
che sia soprattutto riconosciuto come cenacolo, cioè
che vada oltre la mera mondanità e sia patrocinatore
di arte, lettere e filosofia. Nel salotto di Clara Maffei, il
ruolo della padrona di casa è in realtà riconosciuto come insostituibile
dai frequentatori come sottolineano le parole di Raffaello Barbiera
nei suoi confronti: "La sua potenza consisteva nell'arte,
così ardua, di ricever bene, di riunire nobili elementi; di
essere centro d'un ordine d'idee civili, liberali, senza farne
mostra. Nessuna ostentazione, nessuna posa, nessuno sforzo in
lei: sembrava nata per ricevere, per guidare una conversazione
eletta, per annientare abilmente nel calore delle discussioni
gli attriti. L'arte del ricevere (diceva) è l'arte del sacrificarsi.
E quante volte la buona amica nostra si sacrificava ai gusti
degli altri!... Era gentildonna nell'aspetto, nel discorso,
nella delicata vivacità, nella scioltezza, nel gesto, nell'anima,
e nella finezza con la quale ella poneva ogni nuova persona
a lei presentata accanto a un compagno di attitudini, di gusti,
di studii."
Questo salotto è per mezzo secolo il salotto milanese
più celebre: è riunione di patrioti, di letterati,
di artisti italiani e stranieri, e di stranieri di passaggio
per la metropoli lombarda. Come lo fu il salotto della Principessa
Belgiojoso a Parigi, il salotto della contessa Maffei a Milano
influenza i destini dell'Italia del Risorgimento, poichè
offre asilo a pensatori, patrioti, letterati e artisti. E' nei
salotti infatti che nell'Ottocento si fa la politica (basti
pensare all'intuizione di Cavour di inviare in Francia non un
ambasciatore bensì la contessa di Castiglione). Nel salotto
inteso come cenacolo, si dà levatura all'arte e alla
filosofia, e in tal senso può essere parallelo al circolo
letterario; esso è stato sostituito in tempi moderni
a quanto organizzato dalle Università o da altri enti
culturali.
IL SALOTTO MONDANO
Ma è nei salotti meno protocollari che si svolge quella
vita mondana senza la quale non vi sarebbero relazioni (sociali,
politiche, artistiche, e financo finanziarie): all'epoca infatti
non v'è telefono e le lettere sono usate per le lunghe
distanze o per un contatto più intimo. Se è vero
che le notizie generali si apprendono dai giornali, le notizie
della vita sociale, intima, vengono passate da un salotto all'altro,
perchè non v'è altro luogo dove le persone di
ambo i sessi possano parlarsi, salvo forse i foyer dei teatri,
ma in questo caso vi mancherebbero le fanciulle, o le passeggiate
a cavallo in luoghi deputati (come il Bois de Boulogne a Parigi),
ma in questo caso vi mancherebbero le vecchie signore, i vecchi
signori con mal di schiena ... Nei salotti si incontrano tutti,
ma proprio tutti: nei salotti si cerca marito (o moglie), nei
salotti si fanno affari, nei salotti si può rovinare
la reputazione di un uomo o al contrario ricevere un poco di
buono abbastanza furbo da infiltrarsi per una scalata sociale;
nei salotti può capitare di incontrare un'avventuriera
russa o un principe arabo, la miliardaria americana in cerca
di un titolo, il deputato che può aiutare in quella faccenda,
il grande compositore infelice. Si parla dell'ultima novità
artistica, dell'ultima azione politica, dell'ultima raccolta
di versi del celebre autore, ma anche del caso del tizio o del
tale, di cosa ha fatto di male ancora quello scapestrato del
cadetto del conte X, oppure con chi si è fidanzata la
signorina di Y. E' in realtà questo il genere di salotto
che incontriamo ben più spesso nei romanzi della Biblioteca
delle Signorine, romanzi che per la gran parte sono pensati
e scritti nella Francia della Belle Epoque, che fece
della vita mondana il fulcro dell'esistenza.
Ma come si tiene un salotto? La signora di ... stabilisce innanzi
tutto qual è il suo giorno di visita: in quel giorno
ella starà sempre in salotto, ben servita dai suoi camerieri,
a ricevere con ogni sorta di rinfreschi e attrazioni tutti coloro
che passano a pagarle visita. Le regole sono ferree: gli uomini
soli non possono trattenersi più di mezz'ora, ma possono
ritornare per una seconda visita in un altro momento. Le coppie
possono trattenersi un po' più a lungo, ma non eccedendo
l'ora. Se il salotto della signora è molto affollato
e la visita pagata è solo di dovere, o si va di fretta,
si può lasciare il proprio biglietto di visita sul vassoio
d'argento che l'impeccabile maggiordomo presenterà all'ospite,
all'ingresso: al termine della serata, la padrona di casa verificherà
il nome di colui che è passato ma non si è trattenuto.
