NELLA LIBRERIA DEI FRATELLI PAGGI
... CARLO COLLODI


Per apprezzare il cenacolo costituito dagli intellettuali che frequentavano la libreria dei fratelli Paggi, è bene leggere tra i ricordi di Omero Redi, al secolo Padre Ermenegildo Pistelli (1):

"Nella libreria di Felice Paggi, in via del Proconsolo, c'era un quaranta anni fa un gran tavolino di forma rotonda. C'è ancora, ma non serve che a sostenere cataste di libri. Allora invece, almeno verso sera, diventava vivo come Pinocchio. A quei tempi era più facile che anche agli uomini di lavoro restasse libera, prima di cena, un'oretta per trovarsi con qualche amico a fare quattro chiacchiere. Nella libreria del sor Felice, dalla papalina nera, si raccoglieva una specie di "Leonardo", soltanto letteraria, di uomini d'ingegno, di cultura, di spirito fiorentino e di lingua molto affilata. Erano assidui il Rigutini, il Dazzi, Silvio Pacini, Guido Biagi, Ida Baccini dalla voce d'oro, qualche volta il Fornaciari, spesso Ferdinando Martini, solo superstite, e altri che ora non ricordo. A nessuno mancava la parola e le discussioni sulle novità letterarie, su libri di scuola, su commedie nuove, erano continue e vivaci. La critica era allora qui da noi quella del buon senso toscano e i misteri dell'estetica sconosciuti a tutti. Io, troppo giovane, non osai accostarmi a quel consesso che un paio di volte, ma mi bastarono per formarmi un'idea che ho ancora chiara in mente. Una volta fu proprio Ida Baccini che disse - e poi scrisse - che quei valentuomini non vedevano più in là della Madonna della Tosse, che era allora alle porte di Firenze. Il Martini, che avrebbe potuto rispondere e dimostrare che egli vedeva più lontano della Madonna della Tosse, quella sera non c'era. Gli altri restarono della loro opinione, che non è dimostrato non avesse qualche buon fondamento. Il Martini c'era una sera che entrò un commediografo (era molto conosciuto, ma non riesco a ricordarmi chi fosse) con un'aria insolitamente soddisfatta. L'accoglienza fu questa. Il Martini gli domandò: - Sei innamorato o hai vinto un terno secco? - E quello: - No, son contento perchè la mia ultima commedia la traducono in francese e in tedesco. - E il Martini, senza scomporsi: - Bravo! Ma in italiano quando la fai tradurre...?"

E ancora:

"Tra queste lingue a convegno, capitava spesso il Collodi. Era il più silenzioso. Poichè s'era nel 1881 e Ferdinando Martini aveva fondato il Giornale per i bambini, il primo che aprì le finestre nella letteratura infantile che sapeva di muffa, Guido Biagi non lasciava in pace il Collodi che aveva promesso di collaborare. Chi l'avesse visto, in quelle sere, così taciturno, avrebbe detto:
- Pensa a Pinocchio. - Invece pensava a tre cose molto noiose per lui: primo, alla promessa fatta; poi, che aveva bisogno di guadagnare qualche soldo, e finalmente che non aveva nessuna voglia di mettersi a lavorare. Aveva fatto fino a quei giorni l'impiegato; era in pensione e s'era figurato che la pensione potesse assicurargli il pane quotidiano e l'otium cum dignitate. Ma benchè il pane fosse scarso, senza avere alle costole il Martini e il Biagi non avrebbe concluso nulla. Nel '48 e nel '59 aveva combattuto per l'Italia, nel '49 aveva fondato e diretto Il Lampione, un giornale umoristico che non aveva il solo fine di far ridere. Ma poi, quasi vent'anni di vita da impiegato emarginatore di pratiche l'avevano fatto diventare pigro e un po' arrugginito. Di più, s'avviava alla settantina. Un po' tardi per cominciare..."

Il primo lavoro del Collodi per il Paggi fu la traduzione dei Contes di Perrault, e lo fece solo per saldare debiti di giuoco. Il testo uscì come Racconti delle fate. Poichè le moralités erano tornate leggere e pervase di quell'inimitabile spirito fiorentino, aereo di ironia, gli amici e lo stesso fratello gli suggerirono la tentazione di ridurre il Giannetto del Parravicini, che "ridotto da mano maestra, avrebbe recato gran profitto, tanto alle scuole quanto a chi l'avesse pubblicato. Ma il Collodi faceva il sordo. Batti oggi, batti domani, finì col dire: - Quando sarà il suo momento, lo faremo: ora non posso, non mi seccare, sono troppo martoriato dai nervi. E qui veniamo al fatto. Una bella, anzi in una brutta mattina di Carnevale del 1876, il Collodi, svegliatosi di buon'ora, ricorda che ha da pagare in giornata una forte somma; né sa, lì per lì, dove battere il naso per trovarla, senza pericolo di romperselo. Pensa e ripensa, finalmente si alza, si veste e, preso il cappello, esce di casa e va in cerca di Felice Paggi."

Collodi non solo beveva, ma giuocava anche forte. "...non lasciava saper nulla; soltanto quando si trovava in estremo bisogno di quattrini, toltosi dal tavolo di giuoco, si poneva a quello del lavoro". Dopo la sofferta pubblicazione delle Avventure di un burattino sulle pagine del Giornale per i bambini con le interruzioni e le riprese che tutti sanno, nel 1883 Felice Paggi editò Le Avventure di Pinocchio, illustrato da Enrico Mazzanti. E pensare che, mandando al Martini le prime cartelle, il Collodi le aveva accompagnate con la celebre frase "è una bambinata, ma se la stampi pagamela bene per farmi venir la voglia di seguitare", che la dice lunga sullo spirito del Collodi.

La prima edizione di Pinocchio, 1883


(1) Molte delle frasi riportate di P. Ermenegildo Pistelli sono tratte dal volume di Piero Bargellini Tre toscani: Collodi, Fucini, Vamba, Vallecchi, 1952
© Letteraturadimenticata.it, marzo 2010


Felice Paggi




La caricatura di Felice Paggi
eseguita da Adolfo Matarelli
(in Illustrazione Toscana,
maggio 1930)





Il contratto per l'edizione in volume
di Pinocchio

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