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CIRCO, CHE PASSIONE! |
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BREVE
STORIA DEL CIRCO
E' solo verso la fine del XVIII secolo che nasce il circo nell'accezione moderna, sebbene di spettacoli circensi (intesi a divertire, con giocolieri, cantori o animali) vi sia traccia fin dall'antichità. L'esibizione di giocolieri o danzatori è riconducibile ad un passato così remoto da non potersi individuare un periodo storico preciso durante il quale queste attività ludiche vennero inventate. Si hanno notizie di spettacoli fin dai tempi degli antichi Egizi, e per restare in tempi più vicini a noi, gli antichi Romani fecero dei ludi circenses una vera e propria scienza. Nelle arene - e tutti noi abbiamo ben presente la più bella di tutte, il Colosseo - si tenevano giuochi che comportavano, oltre alla lotta tra gladiatori, anche l'esibizione di fiere esotiche, che terminava con la lotta tra queste ultime e gli schiavi. Le corse dei cavalli o delle bighe si tenevano nei circhi, intendendo con questo termine una vasta area all'aperto, di forma ovale, atta ad ospitare questo tipo di gare. Ai nostri giorni queste aree non esistono più, tranne l'area dov'era il Circo Massimo a Roma (e non c'è scena nella filmografia che stia a pari con la celebre corsa delle bighe in Ben Hur (1955): con un po' di immaginazione, ci piace credere che le cose stessero proprio così). Gli imperatori romani inoltre tenevano nei propri giardini dei bestiari privati, tanto più ricchi in quanto le fiere costituivano sia un pregiato bottino di guerra sia un prezioso donativo da parte dei regnanti dei paesi lontani. E' dall'incrocio di queste due tendenze (i giuochi, le lotte e le corse da una parte, i bestiari dall'altra) che viene creato nel corso del tempo il moderno circo.
Ds: "La fiera" (E. Enright, Otto Sabati, 1953, pag. 39) La fiera e il serraglio evolvono nel moderno circo passando attraverso la geniale invenzione di un personaggio inglese, al quale viene in mente di organizzare uno spettacolo equestre che usufruisca di una struttura apposita permanente. Il circo infatti inizialmente è un circo equestre, cioè una "danza di cavalli". Questo personaggio è Philip Astley, che già a metà del Settecento, facendo parte di un reggimento di cavalleria, compie acrobazie a cavallo esibendosi entro un cerchio disegnato per terra. Astley abbandona l'esercito, sposa una cavallerizza, acquista numerosi cavalli e su un terreno vicino al ponte di Westminster impianta una struttura circolare permanente, dotata di tetto, che chiama Astley's Amphitheatre. E' il 1770. Il successo è immenso; Astley ingaggia inoltre artisti di fama, clowns, trapezisti. La pista rotonda e il tipo di programmi fanno di Astley il padre del circo moderno. Tuttavia, il nome lo si deve ad un ex acrobata della sua compagnia: Charles Hughes, che impianta poco lontano, vicino al ponte dei Balckfriars, il proprio Royal Circus. Hughes introduce due innovazioni: aggiunge una scena alla pista circolare, e richiama in vita il termine latino circus. |
IL
CIRCO NELLA LETTERATURA PER RAGAZZI
Moltissimi sono i romanzi per ragazzi dove il vero protagonista non è un personaggio ma un luogo: il circo. Da sempre affascinante, misterioso, divertente, il circo attira i fanciulli (e le fanciulle), tanto che il protagonista del racconto, da vero birichino, scappa di casa per legarsi ad un circo. E' il caso di Flik, o tre mesi in un circo, romanzo di J. Otis che risale al 1881 e fu tradotto in italiano nel 1882 dalla medesima casa editrice del "Giornale per i bambini", omettendo però sia il titolo originale (Toby Tyler) sia l'autore. Flik, o tre mesi in un circo, Barbera, 1882 cover Flik, o tre mesi in un circo Ill. in antiporta e frontespizio James Otis è un appassionato del circo e scrive una quantità di libri a questo tema, per quanto Toby Tyler or ten weeks with a circus sia il più famoso.