Se la signora ha previsto una rappresentazione musicale, si
sa che questa avverrà tra le cinque e le sei del pomeriggio:
in tal caso per gli ospiti è stato previsto un parterre
con poltrone e seggiole e buona creanza è di rimanere
sino al termine della rappresentazione; vero è che le
performances possono essere più d'una e negli intervalli
è consentito lo scambio degli ospiti. La signora ha normalmente
degli ospiti a cena, e si sa che questi hanno ricevuto un biglietto
apposito, e i visitatori casuali della giornata sanno di doversene
andare comunque verso le otto. La signora non sa esattamente
quali e quante persone le pagheranno visita: è il suo
status mondano che lo decreta. Il salotto della piccola provinciale
potrà forse vedere tre o quattro persone, ma il salotto
della gran dama parigina (milanese, romana ...) sarà
affollatissimo. Per fortuna che la gran dama dispone di parecchie
stanze adibite al ricevimento, e nella bella stagione anche
dei giardini.
Oltre al "giorno di visita", la signora di ... è
tenuta ad organizzare pranzi e ricevimenti, e più il
suo stato sociale è alto, più numerosi e ricercati
saranno i suoi inviti. Dato che la signora tiene un palco fisso
a teatro, è facile che organizzi un semplice pranzo prima
di recarvisi, ma almeno una volta ogni quindici giorni organizzarà
un vero e proprio ricevimento. La serata inizia con un pranzo,
al quale partecipano diverse persone, dove a fare gli onori
della tavola è la padrona di casa, mentre il padrone
di casa fa gli onori del salotto da fumo. La serata prosegue
con l'arrivo di altri invitati per un trattenimento musicale
in salotto; sta alla padrona di casa selezionare l'artista -
può essere una cantante dell'Opéra, un
valente violinista, o altro. A seguire, una conferenza tenuta
da un esponente dell'Académie Française,
oppure da un filofoso, o da chiunque sia dotato di spirito brillante,
cultura e prestanza. Entrambi gli intrattenimenti devono essere
brevi e, ça va sans dire, piacevoli.
LA CONTESSA CLARA MAFFEI
Elena
Chiara Maria Antonia Carrara-Spinelli nacque a Bergamo il 13
marzo 1814 dal conte Giovanni Battista e Ottavia Gambara. Il
padre insegnava belle lettere in case patrizie come i Litta
Visconti ed è autore di odi e poesie e tragedie per il
teatro - oggi dimenticato. Egli si fece riconfermare il titolo
dal governo austriaco, come la gran parte dei patrizi del lombardo-veneto.
La bimba venne chiamata Chiarina in omaggio alla poetessa Chiara
Trinali, e con questo diminutivo venne sempre chiamata da tutti
(Chiarina o Clarina). Compì i suoi studi nel collegio
degli Angeli di Verona, e dopo la precoce morte della madre
fu messa nell'istituto di Madame Garnier a Milano. Dall'istituto
passò direttamente all'altare, con un marito scelto dal
padre: Andrea Maffei, bel giovane di oltre trent'anni, poeta
allora in voga. Clara acconsentì e appena diciottenne
il 10 marzo 1832 divenne la signora Maffei, titolo che non portò
mai, conservando quello paterno: contessa Maffei fu sempre chiamata
da tutti. Si stabilirono in via del Monte di Pietà in
una bella casa stile Impero, dove nacque una bimba che fu chiamata
Ottavia come la nonna materna, ma che non arrivò a compiere
l'anno. Un velo di tristezza da quel momento offuscò
per sempre gli occhi di Clara Maffei. Il marito per distrarla
iniziò a portarle in casa degli ospiti: poeti e letterati
in voga, artisti, e in questo è aiutato dal padre di
lei: inizia così lentamente a formarsi quel salotto così
ben frequentato e che doveva divenire così celebre. Tommaso
Grossi è uno dei primi amici e fondatori del salotto
Maffei, e appunto al 1834, anno della pubblicazione del Marco
Visconti, Raffaello Barbiera fa risalire la nascita
ufficiale del salotto. Anche D'Azeglio lo frequenta, Francesco
Hayez, Giulio Carcano. Nel febbraio del 1837 Balzac venne a
Milano e fu accolto sia in casa Manzoni sia in casa Maffei.
Alla contessa dedicò nel 1842 il racconto La fausse
Maitresse, inserito nel ciclo delle Scènes
de la vie privée.
Nel 1838 giunsero a Milano Liszt e la contessa d'Agoult, che
ebbero accesso al salotto Maffei ma furono rifiutati da altri:
Marie d'Agoult era incinta e si vedeva, e ciò offendeva
la morale. Liszt sonò nel salotto Maffei diverse volte,
e con lui il suo allievo prediletto, Hermann Cohen. Anche il
pianista Sigismondo Thalberg, all'epoca famosissimo, sonò
nel salotto di Clara Maffei.
