La
meteora di Felice Le Monnier,
editore risorgimentale (1806 - 1884)
Felice
Le Monnier nasce in Francia, a Verdun - dove il padre è
di stanza - il 1° dicembre 1806 da Jean Le Monnier e Jeanne
Michaud, figlia di un orologiaio. La famiglia Le Monnier è
antica, vocata per tradizione al mestiere del rilegatore e lavora
anche per la corte. Tuttavia il padre è militare di carriera
a tale vedrebbe volentieri il figlio, tanto che lo iscrive alla
scuola di Saint-Cyr e poi al collegio militare Enrico IV di Parigi,
ma da quest'ultimo il giovane Felix fugge e dal padre viene avviato
ad una professione qualunque ad uso di castigo. Tale professione,
casualmente, fu quella del tipografo: il padre infatti lo consegna
ad un amico di famiglia che dirigeva una stamperia a Parigi, della
quale diviene proto. La rivoluzione del luglio 1830 lo spinge
a lasciare la Francia diretto verso la Grecia, all'epoca rivestita
di un'aura romantica a cagione delle avventure di Lord Byron,
insieme con il figlio del suo principale. Attendendolo a Firenze,
riceve la notizia della sua morte: e da Firenze non si muove più.
E' munito di due lettere di presentazione: una per Passigli, l'altra
per per Vieusseux (che gli dà solo qualche consiglio),
e da lì ha inizio la sua avventura.
Nel 1831 si
impiega nella tipografia di Passigli e Borghi, ma Passigli viene
estromesso dalla società, e ne fonda una sua, la "Passigli
& Soci", mentre Borghi si trova a capo della "Borghi
e Compagni". Le Monnier ne è il direttore, e il suo
aiuto è il giovane Gaspero Barbèra, piemontese,
che portava con sé gli ammaestramenti di G.B. Bodoni. Dopo
pochi anni, nel 1837, entra come socio e dà il proprio
nome alla ditta, che diviene la società "Felice Le
Monnier & C.", rilevandone nel 1840 tutte le quote. La
sua politica
editoriale è basata sul volume di bel carattere tipografico
ma privo di fregi e ori, curato nella legatura evitando quelle
troppo sontuose, e soprattutto con l'intento di rivolgersi ad
un pubblico più vasto, del medio ceto e delle classi popolari.
Ma è Gaspero Barbèra che imposta le scelte, tiene
i contatti,e viaggia ripetutamente all'estero per visionare e
provvedersi di materiale tipografico all'avanguardia.
Tra il 1849 e 1852 sorgono degli screzi fra Le Monnier e Barbèra,
anche a causa di Niccolò Tommaseo, che da lontano seguiva
passo passo tutti gli accadimenti italiani, e che così
definì i due tipografi fiorentini "Le Monnier non
è che il torchio della stamperia, l'altro il torcoliere".
La piccola stamperia era situata all'angolo fra la piazzetta S.
Barnaba e via de' Maccheroni ed aveva sei torchi a mano e solo
dopo il 1850 si doterà di un torchio a macchina.
Dopo
la partenza di Gaspero Barbèra, Le Monnier si trova nella
necessità di cercare degli aiuti, uno dei quali è
Ulisse Poggi, il pedagogista futuro direttore del collegio Cicognini
di Prato, padre della scrittrice Camilla Del Soldato. Nel 1854 ripubblica
la famosa Bibbia detta "Martini", il Nuovo
Testamento con annotazioni dell'Arcivescovo Ferdinando Martini.
Nel 1857 il romanzo storico a sfondo drammatico sta spopolando e
trova un enorme successo di pubblico (sarà il precursore
del romanzo popolare alla Carolina Invernizio e del feuilleton),
e uno dei titoli più venduti è La monaca di
Monza di Giovanni Rosini, il quale costruisce un intreccio
di pura fantasia
basandosi sui tratti della Gertrude del Manzoni, il quale aveva
costruito la sua storia sulla base delle poche notizie fornite dal
Ripamonti. La
vera storia della monaca di Monza è oggi ovviamente nota.