Salani ristampa Toby Tyler nel 1951 col titolo Berto, o tre mesi in un circo (Libri della Festa n°8) e seppur menzionando l'autore, non lo traduce dall'originale ma prende il testo da quello di Flik, variando solo alcuni nomi propri: la scimmia (nell'originale Mr Stubb) da signor Bertolucci diviene signor Rampicucci, etc., oltre a volgere tutte le conversazioni dal "lei" al "voi". Le illustrazioni a corredo sono eseguite da Rossini ma ricalcano in tutto e per tutto quelle della vecchia edizione.
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Il Crystal Palace Circus, Londra, noto anche come Regent Circus Piccadilly in una cartolina del 1852. Le Cirque d'Hiver, Parigi Il Circus Carre, Dresda in una cartolina del 1860 Il circo nella seconda metà dell'Ottocento diviene itinerante e non più ad impianto fisso. Epigoni del circo e della fiera (strutturalmente funzionanti perchè organizzati) sono i singoli suonatori girovaghi, o giocolieri, o proprietari di animali ammaestrati, che a piedi passano di villaggio in villaggio cercando di guadagnare i pochi soldi necessari alla sopravvivenza. Storicamente queste solitarie figure sono sempre esistite, ma è nell'Ottocento che proliferano, probabilmente perchè abbandonano un circo oppure per imitazione del circo, e spesso queste figure appartengono alla razza degli zingari. Accanto alle grandi compagnie ben gestite vi sono inoltre i piccoli circhi di povera gente, spesso ridotte a non più di un paio di carrozzoni. M. Catalany, Il Circo Barletta, 1953. La copertina di G. Rossini riassume i pochi numeri: i pagliacci, la ballerina sul cavallo, i cani ammaestrati, e i volteggi di P'tit Oiseau. |
...E
IL CIRCO RICCO |
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L'ORSO
AMMAESTRATO
Gli orsi attiravano maggiormente il consenso del pubblico rispetto ai cani o ad altri animali, grazie al suo fascino dell'orrido, ma esibirsi con un orso non era impresa facile. Solo gli zingari, che sono particolarmente bravi anche come violinisti, erano in grado si addestrare un orso a "ballare": attività che il povero animale certo non gradiva poichè si trattava semplicemente della reazione al dolore inflittogli per insegnargli ad alzare le zampe anteriori ed assumere la posizione eretta, che nell'orso è facile ad ottenersi ma non è la sua posizione naturale. L'orso doveva imparare a drizzarsi al suono del tamburello, e per ottenere questo si procedeva così: due piastre di metallo arroventate erano poste nel punto esatto dove l'orso avrebbe poggiato le zampe anteriori nel tentativo di riacquistare la posizione naturale. Il tamburello suonava quando l'animale poggiava le zampe sulle piastre, così che dolore e suono del tamburello si associavano creando nell'animale un riflesso condizionato: dopo giorni e giorni di addestramento, alla fine l'animale avrebbe alzato le zampe al solo suono del tamburello, e gli spettatori avrebbero creduto che l'orso ballasse al sentire la musica. Anche se l'animale risponde bene all'addestramento, si tratta pur sempre di una bestia feroce che non si può addomesticare, ma solo addestrare, rimanendo estremamente aggressivi perchè sono i soli ad attaccare senza un preciso motivo, al contrario dei felini. E' invece facile addestrare i cani, che essendo da millenni animali già addomesticati provano un vero affetto per il padrone, il che li spinge ad accontentarlo in ogni sua richiesta, e così l'ambulante che si esibisce con i cani è in grado di eseguire esercizi strabilianti.
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LO
ZINGARO GIROVAGO: CANI ED ORSI
In questo peregrinare per città e Paesi risiede molto del fascino esercitato sugli scrittori di romanzi per ragazzi. Il concetto di girovagare - che in genere rappresenta una condizione poco felice - dà spunto al feuilleton, rappresentato egregiamente da Hector Malot nel suo Senza Famiglia del 1878 (I Libri della Gioventù n°12). Remy entra a far parte della "compagnia" del vecchio signor Vitali: tre poveri cani, uno nero, un barboncino bianco, una cagnolina bigia, e una scimmia, il signor Belcuore; Vitali e Remy girovagano dando spettacolini per strada, con mille traversie, non ultime quelle di perdere durante una notte di gelo due cani e vedersi poi morire la scimmia. Morto anche Vitali, Remy si mette a capo della "compagnia", formata solo dal superstite Capi, impareggiabile barboncino, e insieme con Mattia, un altro derelitto ragazzo, ricomincia a girovagare per le strade: uno suona l'arpa, l'altro il violoino. Finito nelle grinfie dei Driscoll, ha il dolore di vedere l'amato Capi imparare ben presto a rubare: tale è l'estrema capacità dei cani ammaestrati ad imparare qualsiasi cosa. Infine, grazie all'aiuto di Mattia e del clown Bob del Circo Gassot, Remy ritrova la sua famiglia, nella migliore tradizione.