Non mancavano personaggi ben noti dell'epoca, come l'eccentrica
contessa Giulia Samoyloff, o Giuditta Turina che fu amante di
Vincenzo Bellini. Anche Rosa Poldi Pezzoli, figlia del marchese
Giangiacomo Trivulzio e della marchesa Beatrice Serbelloni,
teneva un famoso salotto mondano e letterario, ma il suo nome
rimarrà per sempre legato a quella straordinaria raccolta
d'opere d'arte che oggi orna il museo che porta il suo nome.
Il 9 marzo 1842 fu dato il Nabucco alla Scala, che rivelava
un nuovo genio; in tale occasione la contessa Maffei conobbe
Giuseppe Verdi, che le sarà amico fidato sino all'ultimo
giorno. Anche nella villa di Clusone, nel bergamasco, dove Clara
Maffei trascorreva l'estate, Verdi e Carcano frequentavano il
salotto estivo della contessa, assai più intimo. Nel
1847 si giunse perfino ad una collaborazione tra gli amici,
Carcano pubblicando la propria traduzione del Macbeth
shakespeariano, Verdi concludendo il suo Macbeth (che
fu dato a Firenze), e Andrea Maffei collaborando con Piave per
il libretto verdiano.
Molti i poeti e letterati frequentatori del salotto Maffei:
Giovanni Prati, Giovanni Torti, il Berchet, Giuseppe Arconati-Visconti,
Giovanni Battista Niccolini, Giambattista Bazzoni, il matematico
Francesco Brioschi, fondatore del Politecnico, Giuseppe Giusti.
Questi arrivò a Milano nell'estate del 1845, e venne
ospitato in casa Manzoni per un mese e accolto come un amico
anche dall'immancabile Grossi. Il Giusti aveva una fobia: quella
di morire idrofobo, essendo stato morso da un gatto anni addietro,
a Firenze, e tale paura lo rendeva triste, nonostante cercassero
di divagarlo gli amici, tra i quali la marchesa Luisa d'Azeglio,
la marchesa Carolina Litta Modignani, i marchesi Arconati, i
Serbelloni, i Trotti.
Il salotto Maffei inizialmente è puramente artistico
letterario e mondano, ma dopo le Cinque Giornate divenne anche
politico, e fortemente: la contessa Clara si fece convinta mazziniana.
Frquentavano il salotto Luciano Manara, Enrico Cernuschi, Carlo
Tenca. Quest'ultimo suscitò un grande affetto in Clara
Maffei, e per una decina d'anni regnò da signore nel
celebre salotto. Il matrimonio tra Andrea e Clara era ben presto
passato ad una cortese convivenza, e lei, pur semplice e casta,
aveva suscitato varie volte l'ammirazione, se non la passione,
in coloro che la frequentavano senza esserne toccata, ma Tenco
fu l'unico uomo che le ispirò un vero sentimento; le
cose rimasero sempre improntate alla correttezza più
assoluta (secondo Raffaello Barbiera), ma Andrea Maffei sapeva
che l'affetto di Clara era andato tutto a quell'uomo. Uomo d'ingegno
e patriota: fu lui a fondare e dirigere per oltre un decennio
quel foglio di gloriosa resistenza allo straniero, Il Crepuscolo,
settimanale di letteratura, scienza, arte, industria, dove veniva
trasmesso il credo mazziniano ma senza mai parlare dell'Austria
direttamente, bensì con velate allusioni perfettamente
comprese dai milanesi. Il Crepuscolo uscì con
il primo numero il 6 gennaio 1850, una domenica, e cessò
le pubblicazioni solo dopo la liberazione della Lombardia. Uno
dei motivi di allontanamento di Clara dal marito fu anche il
fatto che egli non si volle mai porre contro l'establishment
governativo. Però giocava anche, e il 16 giugno 1846
i coniugi Maffei firmarono la separazione con atto notarile
steso da Tommaso Grossi, il quale salvaguardò la dignità
di entrambi facendo passare per necessità di salute la
scelta di lei di stabilirsi nella villa di Clusone (che aveva
ereditato dalla madre) "per non voler aggravarlo del maggior
dispendio che importerà l'andamento di due case separate"
e facendo così cessare la convivenza coniugale.
La separazione dei coniugi Maffei portò come conseguenza
la divisione del salotto: lo smagliante periodo letterario e
artistico si concluse, Andrea Maffei avendo condotto con sé
i propri amici. Clara Maffei, che dal 1842 abitava in un appartamento
di palazzo Belgiojoso, a due passi dalla casa del Manzoni al
quale faceva visita immancabilmente ogni domenica dopo la messa
(*), si trasferì in via del Giardino n° 46 (oggi
via Alessandro Manzoni) e dopo il 1850 in via Bigli n° 21,
dove morì. Qui il salotto di Clara Maffei assunse le
proporzioni di cenacolo politico. E' al principio del 1848 che
i milanesi iniziarono le ostilità verso gli Austriaci
e si ebbero le prime scaramucce. Clara Maffei ed altre dame
della buona società come la marchesa Bentivoglio e la
contessa Giustinian iniziarono a raccogliere offerte per i comitati
anti straniero. Le misure militari austriache infuocarono gli
animi finchè la morte del liberale filosofo Carlo Ravizza,
di cui fu vietato il corteo funebre e trafugata la salma da
parte della polizia, fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Si ebbero così le rivolte e le Cinque Giornate di barricate,
durante le quali palazzo Trivulzio venne trasformato in ospedale
e tutte le signore della buona società in infermiere.