Nel 1865 Felice Le Monnier cede la proprietà dellazienda
ad una società anonima (Società Successori Le Monnier),
formata da notabili fiorentini e toscani e presieduta da Bettino
Ricasoli. In concomitanza con l'annuncio del trasferimento della
capitale da Torino a Firenze, può anche spuntare un buon
prezzo. Con la cessione della tipografia, Le Monnier resta tuttavia
proprietario delle giacenze di magazzino, poichè si mantiene
editore in proprio. Tuttavia le cose non funzionano, manca in stamperia
qualcuno del mestiere: Le Monnier cede anche il magazzino per poter
aassumere un posto nel Consiglio di Amministrazione, e infine divenire
il direttore della tipografia. Nel 1866 Le Monnier è nominato
Direttore Generale della Società, con pieni poteri sia sulla
parte tecnica sia su quella commerciale. Viene introdotta la figura
del "consultore", con il compito di presentare al CdA
le proposte editoriali suggerite da Le Monnier; tale figura viene
inizialmente impersonata dal De Gubernatis, che lo appoggerà
anche nell'iniziativa della Nuova Antologia. Tuttavia Le
Monnier andava invecchiando, come la sua Biblioteca Nazionale:
il romanzo storico non andava più, e dopo l'unità
d'Italia gli spiriti risorgimentali erano sopiti, e nessuno più
leggeva le pubblicazioni di politiche. Comparivano nuovi nomi sulla
scena letteraria: De Amicis (Novelle, 1872), Giacomo
Zanella (Poesie, 1877), Renato Fucini. L'italianità
della Biblioteca era tramontata, poiché Andrea Maffei
aveva introdotto a forza le traduzioni di Byron, Milton, Hugo, Lamartine,
Shiller e Goethe. Alfine, nel 1879, Le Monnier si dimette da tutte
le cariche e si ritira a vita privata.
Sposa una ricca vedova, Maria Anna Duranti detta "la sora Annina",
che si era innamorata di lui, ma che non fu un modello di virtù,
anzi si faceva prendere dai nervi, ma la coppia non ha figli. Il
fratello Eugenio è il solo compagno della sua solitudine.
Eugenio
Le Monnier aprì a Prato un istituto di istruzione superiore
nel 1847, anno nel quale aveva raggiunto il fratello. Voleva rinnovare
i metodi dell'istruzione morale e intellettuale, e la sua missione
era debellare la superstizione e l'ignoranza tramite l'insegnamento
libero e laico. Nel 1853 l'Istituto fu fatto chiudere dalla polizia
granducale, ma Le Monnier - che aveva capito che si voleva colpire
il tipografo, reo di avre stampato tanti opuscoli politici, non
il professore - fece intervenire il governo francese, e dopo un
anno di negoziati l'Istituto Italiano-Francese riaprì i battenti,
con la precauzione di affiancare al direttore un condirettore gradito
al governo granducale. Dopo
la morte della moglie nel 1878, anche Eugenio muore, nel 1880. In
questa data Felice Le Monnier, rimasto completamente solo, si ritira
nella villa di Bellosguardo, sulle colline fiorentine, dove muore
il 27 giugno 1884.
Isidoro Del Lungo dettò le parole per la lapide apposta nel
1919, nel venticinquesimo della morte, che ancor oggi è visibile
in via San Gallo, al n°33, in quello che fu il palazzo Le Monnier
con annessa libreria: "Felice Le Monnier / francese / amò
l'Italia come sua seconda Patria / e Maestro dell'Arte Tipografica
/ benemeritava della letteratura nazionale / editore animoso e sapiente
/ in servigio del Risorgimento Italiano".
Nel
corso della sua operosissima esistenza si guadagna tre importanti
onorificenze: Cavaliere dei Santi Maurizio e Lazzaro (1860), Cavaliere
della Legion d'Onore francese (1863), Commendatore della Corona
d'Italia; e infine ricopre numerose le cariche pubbliche: Consigliere
della Banca Nazionale d'Italia, Consigliere della Mutua Popolare
di Firenze, membro della Camera di Commercio, Presidente del Comitato
per l'istruzione del sordomuti, Tesoriere dell'associazione di beneficenza
dei francesi residenti a Firenze. Infine, nel 1884, il Comune di
Firenze gli voleva conferire la cittadinanza onoraria, ma Le Monnier
si ammalò: su La Nazione venne pubblicato il bollettino
medico, finchè venne comunicata anche la morte, il 28 giugno.