L'orso ammaestrato è il protagonista de L'eredità dello zingaro, BMR n°10, dove l'orso Pepè viene presentato come un animale docile, anche se combina delle birichinate, e il lettore percepisce una sorta di complicità tra il ragazzino Andrea e la sua bestia, tanto che in finale si legge: "E si può esser sicuri che, quando Andrea comanda <Ora, Pepè, indicami la persona più buona di tutta la compagnia> il bravo animale s'incammina ogni volta, dondolandosi, verso la vedova Iruleghi; e quando, poco dopo, Andrea soggiunge: <E ora, Pepè, facci vedere la persona più amabile di tutti> Pepè va dritto verso Marietta." Queste sono fantasie assurde, innanzi tutto perchè gli orsi non camminano, e in secondo luogo perchè non possiedono intelligenza sufficiente a capire una richiesta del genere. Tutto il romanzo dà l'illusione che la bestia capisca il padroncino come fosse un cagnolino, mentre gli orsi sono animali imprevedibili e pertanto pericolosi. In Raff il domatore, BMR n° 82, leggiamo di fantasie ancora più assurde. Fellino, il futuro domatore, ancora ragazzo incontra per strada uno zingaro girovago con il suo orso Mustafà, che campa facendo scommesse con gli spettatori che vogliano cimentarsi con l'orso per metterlo a terra; ciò non capita mai, ma Fellino solo con lo sguardo vi riesce. Non è finita: tempo dopo Fellino ritrova in un serraglio l'orso Mustafà zoppo e malato, iracondo e inavvicinabile: Fellino gli dice due paroline dolci, e l'orso "dondolò più volte la sua grossa testa, quasi a conferma di quel che diceva il ragazzo" e ancora: "stese la mano oltre la corda, verso l'orso, che passò una delle sue zampe attraverso la sbarra della gabbia, come per prendere la mano che il ragazzo gli tendeva." E su questa via continua il racconto: "<Ora fammi vedere, poverino, dove hai la bua!> L'orso, sdraiandosi per parte, sulla coscia sana, mise in mostra la zampa ammalata [...]". No comment. |
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LA
BALLERINA SUL CAVALLO
Non c'è mai stato nulla che abbia eccitato gli spettatori come l'esibizione di una ballerina su un cavallo. Se infatti i primi circhi equestri si limitavano ad esibire i cavallerizzi abili in volteggi, a partire dal XIX secolo il volteggio equestre subisce una costante evoluzione. Nel 1825 Jacques Gautier esegue un salto mortale su un cavallo in corsa (su sella di legno). Nel 1835 l'americano Tim Turner è il primo a saltare in piedi su un cavallo al galoppo, spiccando il salto direttamente dalla pista. Il più grande volteggiatore di tutti i tempi, Enrico Caroli, riesce a saltare da cavallo a cavallo facendo una rotazione completa a piedi uniti. Il volteggio alla circassa è velocissimo: la sella è munita di impugnature che permettono di assumere le varie posizioni: trasversale, passare sotto la pancia del cavallo, galoppare a testa in giù, etc. Nel 1849 James Mortos inventa il panneau, una piattaforma imbottita sul dorso del cavallo, sulla quale la ballerina in tutù è in grado di danzare, saltare nel cerchio, etc. Queste esibizioni diventano di grandissima moda, con star di prima grandezza come Miss Gougoutine, le sorelle Cuzent, le sorelle Jolibots, Palmyre Annato, Coralie Ducos. In Germania Katchen Renz termina la sua esibizione saltando attraverso 50 cerchi di carta. Katchen Renz Questa e altre immagini a corredo di questo articolo sono tratte dal bel libro di Monica J. Renevey Il circo e il suo mondo, Laterza, 1985. La "ballerina sul cavallo", come abbiamo battezzato questo tipo