Il 22 marzo 1848 gli Austriaci fuggirono e gli insorti presero
il Castello, dove con orrore scoprirono centinaia di cadaveri.
I frequentatori del salotto Maffei cambiarono: il conte cesare
Giulini Della Porta, il marchese Anselmo Guerrieri-Gonzaga,
Cesare Correnti, il medico Agostino Bertani. Nel 1848 si incontrarono
dopo anni le due figure femminili risorgimentali per eccellenza:
la principessa Cristina Belgiojoso e Clara Maffei. La principessa
rientrò a Milano dal volontario esilio parigino all'indomani
delle Cinque Giornate a capo d'un battaglione di volontari napoletani,
armati a sue spese. Caduta Milano, essa andò a Roma dove
diresse un ospedale per i feriti di guerra, e da Roma andò
in Asia Minore con la figlia Maria. Nell'agosto dello stesso
anno rientrarono gli Austriaci a Milano e per un anno non vi
furono che rappresaglie e poveri giustiziati. Radetzky stesso
prese residenza a Villa Reale e cominciò a tassare i
ricchi milanesi mentre i soldati tartassavano i poveretti.
Clara Maffei, insieme con Carlo Tenca e la madre di lui, riparò
a Locarno dove incontrò Giuseppe Mazzini, ma il "grand'uomo"
non capì la donna e non volle farsi capire. E' un fatto
che Clara Maffei, col tempo, perse fiducia in Mazzini e rivolse
le sue speranze verso il suo rivale, Camillo Benso conte di
Cavour.
Dopo il 1849 i frequentatori del salotto Maffei sono tutti patrioti
e cospiratori. Oltre a Tenca, v'erano i fratelli Visconti-Venosta,
Tullo Massarani, Antonio Allievi, Giuseppe Finzi, Giuseppe Zanardelli
e Gabriele Rosa, reduce dallo Spielberg, Carlo Cattaneo, Carlo
De Cristoforis, il giovane Emilio Visconti-Venosta e tanti altri.
Egualmente patriottico e famoso era l'altro salotto milanese,
quello di casa d'Adda. Dopo l'interruzione per i moti, il salotto
di via Bigli riaprì i battenti nel 1850. Non v'erano
solo uomini, si capisce: alcune delle più note e belle
donne della Milano aristocratica che frequentavano i circoli
andavano anche da Clara Maffei. Tra queste, donna Saulina Viola
Barbavara, Fanny Bonacini-Spini (poi moglie dell'Allievi), le
signore Bianconi-Robecchi, tre sorelle bellissime, una delle
quali adorata dal duca Antonio Litta. Il salotto Maffei era
aperto tutti i pomeriggi fra le tre e le sei e tutte le sere
dopo cena sino alla mezzanotte. Mancava Giuseppe Verdi, ritirato
a Sant'Agata, con il quale Clara Maffei intrattenne lungo e
affettuoso carteggio.
Gli amici di Clara Maffei eran tutti collaboratori del Crepuscolo,
o del satirico L'uomo di pietra, e il salotto somigliava
molto ai comitati mazziniani detti "Pensiero e azione"
che si venivano formando nel Lombardo-Veneto. Tuttavia Mazzini
assunse sempre più il ruolo dell'agitatore, che propone
rivolte ma non è più affidabile, soprattutto dopo
la salita al potere di Napoleone III in Francia. Gli intellettuali
allora guardarono al Cavour, ministro di un libero stato alleato
della Francia, alla quale guardavano anche i veneziani. Casa
Savoia viene acclamata, purchè faccia l'Italia. Tra il
1853 e il 1854 nuove restrizioni e rappresaglie da parte del
governo austriaco, nonché fucilazioni e incarcerazioni
di patrioti, portarono ad un clima di terrore; non furono risparmiate
le perquisizioni persino nelle case patrizie dei salotti: non
fu tuttavia perquisita l'abitazione di Clara Maffei. Nel 1854
la guerra di Crimea distrasse un poco gli animi, e finalmente
nel 1857 l'Austria concesse l'amnistia generale. Nel 1858 morì
l'odiato Radetzky e Milano venne governata da Massimiliano d'Asbugro,
fratello dell'Imperatore, con magnanimità e buon senso,
ma i milanesi tennero duro. Quando Francesco Giuseppe venne
in visita a Milano, Carlo Tenca fu pregato di annunciarne l'arrivo
sul Crepuscolo, ma egli rifiutò.