Imponente il corteo funebre, seguito da una folla numerosa tra la
quale Pietro Barbèra, figlio di Gaspero, Adriano Salani,
Cesare Righini, proto della tipografia Succ. Le Monnier, oltre alle
autorità e ai rappresentanti delle tre maggiori bilbioteche
fiorentine: la Nazionale, la Marucelliana e la Laurenziana.
Il
Risorgimento
Gli editori fiorentini della metà Ottocento furono tutti
dediti alla causa risorgimentale, chi più e chi meno. Anche
Felice Le Monnier aveva abbracciato la causa del Risorgimento, tanto
che il primo volume della Biblioteca Nazionale è costituito
dalle Opere di Giovan Battista Niccolini (1843), del
quale l'Arnaldo
da Brescia
uscirà poi singolarmente al n°4 (al n° 2 è
la Divina Commedia, al n° 3 le Istorie Fiorentine).
La
tragedia-poema poteva destare del problemi, Le Monnier non osò
stamparla nel proprio stabilimento e la fece comporre a Marsiglia
- ma non era il solo a far stampare materiale "pericoloso"
all'estero. Occorsero molte astuzie per introdurre i volumi in Toscana,
e il concorso di personaggi come il Vieusseux, affinchè l'Austria
non protestasse con il governo granducale. Il racconto dell'introduzione
dei volumi si trova nella biografia di Felice Le Monnier che scrisse
il suo amico Aurelio Gotti:
Il Niccolini aveva consegnato da un pezzo il manoscritto
dell'Arnaldo al professor Libri perchè lo facesse
stampare a Parigi, ma non ne aveva più avuto notizia, né
si aspettava di trovare un editore. Le Monnier si fece firmare una
liberatoria dal Niccolini e recuperò il manoscritto, e nel
maggio 1843 si recò a Marsiglia portandosi dietro un bravo
compositore della sua stamperia, tal Serafini, che lasciò
presso la tipografia di Feissat e Demouchy. Nel rientrare si fermò
a Livorno per conoscere di persona Domenico Guerrazzi e offrirsi
some suo editore. L'Arnaldo fu finito di stampare
a fine anno, e tutta intera l'edizione, di 3000 esemplari, fu introdotta
a Livorno facendola passare come carta bianca, la quale pagava il
dazio più che non pagasse quella stampata, onde i gabellieri
non sospettaron nemmeno l'ombra dell'inganno. Ma per avere la dichiarazione
doganale che il libro era venuto stampato da fuori, e togliere il
sospetto di stamperie clandestine, un pacco di quelle copie fu inviata
a Firenze servendosi dell'ufficio della stessa dogana, dichiarando
contenere una tragedia del signor Niccolini. A Firenze c'era un
doganiere che faceva mostra di intendersi di libri, e aperta la
bolletta disse: "Ho capito, si tratta de I due Foscari"
e lasciò passare il pacco col suo bravo bollo. Il giorno
dopo tutti correvano a comprare l'Arnaldo, e i primi
che lo richiesero a Le Monnier furono l'Arcivercovo di Firenze e
Sua Altezza il Granduca, quegli per mezzo di un cameriere, questi
per un impiegato della segreteria. Il libro ovviamente fu proibito,
e perchè proibito fu meglio venduto; se ne cominciò
processo, ma grazie a quel bollo doganale Le Monnier poté
provare che non era stato stampato in Toscana e, salvo qualche sequestro
qua e là, le vendite dettero un buon guadagno. Fu anche scoperto
il nascondiglio di Livorno, ma giusto pochi giorni prima le copie
erano state nascoste in alcune botti di caffé, e a poco a
poco portate a Firenze.
Di
Domenico Guerrazzi, il grande perseguitato toscano,
pubbica L'assedio di Firenze, che fino allora era
circolato anonimamente, pubblicato a Parigi nel 1836 con lo pseudonimo
di Anselmo Gualandi.
Fin dal 1840 Le Monnier è controllato dalla polizia granducale,
sospettato fortemente di azioni sovversive. Di fatto, in quegli
anni Decio Sandron, trapiantato in Sicilia e proprietario di una
libreria ch'era il ritrovo dei liberali e degli intellettuali, colà
smerciava i libri "pericolosi" del Guerrazzi, di Gioberti,
di Mazzini, di D'Azeglio, del Giusti e del Berchet, mandatigli anche
da Le Monnier con lo strattagemma di rivestirli di copertine false.