di esercizio, non poteva mancare nell'immaginario di Cuore, il libro per la gioventù di fine Ottocento che raccoglie tutti gli stereotipi moralisti dell'epoca. Il racconto sul circo ("Il piccolo pagliaccio", Febbraio, lunedi 20) è infatti pervaso di pietismo e termina con la solita "buona azione", mentre in altri testi le attività circensi sono al contrario viste con estremo interesse da parte del protagonista: il circo esercita sempre un'attrattiva sui fanciulli (anche se poi si ricredono nel non infrequente caso di riduzione in schiavitù da parte del padrone, come accade a Flik/Berto: il che non gli impedisce di riprovarci con gli amici nel seguito del racconto, perchè non è il circo in sé che l'ha deluso, bensì la sua situazione di schiavitù). Ma il protagonista di Cuore Enrico (che in terza elementare sfoggia una pedanteria da cinquantenne) vede subito nel circo quella precaria esistenza che i bravi borghesucci rifuggono, invece di riconoscervi la fantasia e la libertà. Flik, o tre mesi in un circo, cit., pag. 193 |
LA
BALLERINA SUL CAVALLO
Esibirsi come ballerina sul cavallo in corsa è ciò che viene richiesto alla povera Tamara (La piccola pantofola d'argento, BMR n°2) quando la perfida abissina Nascia per liberarsene la vende al circo del signor Salastry. Essendo circassa, doveva ben essere "portata" per simili lavori! M. De Carnac, La piccola pantofola d'argento, 1938, pag. 95 E invece no: Tamara è la più dolce delle fanciulle, e soffre incredibili pene, non ultima quella di essere mascherata da negra col nome di Kibiscia. Per fortuna il circo è "moderno", vale a dire dotato di numeri di vario genere, nonchè di saltimbanchi e clown: il che permette al fedele Mitia, travestito a sua volta da cinese col nome di Kan-fun, di proteggerla e infine di salvarle la vita, gettandosi contro il micidiale coltello destinato a trafiggere al cuore la fanciulla, facendo ridere in tal modo l'intera platea. Persino nel povero Circo Barletta apre lo spettacolo una bambina che esegue gli esercizi sul dorso di un cavallo grigio: evidentemente un numero di cui non si poteva fare a meno. Nello sfarzoso circo del Il cavaliere del mistero, il "Gran circo veneziano", è lo stesso proprietario, il cavalier Fabri, che esegue esercizi difficilissimi sul cavallo, attrazione centrale, e solo perchè cadendo è rimasto invalido, egli accetta che sia la piccola Silvietta ad esibirsi in groppa al cavallo. Ma la
ballerina sul cavallo ricorre ancora: sempre in Flik o tre
mesi in un circo la piccola Ella Mason, al primo incontro con
Flik, gli rivela che lei "lavora sul cavallo con la mamma",
al che Flick si stupisce: " E lei è la ragazzina che lavora
con quella signora su quattro cavalli?" dal che deduciamo che tipo
di spettacolo facessero le due cavallerizze. |
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IL
DOMATORE
Accanto ai nomi dei grandi entrepreneur che fondarono i circhi, vi sono - ancor più numerosi - i nomi di famosi domatori. Costoro in genere lavorano per il circo ma non hanno la forza di fondarne uno proprio, con le notevoli eccezioni di Darix Togni e Orlando Orfei, che però ebbero un'intera famiglia a sostenerli e con la quale poterono fondare una compagnia. I singoli domatori non potevano che far parte di una compagnia altrui. Ma il domatore è fondamentale in un moderno circo che si rispetti: nulla impressiona maggiormente il pubblico del domatore entro la gabbia dei leoni. I nomi dei domatori famosi sono tanti e non possiamo nominarli