Nel 1859 gli avvenimenti precipitarono. Garibaldi conferiva
con Cavour, e nel frattempo i giovani milanesi espatriavano
in Piemonte per prepararsi alla guerra, e Clara Maffei, come
molti altri, raccoglieva denari per equipaggiare i meno abbienti.
In febbraio partì da Milano Massimiliano d'Asburgo, e
Cavour riuscì a persuadere Napoleone III a calare il
proprio esercito in Italia quando l'Austria dichiarasse guerra
al Piemonte, cosa che puntualmente avvenne in aprile. Garibaldi
si mise alla testa di una legione di volontari, i famosi Cacciatori
delle Alpi. Iniziarono così le battaglie per la liberazione,
sulle quali non ci dilungheremo, essendo questo il racconto
della vita di Clara Maffei e non quello del Risorgimento, anche
se l'uno fu incastonato nell'altro.
Nel celebre salotto comparvero i garibaldini, non ancora vestiti
di giubbe rosse. Fra costoro, spiccava un giovane altro e bruno:
Ippolito Nievo, il quale tra una battaglia e l'altra non cessava
di scrivere. Ma come un fulmine a ciel sereno fu firmata la
pace di Villafranca: i francesi furono esecrati e le signore
portavano al collo una fila di perle dette "lacrime di
Venezia"; i milanesi si dichiararono fratelli dei veneziani.
Nel salotto della contessa Maffei era appeso un quadro di Franceso
Hayez, "La veneziana Valenzia Gradenigo davanti agli inquisitori
di Stato" che rappresentava agli occhi di Clara Maffei
la triste condizione della città (che venne liberata
solo nel 1866).
La sera del 31 dicembre 1859 vi fu un mermorabile ricevimento
nel celebre salotto, dove si festeggiava l'arrivo del "primo
anno della redenzione italiana"; la poetessa teramana Giannina
Milli, sempre accompagnata dalla madre, improvvisò come
suo costume un sonetto sulla libertà. Qualche giorno
dopo Clara Maffei l'accompagnò a far visitia a Manzoni,
il quale ne apprezzò le doti di improvvisatrice, commentando
"E pensà che mi, per fa' ona strofa sola, ghe
metti tre giornad, e poeu sont amalaa!"
Camillo Cavour, primo ministro del Regno, visitò Milano,
e così fece Vittorio Emanuele II. Balli, feste, ricevimenti
e rappresentazioni teatrali non si contavano. Le dame della
migliore società gareggiavano in bellezza e amabilità,
e il primo sindaco di Milano, il conte Antonio Beretta, offriva
feste sontuose. Cavour aveva conquistato i milanesi, che se
lo disputavano; quando andava a Milano, alloggiava a palazzo
Antona-Traversi, in via del Giardino. Il salotto Maffei aveva
rivisto vecchi amici come Massimo d'Azeglio, inviato da Cavour
come governatore, oppure ne vedeva di nuovi, come gli ufficiali
piemontesi o il veneziano Luigi Luzzatti, che diventerà
presidente dei ministri; i poeti Emilio Praga, Franco Faccio
ed Aleardo Aleardi (il cui vero nome di battesimo era Gaetano),
Emilio Broglio, i fratelli Camillo e Arrigo Boito. Quest'ultimo
conobbe Verdi a Parigi, munito di un biglietto di presentazione
fornitogli dalla contessa Maffei. Che nel 1864, compiendo i
cinquant'anni, diede un magnifico ricevimento e venne omaggiata
da una poesia di Praga musicata da Faccio, intitolata La
Cinquantina.
Nel 1866 di nuovo vi furono i combattimenti per la liberazione
di Venezia, funestati dalle disfatte di Custoza e di Lissa,
ma infine le truppe italiane entrarono a piazza San Marco; due
anni dopo furono rimpatriate le spoglie di Daniele Manin. Tutte
queste vicende furono seguite con il consueto ardore patriottico
dal salotto Maffei. Carlo Tenca, all'epoca eletto deputato e
dimorante a tempi alterni a Firenze per seguire i lavori della
Camera, invitò Clara Maffei a ricevere Eugenio Legouvé
ed Enrico Martin, i quali avevano accompagnato la bara di Manin
da Parigi a Venezia. Infine arrivò l'occupazione di Roma
e l'unificazione di'Italia; Carlo Tenca si trasferì a
Roma, la nuova capitale. L'amicizia amorosa tra lui e Clara
Maffei si cangiò in un sentimento d'affetto fraterno;
lunghe lettere tra i due sopperivano agli incontri del passato.
Clara e il marito non si videro per diciotto anni di seguito.