La
Divina Commedia del
1837, una delle prime pubblicazioni di
Le Monnier quand'era in società con Borghi (ma la
dicitura reca "Felice
Le Monnier e Compagni"). Il busto di Dante è
dell'incisore Viviani.
|
Francesco
Domenico Guerrazzi
|
|
I
giornali
Il
1848 e la Prima Guerra di Indipendenza porta al rallentamento
delle attività, e Le Monnier si dà alle stampe di
opuscoli politici o di cronaca, scritti e letti nell'arco di pochi
giorni, il che lo porta ai giornali. Le Monnier in questo periodo
lavora solo in conto terzi, e poichè era appena stata varata
una legge che limitava la censura preventiva (maggio 1847), le
testate pullulavano. Le Monnier diventa editore e proprietario
de La costituente italiana, che ha tra i collaboratori
Carlo Tenca. Il giornale esprime le idee personali di Le Monnier,
che, indipendentista, unitario e monarchico, vede in Casa Savoia
e nel suo governo il solo modo di unificare l'Italia. E' il solo
giornale sorto col preciso intento di propagandare l'idea dell'unità
nazionale, ma deve cessare le pubblicazioni all'indomani della
vittoria austriaca del 1849. Nella tipografia della piazzetta
S. Barnaba si stampa anche Il conciliatore, e La Patria,
che cambia nome prima in Il Nazionale e successivamente
in Avvenire, per poi cessare del tutto le pubblicazioni
nel 1850.
Altre testate stampate da Le Monnier sono Il Lampione (1860),
giornale satirico diretto da Carlo Lorenzini, che esce tre volte
a settimana e gode di vignette di Adolfo Matarelli; La Gazzetta
del Popolo (1861), quotidiano fondato da Giuseppe Rigutini
e Silvio Pacini, che sostiene l'Italia unita sotto Casa Savoia.
Nel 1866 diventa l'editore di La Nuova Antologia di Scienze,
Lettere ed Arti, rivista che proseguirà per molti anni
le pubblicazioni, con altri editori.
La
violazione del diritto
d'autore
Felice Le Monnier fu anche protagonista di un processo celebre
per la sua lunghezza (19 anni) per aver violato il diritto d'autore,
peraltro all'epoca inesistente in quasi tutti gli Stati della
penisola: pertanto la stampa non autorizzata era divenuta diffusa
abitudine sia nelle tipografie fiorentine (Salani, ad esempio)
sia in quelle napoletane. Le Monnier nel 1845 pubblicò
I promessi sposi nell'edizione di Passigli del 1832,
senza l'autorizzazione di Alessandro Manzoni, che nel frattempo
aveva pubblicato l'edizione definitiva e aveva misconosciuto la
prima, non ancora "risciacquata in Arno". Tuttavia pochi
anni prima, nel 1840, era stata concordata una convenzione internazionale
sulla proprietà delle opere letterarie ed artistiche per
la protezione del diritto d'autore. Nella vertenza, si metteva
in dubbio che la convenzione riportasse alla proprietà
dell'autore le opere precedentemente pubblicate. Le Monnier dunque
era convinto che si potesse ristampare un'opera senza il consenso
dell'autore e pure contro la sua volontà se lo scritto
era già stato pubblicato prima della convenzione; poichè
Passigli aveva già pubblicato I Promessi
Sposi nel 1832, Le Monnier intendeva ripubblicare quella
edizione e non l'ultima rivista dall'autore nel 1840-42. Non ci
dilunghiamo sulla causa, ma diremo solo che i giudici delle tre
sentenze decisero che la convenzione avesse effetto retroattivo.
Nel 1862 Manzoni vinse la causa e chiese i danni. Nella questione
Le Monnier chiese "aiuto" a Giulio Carcano, Andrea Maffei
e Gino Capponi, tutti in amichevoli relazioni con Manzoni, anche
se il vero interessato al risarcimento era Redaelli, che nel frattempo
aveva acquisito i diritti delle opere manzoniane: questi chiedeva
153mila lire, Le Monnier ne offriva 10mila. Finalmente, con la
mediazione del Barbèra, si avvenne all'accordo su 34mila
lire, sborsate da Le Monnier nel 1864.