tutti; in Francia la dinastia circense dei Knie è sempre stata nota per i numeri con gli animali. Per tutto il XVIII secolo le belve feroci nei circhi sono semplicemente esibite, come si fa nei serragli; è solo nel XIX secolo che i domatori decidono di entrare nella gabbia, introducendo la suspence nella rappresentazione. I primi furono Martin, Ducrow, Carter, Hermann, Lucas. I fratelli Hagenbeck, già allevatori e fornitori di animali feroci, inventano la gabbia centrale circolare, smontabile, che occupa tutta la pista ed entro la quale si conduce l'esibizione. I primi ad utilizzarla sono i Bidel, Pezon ed Opilio Faimali. I fratelli Hagenbeck sono così famosi che quando muore il loro padre, Carl Hagenbeck Sr. nell'agosto 1893 ad Amburgo, i giornali italiani ne danno il necrologio. All'inizio del XX secolo Willly Hagenbeck fornisce ai circhi anche orsi ammaestrati; anche i singoli domatori possono acquistare gli animali ed esibirsi nelle varie compagnie circensi. Con gli orsi di Hagenbeck il famoso Tilly Bebe presenta un numero con 20 orsi; la coppia italiana Anna e Giancarlo Triberti presentano un numero con 6 orsi bianchi. Con i leoni lavorano domatori come Julius Seeth, Schilling, Rudolf Matthies, Grothe, Bonavita, Alfred Schneider (che faceva un numero con 70 leoni, ma si limitava a gettar loro un pezzo di carne); anche le donne sono brave domatrici, e famose diventano stelle del calibro di Claire Heliot e Ida Krone. La tigre è meno adatta del leone ad essere addestrata, sicchè il primo numero con le tigri si tiene a Parigi nel 1904: Richard Sawade presenta un numero con 6 tigri insieme con 4 leoni, 2 orsi bianchi e uno nero. Nel 1906 Henricksen presenta un numero con 10 tigri al circo dei fratelli Court, e si esibisce in seguito con 30 orsi polari insieme con 14 tigri. Le pantere sono ancor più difficili da addestrare ed uno dei primi è proprio Opilio Faimali (1826-1894) che viaggiava con un serraglio personale di 160 animali. Soprannominato "il re dei leopardi", è rimasto celebre per il modo in cui afferrava le pantere: per la pelle del collo, come fossero dei gatti. Alfred Court nel 1938 è il primo a presentare un numero misto favoloso: 10 pantere maculate, 4 puma, 4 giaguari, 4 pantere nere, 2 pantere bianche siberiane. Court, in tournée in America, diviene la star del circo Ringling. Di Carl Hagenbeck e di suo fratello John viene riportato un aneddoto in Raff il domatore a proposito di un tigrotto allevato come il gatto di casa che inopinatamente durante uno spettacolo si "ricordò" di essere un tigrotto e fece strage di scimmie ... Una raffigurazione di fantasia, "La domatrice di leoni", incisione di U. Zica, riprodotta da Illustrazione Popolare, 1902 |
IL
DOMATORE
In letteratura (per ragazzi e non) diversi volumi a tema circense sono dedicati ai domatori. Una vera biografia è quella offerta da G. Biasotti per il suo Opilio il Grande, BMR n°73, non sappiamo tuttavia quanto romanzata.
Iconografia del domatore Nella ricerca che abbiamo condotto per questo articolo ci siamo imbattuti in decine di domatori, e non abbiamo potuto fare a meno di notare che l'elemento predominante dell'immagine del domatore, comune a tutti, è un bel paio di baffi impomatati. Opilio Faimali è l'unico ad essere ritratto con la barba, forse perchè una sua foto in età avanzata lo ritrae appunto con la barba. Opilio Faimali (Upilio nelle diciture coeve) nacque a Groppallo e morì il 14 settembre 1894 nella sua villa delle Colombare di Pontenure nel piacentino.