Si incontrarono solo il 29 novembre 1868, in casa di donna Laura
d'Adda, poi moglie di Giovanni Visconti-Venosta. Sorpresi ambedue
da un incontro imprevisto, accadde che Andrea Maffei, al quale
si era indebolita alquanto la vista, non riconoscesse la moglie;
superata l'impasse, i due conversarono amabilmente e,
commentando un sonetto del Manzoni che Clara aveva in mano,
passarono a darsi del tu. Clara Maffei raccontò minutamente
il fatto nelle lettere a Tenca, dicendo anche di aver cancellato
dall'anima ogni vecchio rancore. L'anno seguente il cavalier
Maffei si ammalò di antrace mentre era a Firenze; saputolo,
Clara accorse al suo capezzale. Dimorò in albergo per
un certo tempo, profittandone per visitare Firenze, e venne
ricevuta nei migliori salotti; a sua volta aveva ricreato nel
suo albergo un piccolo salotto. Si parlò molto della
riconciliazione tra i coniugi Maffei, ma questa non avvenne
mai, anche se Andrea Maffei prese a recarsi saltuariamente nel
salotto di sua moglie, e le faceva privatamente visita assai
spesso. Nel 1870 pubblicò una traduzione del Childe
Harold di Byron con l'editore Felice Le Monnier, dedicata
a Clara Maffei Carrara-Spinelli.
Negli Anni Settanta comparvero nuovi nomi nel salotto Maffei:
il giovane esordiente Giovanni Verga, la contessa friulana Caterina
Percoto, e una giovane sposa felice: Evelina Mancini Cattermole.
Nel 1875 il fatale duello tra il marito e l'amante fece scalpore,
ed Evelina, mai più ricevuta in un salotto, si rifugiò
a Roma. Qui, con lo pseudonimo di Contessa
Lara, esordì con un volume di versi dove non
risparmia i dardi contro le signore che la snobbano. Riportiamo
il sonetto "L'angelo della famiglia" che ben dipinge
certe dame salottiere.
Nel salotto Maffei si faceva naturalmente molta musica: Antonio
Bazzini e il suo allievo Alfredo Catalani, il pianista Adolfo
Fumagalli, e celebri cantanti come Teresa Stolz. Ogni estate
prima di partire per la villa di Clusone, dove veniva immancabilmente
raggiunta da Tenca, Clara Maffei offriva ai suoi ospiti un ricevimento
musicale, così com'era tradizione quello del 31 dicembre
di ogni anno.
Infine arrivò anche la vecchiaia e con questa la stanchezza,
e con questa il salotto andò pian piano spegnendosi.
Il 4 settembre 1883 morì Carlo Tenca dopo una malattia
che vide Clara Maffei recarsi tutti i giorni al suo capezzale,
in via Andegari n° 12, dove da sempre egli viveva solo con
una domestica; il 27 novembre 1885 morì anche Andrea
Maffei di un colpo apoplettico. Nel 1886 Clara Maffei venne
colpita da una meningite che la costrinse a letto, dove morì
il 13 luglio. Al capezzale era accorso anche Giuseppe Verdi,
l'amico fedele di tutta una vita, ma forse Clara non lo seppe.
Un giovane scultore, Ettore Strauss, prese la maschera del volto.
Nel testamento, Clara Maffei si ricordò dei poveri di
Clusone, ma il suo erede fu il nipote Cesare Olmo. Ella lasciò
scritta l'epigrafe per la sua tomba, che recitava: "Implorate
misericordia e pace all'anima di Clara Carrara-Spinelli Maffei",
ma gli amici vollero erigere una stele sulla quale furono incise
lunghe epigrafi di Ruggero Bonghi.
(*) Leggiamo in Raffaello Barbiera che ogni domenica
dopo la messa la contessa Maffei visitava Alessandro Manzoni
nella sua casa in via del Morone n° 1, e conversava a lungo
con lui. Il poeta la riceveva nella sua stanza di studio al
pianterreno, e d'inverno la faceva sedere al caminetto, del
quale attizzava di continuo il fuoco, lunsingato di spiegarvi
un'arte speciale che lo rendeva più contento che dei
suoi scritti. Nella buona stagione accoglieva la contessa in
giardino, dove passeggiava e fumava. Clara Maffei venerava Manzoni,
e lo chiamava "il nostro grande santo uomo". Ne riportava
i detti più preziosi in un suo libro di memorie. Un aneddoto
curioso: un giorno la contessa ricevette in dono un bellissimo
mazzo di fiori e lo manda subito a Manzoni; questi li rimanda
alla nuora, Giovanna Visconti moglie di Pietro, la quale entusiasta
pensa di farne omaggio gradito ... alla contessa Maffei.
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Il salotto della Contessa Maffei nella sua abitazione
in via Bigli (Milano).
La descrizione che ne fa Raffaello Barbiera è quella
di due comode stanze, addobbate con velluti oscuri,
specchi veneziani, quadri ad olio di Hayez, incisioni di Calamatta,
ritratti d'amici alle pareti; trine finissime sulle poltrone
e sui divani, e vasi e vasi ricolmi di fiori;
preziosi gingilli sulle mensole e candelabri sul pianoforte.
