Per apprezzare il cenacolo costituito dagli intellettuali che
frequentavano la libreria dei fratelli Paggi, è bene
leggere tra i ricordi di Omero Redi, al secolo Padre Ermenegildo
Pistelli (1):
"Nella libreria di Felice Paggi, in via del Proconsolo,
c'era un quaranta anni fa un gran tavolino di forma rotonda.
C'è ancora, ma non serve che a sostenere cataste di libri.
Allora invece, almeno verso sera, diventava vivo come Pinocchio.
A quei tempi era più facile che anche agli uomini di
lavoro restasse libera, prima di cena, un'oretta per trovarsi
con qualche amico a fare quattro chiacchiere. Nella libreria
del sor Felice, dalla papalina nera, si raccoglieva una specie
di "Leonardo", soltanto letteraria, di uomini d'ingegno,
di cultura, di spirito fiorentino e di lingua molto affilata.
Erano assidui il Rigutini, il Dazzi, Silvio Pacini, Guido
Biagi, Ida Baccini dalla voce d'oro, qualche volta il
Fornaciari, spesso Ferdinando Martini, solo superstite, e altri
che ora non ricordo. A nessuno mancava la parola e le discussioni
sulle novità letterarie, su libri di scuola, su
commedie nuove, erano continue e vivaci. La critica era allora
qui da noi quella del buon senso toscano e i misteri dell'estetica
sconosciuti a tutti. Io, troppo giovane, non osai accostarmi
a quel consesso che un paio di volte, ma mi bastarono per formarmi
un'idea che ho ancora chiara in mente. Una volta fu proprio
Ida Baccini che disse - e poi scrisse - che quei valentuomini
non vedevano più in là della Madonna della Tosse,
che era allora alle porte di Firenze. Il Martini, che avrebbe
potuto rispondere e dimostrare che egli vedeva più lontano
della Madonna della Tosse, quella sera non c'era. Gli altri
restarono della loro opinione, che non è dimostrato non
avesse qualche buon fondamento. Il Martini c'era una sera che
entrò un commediografo (era molto conosciuto, ma non
riesco a ricordarmi chi fosse) con un'aria insolitamente soddisfatta.
L'accoglienza fu questa. Il Martini gli domandò: - Sei
innamorato o hai vinto un terno secco? - E quello: - No, son
contento perchè la mia ultima commedia la traducono in
francese e in tedesco. - E il Martini, senza scomporsi: - Bravo!
Ma in italiano quando la fai tradurre...?"
E ancora:
"Tra queste lingue a convegno, capitava spesso il Collodi.
Era il più silenzioso. Poichè s'era nel 1881 e
Ferdinando Martini aveva fondato il Giornale per i bambini,
il primo che aprì le finestre nella letteratura infantile
che sapeva di muffa, Guido Biagi non lasciava in pace il Collodi
che aveva promesso di collaborare. Chi l'avesse visto, in quelle
sere, così taciturno, avrebbe detto:
- Pensa a Pinocchio. - Invece pensava a tre cose molto noiose
per lui: primo, alla promessa fatta; poi, che aveva bisogno
di guadagnare qualche soldo, e finalmente che non aveva nessuna
voglia di mettersi a lavorare. Aveva fatto fino a quei giorni
l'impiegato; era in pensione e s'era figurato che la pensione
potesse assicurargli il pane quotidiano e l'otium cum dignitate.
Ma benchè il pane fosse scarso, senza avere alle costole
il Martini e il Biagi non avrebbe concluso nulla. Nel '48 e
nel '59 aveva combattuto per l'Italia, nel '49 aveva fondato
e diretto Il Lampione, un giornale umoristico che non
aveva il solo fine di far ridere. Ma poi, quasi vent'anni di
vita da impiegato emarginatore di pratiche l'avevano fatto diventare
pigro e un po' arrugginito. Di più, s'avviava alla settantina.
Un po' tardi per cominciare..."
Il primo lavoro del Collodi per il Paggi fu la traduzione dei
Contes di Perrault, e lo fece solo per saldare debiti
di giuoco. Il testo uscì come Racconti delle fate.
Poichè le moralités erano tornate leggere
e pervase di quell'inimitabile spirito fiorentino, aereo di
ironia, gli amici e lo stesso fratello gli suggerirono la tentazione
di ridurre il Giannetto del Parravicini, che "ridotto
da mano maestra, avrebbe recato gran profitto, tanto alle scuole
quanto a chi l'avesse pubblicato. Ma il Collodi faceva il sordo.
Batti oggi, batti domani, finì col dire: - Quando sarà
il suo momento, lo faremo: ora non posso, non mi seccare, sono
troppo martoriato dai nervi. E qui veniamo al fatto. Una bella,
anzi in una brutta mattina di Carnevale del 1876, il Collodi,
svegliatosi di buon'ora, ricorda che ha da pagare in giornata
una forte somma; né sa, lì per lì, dove
battere il naso per trovarla, senza pericolo di romperselo.
Pensa e ripensa, finalmente si alza, si veste e, preso il cappello,
esce di casa e va in cerca di Felice Paggi."
Collodi non solo beveva, ma giuocava anche forte. "...non
lasciava saper nulla; soltanto quando si trovava in estremo
bisogno di quattrini, toltosi dal tavolo di giuoco, si poneva
a quello del lavoro". Dopo la sofferta pubblicazione delle
Avventure di un burattino sulle pagine del
Giornale per i
bambini con le interruzioni e le riprese che tutti
sanno, nel 1883 Felice Paggi editò Le Avventure
di Pinocchio, illustrato da Enrico Mazzanti. E pensare
che, mandando al Martini le prime cartelle, il Collodi le aveva
accompagnate con la celebre frase "è una bambinata,
ma se la stampi pagamela bene per farmi venir la voglia di seguitare",
che la dice lunga sullo spirito del Collodi.
La
prima edizione di Pinocchio, 1883
(1)
Molte delle frasi riportate di P. Ermenegildo Pistelli sono
tratte dal volume di Piero Bargellini Tre toscani: Collodi,
Fucini, Vamba, Vallecchi, 1952
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Letteraturadimenticata.it, marzo 2010