Un altro caso che si cita, questa volta a torto, come pubblicazione
non autorizzata è quello di
Cesare
Cantù e della sua Margherita Pusterla.
La legazione austriaca di Toscana, che rappresentava l'Imperiale
e Regio Governo di Milano e di Vienna, aveva richiamato le autorità
granducali sulla convenzione al fine di impedire la ristampa e
la diffusione dell'opera del Cantù. Questi aveva scritto
la M. Pusterla nel 1834, mentre era prigioniero
nel carcere austriaco, e Le Monnier aveva ottenuto regolare permesso
di pubblicazione, come
se ne avvisano perfino i lettori, era il governo austriaco
che non gradiva la diffusione dell'opera, una chiara metafora
delle oppressioni austriache. Infatti il Cantù era in buoni
termini con Le Monnier, che pubblica nella Biblioteca Nazionale
la sua Storia dei cento anni, tanto da essergli
perfino colalboratore.
Un caso alla rovescia, invece, è quello della vertenza
con Massimo D'Azeglio, che nel 1861 cedette a Le Monnier la proprietà
dei due romanzi Ettore Fieramosca e Niccolò
dei Lapi, mentre era ancora valida la precedente cessione
fatta ad editori milanesi, che scadeva nel 1862: Le Monnier fece
così ricorso contro l'autore per danni ricevuti, e la vertenza
ebbe termine nel 1864.
Le
collane
Le pubblicazioni
Le Monnier spaziano dai giornali ai testi su commissione, dizionari
e libri scolastici.
L'unica grande collana della casa editrice è la Biblioteca
Nazionale (dal 1843), che ospita classici della storia della
letteratura italiana, nonché gli scritti risorgimentali.
I volumi sono in 16° (più raramente in 18°), con
le copertine rosa. La collana è ristampata tal quale per
tutto il Novecento, con le medesime impostazioni grafiche, ma la
carta della copertina non avrà mai più quel colore
rosa inimitabile.
La Piccola Biblioteca (1854-1862) comprende opere di autori
stranieri o italiani di minore importanza, o comunque le cui opere
non rientrano nei rigidi canoni stabiliti per la Biblioteca Nazionale,
i cui volumi dovevano essere tutti di un certo numero di pagine.
Comprende circa una sessantina di titoli.
C'è anche una collana di classici per le scuole (dal
1856),
e una collana di dizionari, tra i quali il vocabolario della lingua
italiana di Pietro Fanfani (1855).
La
Biblioteca delle Giovanette
e La Biblioteca delle Giovani Italiane
Ma la collana per noi più interessante è quella dedicata
ai ragazzi, anzi, alle ragazze: la Biblioteca delle Giovanette,
modellata su ispirazione della famosa Bibliothèque Rose
Illustrée che il francese Hachette aveva inaugurato già
nel 1862. Tuttavia il "sor Felice" non c'entra: la collana
infatti prende avvio nel 1883, quando egli si era già ritirato
dall'attività. Secondo Ida Baccini, fu Desiderio Chilovi
(che fu anche Bibliotecario alla Nazionale) a suggerire a Niccolino
Nobili, anima della ditta Le Monnier, queste pubblicazioni, di ispirazione
morale. La collana viene pubblicata fino alla vigilia della Prima
Guerra Mondiale, e subito dopo, nel 1920, riprende con veste tipografica
rinnovata e un bel titolo di regime: La Biblioteca delle Giovani
Italiane, che comprende titoli diversi, per ragazze un po' più
grandicelle, e viene pubblicata fino al 1939.
La
Biblioteca delle Giovanette
inizia le pubblicazioni
nell'anno 1883
|
|
|
|
Leopoldo
Guerrieri,
Le due sorelle di Nancy
Biblioteca delle Giovanette, 1887
|
Jean
Webster,
Storia di una ragazza americana
Biblioteca delle Giovani Italiane, 1920
|
©
www.letteraturadimenticata.it,
marzo 2011
|
Felice
Le Monnier
Curiosità: Felix Le Monnier era arrivato dalla Francia munito di
un bel paio di baffoni che all'epoca era segno di idee liberali, sicché
fu costretto a tagliarli per ottenere il permesso di soggiorno permanente.