Photo source: Archivio Biblioteca Braidense, Milano
La
villa di Clusone veduta dal giardino sul retro
Photo source: Archivio Brandolini-Morgagni
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www.letteraturadimenticata.it
- dicembre 2010
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L'ITALIANA IN ALGERI
In Passioni del Risorgimento Raffaello Barbiera
racconta minutamente l'avventura tragico-romantica
di una signora del bel mondo milanese, riportata dalla Principessa
di Belgiojoso, alla quale si fa collegare la nota opera
rossiniana.
Antonietta Frapolli Suini - sorella della signora
Frapolli Ruga la quale, maritata ad un ottimo uomo, Carlo
Ruga, divenne l'amica del principe Belgiojoso, poi di Vincenzo
Toffetti, un nobile veneziano - nel 1805 fu protagonista
di un'avventura: fu rapita da corsari algerini mentre faceva
una crociera nel Tirreno: come d'uso, le belle donne trovate
a bordo delle navi assalite dai corsari venivano portate
al Sultano, che riteneva per sé quelle che gli aggradavano
e rimandava ai corsari le altre, che le vendevano come schiave
al miglior offerente. I mori avevano schiavi e schiave europee
nelle loro case e il traffico delle schiave bianche per
gli harem dei ricchi era intenso e il loro prezzo saliva
a cifre esorbitanti a seconda della bellezza. Sin dal secolo
XV avvenivano razzie sui mari a questo scopo e numerose
sono le storie di questo tipo avvenute nel corso del tempo.
I corsari erano desiderosissimi di catturare merce scelta
e ambita come
le dame europee, così come le more ed altre
orientali erano ricercate dalla Venezia repubblicana.
La bella milanese dunque, giunta ad Algeri, fu presentata
al Bey (che governava in nome del sultano d'Algeria) che
se ne innamorò perdutamente. Pochi anni dopo gli
algerini venivano battuti dai Francesi: può essere
che in questo frangente da dama trovasse il modo di venire
rimpatriata, in ogni caso non
si seppe mai precisamente come abbia potuto lasciare Algeri,
ma pare che sia ritornata libera senza riscatto, a
bordo di un vascello veneziano.
La sua storia viene raccontata, senza far nomi, in La
vita intima e la vita nomade in Oriente della Principessa
di Belgiojoso e rievocata in seguito da Raffaello Barbiera
che della vita e delle opere della principessa si era molto
occupato. Due furono le donne milanesi rapite in
quell'incontro, non una sola: l'altra, Olimpia Audouard,
riusciva anch'essa in seguito a rendersi libera. Olimpia
Audouard, nata Felicité Olympe de Jouval, passò qualche
tempo in un serraglio al Cairo, ma non vi lasciò la vita.
Scrisse dei suoi viaggi in Les mystères du Sérail
et des harems Turcs (1863) e Les mystères
de l'Egypte Dévoilés (1864); morì a Nizza nel 1890.
La sera dei 9 agosto 1815 alla Scala ci fu la prima rappresentazione
milanese de L'Italiana in Algeri di Gioachino
Rossini (1792-1868) la cui prima era stata data a Venezia
al Teatro San Benedetto 22 maggio 1813. Il librettista,
Angelo Anelli (1761-1820), aveva tratto l'argomento
dalle avventure della bella milanese rapita in Oriente.
Quando all'avventurosa dama milanese si rammentava il soggiorno
in Algeri essa rispondeva soltanto con un sorriso, facendo
intendere che non le fosse ignota l'arte che Isabella nell'Italiana
in Algeri bene esprimeva: "Già so per pratica
qual sia l'effetto d'un guardo languido d'un sorrisetto....
so a domar uomini come si fa". Antonietta Frapolli
seppe dominare l'harem del Bey, confermando fin d'allora
quello che l'Anelli più tardi scriveva nel libretto dell'opera:
"Le femmine d'Italia son disinvolte e scaltre e
sanno più dell'altre, l'arte di farsi amar". E
Gioacchino Rossini, grande spirito di umorista, non lasciò
sfuggire tale primizia per un'opera che doveva ottenere
un grande successo in seguito. Nella famiglia di lei non
si amava di ricordare l'avventura, che in gran parte a molti
rimase sconosciuta. Ma certo nell'harem algerino non aveva
incontrato troppi dolori. Essa fu veramente avvenente e
formosa: a cinquant'anni, appena ne dimostrava una trentina.
La storia è documentata non solo dalla Principessa
Belgiojoso (che forse aveva dei motivi per non risparmiare
la Frapolli), ma anche nelle memorie inedite del vice-presidente
del Governo di Lombardia, don Giovanni Bazzetta, morto a
Milano nel 1827, dopo aver partecipato alla Reggenza del
1814 e ad alti uffici di governo. Si legge: "Nell'anno
1805 avvenne da parte delle bande algerine scorritrici del
mare, il rapimento di Antonietta Frapolli di questa città
di Milano, mentre in un veliero con altri viaggiatori passava
sul mare Mediterraneo fra Sicilia e Sardegna e fu tratta
con quelli alla corte di quel pascià, in Algeri, dove di
essa si invaghì quello che in Algeri aveva comando.