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IL SERRAGLIO
I grandi circhi o i grandi domatori possiedono un vasto serraglio dal quale attingono le belve per i numeri circensi o semplicemente per mostrarle al pubblico. In genere è possibile la visita alle gabbie prima dello spettacolo, e quando il circo entra in città è sempre prevista una grande parata che metta in mostra gli animali migliori allo scopo di attirare l'attenzione del pubblico, e se ci sono gli elefanti questa è assicurata. Ma ci sono anche "compagnie" che si limitano a girovagare mettendo in mostra il proprio serraglio, senza possedere le strutture del circo. Questi serragli ambulanti, a volte ridotti a poche gabbie di sparuti animali, proliferano nell'Ottocento per diminuire sempre più e dopo la Prima Guerra Mondiale spariscono definitivamente dalle scene. A questo sicuramente contribuisce la campagna contro la crudeltà verso gli animali (operata da commercianti senza scrupoli) che vede il suo maggior fautore nella straordinaria figura dell'esploratore Paul Berthollet, che detesta i serragli favorendo invece gli zoo. Pronipote del grande chimico Berthollet, che accompagnò Napoleone in Egitto, eredita forse dall'antenato la smania dell'avventura. Di mestiere fa l'esploratore (attorno agli Anni Venti), e cattura e porta in Francia animali vivi, senza usare il fucile e a rischio della propria vita, come dal titolo del bel libro autobiografico che racconta le sue avventure, tra cui la commovente storia di Pierrot. E' lui che inventa la frase "più conosco gli uomini, più amo gli animali" che pone addirittura in testa a tutte le sue lettere.
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IL
SERRAGLIO
L. Barberis, Il serraglio del domatore Vanderfeld, Paravia, 1897 Illustrazione gentilmente concessa dalla Libreria Le Colonne di Torino Il serraglio ambulante ci regala una delle pagine più divertenti di tutta la letteratura per ragazzi: la versione "casalinga" del serraglio operata da Giannino Stoppani. Vamba, Il giornalino di Gian Burrasca La BUR dei Ragazzi, 1973, pag. 93 L'idea di riprodurre il serraglio delle belve feroci utilizzando gli animali (e i figli) del contadino a Giannino viene perchè si ricorda che "una volta il babbo mi portò a vedere il serraglio di bestie feroci di Numa Hava, e da allora ci ho sempre ripensato, perchè il sentire nell'ora del pasto tutti quegli urli dei leoni, delle tigri e di tanti altri animali che girano in qua e in là nelle gabbie strofinando e raspando è una cosa che fa grande impressione e non si dimentica tanto facilmente". Numa Hava, che non abbiamo rintracciato in alcuna fonte storica, può essere tanto un nome di fantasia dell'autore quanto uno dei tanti ambulanti proprietari di serragli che all'epoca giravano per l'Europa. Ci fu una domatrice di nome Numa Hawa, ricordata anche da Giovanni Papini, che si esibiva al Cirque d'Hiver di Parigi. Nel 1888 fu artigliata al petto da un orso durante uno spettacolo. Giannino nasce nel 1897 e quindi il suo Numa Hava non può trattarsi della stessa domatrice, ma può darsi che Bertelli, fine umorista, abbia preso in prestito proprio il suo nome. Aggiornamento: cerca e cerca, qualcosa si trova sempre... abbiamo rintracciato Nouma Hava ! A sin.: una fotografia pubblicata su L'illustrazione popolare, Vol. XXXIX, 12 gennaio 1902, p. 37. Il trafiletto recita: "Il 14 dicembre scorso, nel serraglio di Nouma Hava, a Torino, sono nati due bei leoncini; ed hanno avuto l'onore di essere portati in un canestro di gala al municipio, e di essere fotografati dal signor Ettore Cesa [...]" Ecco dunque che Giannino Stoppani, qualche anno dopo, può aver visitato il serraglio di Nouma Hava in trasferta a Firenze... (ottobre 2011) |
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LA
SCIMMIA AMMAESTRATA