Ma non tagliò mai il pizzetto a punta che lo caratterizza in tutte
le fotografie.
David
Passigli
Tipografo-editore, figlio di un mercante aretino, inizialmente
associato a Pietro Borghi. Stampa belle edizioni di classici,
molto curate e con illustrazioni di pregio: famosa è la
sua Iliade in sette lingue. Pubblica dal 1833 al
1843 un vocabolario della lingua italiana curato dall'abate Giuseppe
Manuzzi, un dizionario biografico universale, la famosissima Bibbia
Martini. Tra il 1845 e il 1850 è considerato il maggior
editore fiorentino. Muore nel 1857.
|
Gaspero
Barbèra
Gaspero
Barbèra (1818-1880) si impiega nella tipografia di Le Monnier
nel 1841. Barbèra è colui che dà vita alla
Biblioteca Nazionale, e, dopo
aver solidamente impostata l'azienda, nella
tarda primavera del 1854 si mette in proprio, mentre nasce il
primogenito Pietro, che darà continuità alla casa.
Con l'aiuto finanziario del marchese Gualterio, Barbèra
entra in società con i fratelli Bianchi che possedevano
una stamperia in Santa Croce, poi trasferita in via Faenza. Nell'ottobre
1854 nasce la società Barbèra, Bianchi & Co.
La prima opera pubblicata è Il supplizio di un italiano
a Corfù del Tommaseo. Dopo cinque anni la tipografia
diviene piena proprietà del Barbèra, che
fonda così la sua casa editrice, dando spazio a quel gruppo
di cittadini eminenti i quali cercavano di indurre l'opinione
pubblica verso l'annessione della Toscana al Piemonte per la formazione
del Regno d'Italia, previa la cacciata dei Lorena. Essi erano:
Bettino Ricasoli, Ubaldino Peruzzi, Cosimo Ridolfi, Tommaso Corsi,
Leopoldo Campini, e Celestino Bianchi, autore del pamphlet "Toscana
e Austria"; di questo nel marzo 1859 il governo granducale
venne a sapere, e vi fu una perquisizione seguita da una devastazione,
ma i fogli di "Toscana e Austria" uscirono egualmente;
un mese dopo la popolazione tutta chiese a gran voce l'esilio
dei Lorena, e il Granduca con la sua famiglia fu costretto a lasciare
la città.
La collana più famosa della casa editrice è la Collezione
Diamante, di classici italiani, ma Barbèra guarda anche
agli emergenti, e sarà l'editore del Carducci.
La casa editrice Barbèra verrà continuata dai tre
figli Piero, Luigi e Gino sino agli Anni Trenta.
|
La
Società Successori
Le Monnier
Nel marzo 1866 si costituisce la Società dei Successori
le Monnier. Presidente: Bettino Ricasoli. Consiglieri: Francesco
Protonotari, Ernesto Magnani. Segretario: Sansone D'Ancona. Censori:
Roberto De Filippi, Vincenzo Tantini. Commissioni editoriali:
Adriano Mari, Emilio Frullani, Salvadore Disagni.
Dal primo dopoguerra vi fu la ripresa della casa editrice grazie
al Comm. Armando Paoletti, che nel 1922 ricostituì la Biblioteca
Nazionale, sotto la presidenza di Isidoro Del Lungo. Successivamente
nacque la rivista Pegaso, diretta da Ugo Ojetti e Pietro
Pancrazi. Nel 1934 fu ripresa anche la Bibliotechina del Saggiatore,
in origine fondata da Ermenegildo Pistelli.
Nel secondo dopoguerra, oltre alla ripresa dell'editoria scolastica,
videro la luce altre collane di genere più divulgativo
e manualistico, come Cultura viva e i Manualetti Le
Monnier, nonché i Saggi su gli scrittori per l'infanzia,
collana diretta da Alberto Chiari e Italiano Marchetti.
|
Cesare
Balbo, Vita di Dante
Le Monnier, 1853, cover
Carlo
Cattaneo, Scritti letterari
Le Monnier, ristampa 1948
Giuseppe
Mori,
Atlante storico didattico Le Monnier
per le scuole medie superiori, 1957
|