Come la notizia della sua prigionia fu pervenuta, dopo più
di tre anni, in Milano e nati da ciò molti parlari in tutta
la città, di sua liberazione si prese interesse questo Governo
non potendosi compatire che ancora da corsari levantini
si potessero rapire persone di qualità, ma non fu possibile
venire a capo di liberarla. Solo dopo qualche tempo essa
fece ritorno in questa città di Milano, nè mai si seppe
precisamente per quali vicende uscisse di schiavitù, restandosi
tutti in dispetto che quei corsari per la loro insolenza
non potessero essere penduti ad altissime forche a salutare
spettacolo dei lidi tutti d'Africa e di Soria".
Delle
sue avventure è rimasta, coll'opera rossiniana, la grande
verità contenuta nella cabaletta finale: "La bella
italiana venuta in Algeri, insegna agli amanti gelosi ed
alteri, che a tutti, se vuole, la donna la fà". |
Andrea
Maffei, poeta e traduttore
(1798 - 1885)
|
Carlo
Tenca, letterato e deputato (1816 - 1883)
|
Giuseppe
Mazzini (1805-1872)
in una incisione
di Luigi Calamatta
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Camilla
Benso conte di Cavour
(1810-1861)
in una fotografia del 1859
|
"Venezia
desolata
abbraccia Milano liberata"
quadro di Antonio Zona esposto a Brera nel 1860
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LA
CINQUANTINA
Siam venuti, donna Clara,
Per veder la Cinquantina,
Quella dama tanto rara
Che le giunse stamattina;
Ma dov'è? non è arrivata?
O è nascosta in mezzo ai fior?...
Ah, burlata - è la brigata:
Quella dama è lunge ancor!
Venne, infatti, stamattina,
Ma fermossi un sol momento;
All'ignota pellegrina
Non garbò l'appartamento.
E in uscir, dicea sdegnata:
Troppi vezzi!... Troppi fior!...
Ah, burlata - è la brigata:
Quella donna è lunge ancor!
|
L'ANGELO
DELLA FAMIGLIA
E' giornata di visite: ella ha corso / più di quattr'ore
per salotti e sale, / Spigliata, allegra; e tra un sorriso
e un sorso / di té, del mondo intero ha detto male.
Caro soggetto d'ogni suo discorso / Un'onta, un tradimento
coniugale, / Un lucro infame; ogni parola un morso; /
Ogni si dice un perfido pugnale.
Or dietro le calunnie, ira, disprezzo, / E chi lo sa?
forse un delitto; ed ella / Torna serena a la famiglia
in mezzo;
Canticchiando si spoglia; indi, la sera / Di pie congreghe,
di virtù favella, / Mentre insegna a' suoi bimbi
una preghiera.
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La
tomba di Clara Maffei
al Cimitero Monumentale di Milano,
scolpita da S. Pisani
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Nel
1895 uscì il volume di Raffaello Barbiera Il salotto
della contessa Maffei, che abbiamo riassunto in questa
pagina. La poetessa Elisa Tagliapietra Cambon, dopo averlo letto,
pubblicò su L'Illustrazione Italiana questa ode
in versi, che il libro le aveva ispirato:
A
CLARA MAFFEI
Cinque lustri passarono in brev'ora / a te daccanto, nel
tuo dolce ostello; / ed il tempo lontano che scolora / rivissi
teco e ne sentii l'appello.
Vissi con quel che a te furo diletti / e che un dì
nella vita anch'io cercai; / divisi teco i più sereni
affetti, / teco, donna gentil, piansi ed amai.
Oh, da sì lungo tempo io ti conosco / che in ogni
piega del tuo core io vedo / e in quel cor, ove nulla erra
di fosco / come nel guardo tuo, fidente io credo!
Tu sei simile a un fiorellin di serra / delicato e gentil
che ogni aura spezza, / ma in te l'amore della patria terra
/ crebbe gigante ed ebbe una fortezza.
E nella lotta lunga e faticosa / l'amò sicura l'esile
persona / con l'occhio attento, colla man pietosa, / con
l'anima che freme e che perdona.
E lo sguardo soave e la parola / benefica passar sul cor
dei mesti / come uno spiro che il dolore invola, / come
una face che nell'alma resti.
Eri calma e serena, e pur turbasti / più d'un'alma
viril robusta e sana; / eri mite, eri pia, ma pure amasti
/ spezzando ardita ogni barriera umana.
E la fierezza del tuo nobil core / impose al mondo che guardò
stupito / il tuo fervido amor senza rossore / sicura all'ombra
dell'onore avito.
Oh! te felice che passasti eletta, / tra eletta schiera,
nell'umana folla / ed a quei sommi fortemente stretta /
giungesti là dove ogni cosa crolla.
Ma del cammino tuo l'orma leggera / rimase impressa sul
terren fecondo, / e nuovo olezzo come a primavera / dan
oggi i fiori che lasciasti al mondo. |
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