Berthollet apre il capitolo relativo a Pierrot dicendo "gli studi degli scienziati hanno dimostrato che fra tutte le scimmie lo scimpanzè è quella che embriologicamente più si avvicina all'uomo". All'epoca non era ancora stato scoperto il DNA, che ci ha rivelato come il 98% del DNA dell'uomo e quello dello scimpanzè siano assolutamente identici. La differenza sta tutta in quel 2%. Lo scimpanzè vive una cinquantina d'anni e diventa adulto verso i 12. Se ben addestrato impara a comportarsi come un bambino, posto che si faccia attenzione al freddo, il suo principale nemico (sia il signor Rampicucci sia Puff soffrono alquanto di questo inconveniente). Berthollet capisce gli animali e dello scimpanzè ci dice che è ambidestro, ha un gusto molto sviluppato, conosce i colori e preferisce il rosso, il giallo e l'azzurro. Prende con sé Pierrot, malato di scorbuto e piagato dalla rogna, affetto dalla dissenteria, dalla tubercolosi e dal rachitismo, e con infinita pazienza lo cura. Pierrot diventa un piccolo animale sano e soddisfatto. Senza bisogno di grandi insegnamenti si comporta come il padrone, semplicemente per imitazione. Ben presto diventa famoso nel circondario (Berthollet abita nell'Isle-Adam). Pierrot accende e spegne la luce di una stanza al bisogno, aiuta la domestica a lavare i piatti, ed è molto pulito: si lava accuratamente le mani in continuazione. Un giorno Berthollet chiude il contatore dell'acqua e ritrova Pierrot che si lava le mani come al solito servendosi del latte che il lattaio ha appena portato. Di episodi come questo è pieno il capitolo, e di esilarante comicità la descrizione di Pierrot a tavola, non ultimo il fatto che che riconoscesse solo dal tappo le bottiglie di champagne, che perferiva al vino; o ancora come si divertisse a guidare in giardino una piccola automobile sulla quale portava a spasso il cane, il gatto e un coniglio. Un giorno Berthollet accetta di far partecipare Pierrot ad una produzione cinematografica, dove doveva salire su un albero di cocco e buttare una noce in testa all'attore. Ma si girava in Costa Azzurra e la produzione non trovò che una palma, dove lo scimpanzè non poteva salire se non facendosi male, e dopo diversi tentativi Berthollet se ne ritorna a casa. Ma sorge una controversia con la produzione, e Pierrot compare davanti al Tribunale del Commercio della Senna a Parigi per dimostrare le sue capacità di arrampicatore. In aula Pierrot non solo si rifiuta di salire su un altro albero finto, ma compie tali prodezze e fa tanto divertire il Presidente che alla fine tutto finisce in gloria. Tuttavia, diversi resoconti appaiono su Paris Soir e altri giornali dell'epoca con titoli buffi ("lo scimpanzè che non vuole recitare") sicchè la fama di Pierrot aumenta a dismisura. Infine Pierrot muore perchè un'amichetta gli trasmette la difterite, malattia implacabile. A Bethollet, che lo considera come un figlio, non resta che piangerlo. Ma dedicandogli questo capitolo lo rende immortale. |
LA
SCIMMIA AMMAESTRATA
Nel circo letterario non può mancare la scimmia, animale quanto mai duttile e ammaestrabile, posto che - al contrario di cani o cavalli - la scimmia mantiene sempre quel pizzico di indipendenza mentale dal padrone, che le consente di fare scappate, birichinate, e naturalmente azioni straordinarie. Ciò vale in particolare per la letteratura di fine Ottocento - primi Nocevento, quando era di gran moda avere una vera scimmia in casa per baloccare il signorino; e si sa, la letteratura riflette gli usi e costumi del momento. Tuttavia alla scimmia viene data una caratterizzazione tale da farne un vero e proprio personaggio, quasi protagonista del racconto, rendendola umanizzata, e questo perchè alla scimmia viene attribuito il pensiero, il ragionamento finalizzato: cosa assai improbabile. E pazienza se Puff riesce a raggiungere Carletto prigioniero perchè "con un pezzo di ardesia trovato sul tetto ruppe uno dei vetri della finestrella, e passando attraverso l'inferriata riuscì a calarsi nella stanza" (Due ragazzi e una scimmia, p. 122), ma non possiamo lasciar correre che il signor Rampicucci (Berto, o tre mesi in un circo) faccia marachelle e poi se ne penta, risponda a tono alle domande, e manifesti affetto e comprensione verso le disgrazie di Berto. In Raff il domatore il poverissimo circo equestre che capita per la prima volta nel piccolo paese di Fellino annovera "un cavallino bianco un po' magrolino, un asinello e una scimmietta spelacchiata e bizzosa" che però al momento di prodursi "mangiava col cucchiaio e la forchetta, si puliva i denti con lo stecchino, beveva al bicchiere e fumava la sigaretta". Questo nella pubblicità. Nella realtà le cose sono ben diverse e la povera bestia viene obbligata a suon di frusta a tentare di fare tutte quelle cose straordinarie. Fin qui siamo d'accordo. Ma ecco che prevale la fantasia: "Fellino [...] dette, oltre l'obolo, un'occhiata nella quale era tanta pietà e tanto amore, che la scimmia ne rimase colpita e si fermò davanti a lui più del tempo debito guardandolo con curiosità e storcendo la bocca come in un sorriso." Impensabile. Vi sono tre scimmiette intelligentissime anche in Il regno di Cenerentola, BMR n° 12, Chita, Richì e Sang, le quali, ammaestrate da un indù, obbediscono prontamente se si parla loro in una strana lingua, misto di dialetto e fischi modulati. A Chita viene ordinato di simulare una fuga per permettere di rintracciare il principe prigioniero, cosa che la povera bestia esegue a perfezione. F. Jackson, La brigata di Collefiorito Biblioteca delle Giovinette, 1954 |
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IL
CIRCO AMERICANO
I primi circhi negli Stati Uniti vennero aperti nel 1793 a New York e Philadelphia da John Bill Ricketts, ed erano - come quelli europei - specializzati nelle esibizioni equestri dove il cavallerizzo passava attraverso dei cerchi di fuoco, in strutture permanenti; l'idea di rendersi itinerante sorse all'incirca nel 1840. Ma la storia del circo americano non può dissociarsi dalla storia personale di P.T. Barnum. May Wirth ritratta in un celebre poster. Riproduzione eseguita in occasione della Prima Convenzione Internazionale del Circo, Roma (Dic. 1988-Feb. 1989) Phineas Taylor Barnum nel 1835 ha l'idea di comprare una vecchia schiava, Joice Heth, e mostrarla al pubblico dichiarando che la donna aveva 160 anni ed era stata la balia di George Washington. Il successo lo porta nel 1841 ad acquistare l'American Museum a New York per trasformarlo in un teatro dove esibisce i "fenomeni" (freaks), esseri umani deformi, spesso però costituiti da vere finzioni. Inizia con "The Fiji Mermaid" (ottenuta congiungendo la metà superiore di una scimmia alla seconda metà di un pesce impagliato), ma diventa famoso in tutto il mondo con General Tom Thumb (Charles Stratton, alto solo 25 pollici all'età di 5 anni, che però Barnum presenta come "dodicenne"), la famosa cantante d'opera europea Jenny Lind (soprannominata "l'usignuolo del Nord"), i gemelli siamesi Chang & Eng Bunker, l'elefante gigante Jumbo, il famosissimo elefante inglese (un raro esempio di come un nome proprio assuma il significato che lo connota - in questo caso, "di dimensioni superiori" - e divenga poi un neologismo in tutte le lingue occidentali), che Barnum pagò 60mila franchi e gli rese quattro milioni. Nel 1844-45 fa una tournée in Europa dove espone i suoi fenomeni davanti alla Regina Vittoria. Il talento di Barnum per la pubblicità è tale che ottiene un enorme successo con le sue mistificazioni, che prosegue nel 1871 quando Barnum fonda un circo, che chiama "The Greatest Show on Earth", dove accanto alle esibizioni tradizionali continua a proporre al pubblico curiosità animali ed umane, reali o finte. Barnum chiama se stesso "the Prince of Humbugs" ed è noto per la battuta: "There's a sucker born every minute". Il circo di Barnum, itinerante, apporta un'idea geniale: tre piste nel parterre invece di una. Nel 1881 si mette in società con James Bailey, formando il Barnum & Bailey Circus. Pubblica la sua autobiografia nel 1855: The Life of P. T. Barnum, Written by Himself, seguita da Humbugs of the World (1865), Struggles and Triumphs (1869), e Money Getting (1883). Dopo la sua morte nel 1891 il Barnum & Bailey Circus viene gestito dal socio Bailey, che lo porta in tournée in Europa con 85 carrozzoni ed oltre mille dipendenti ed ottiene un successo strepitoso. Alla morte di Bailey nel 1907 viene acquisito dal Ringling Brothers Circus, e nel 1919 i due circhi si fondono nel Ringling Bros. & Barnum & Bailey Circus, abbreviato nell'acronimo RBBB Circus e tuttora operante. Les Blagues de l'Univers, edizione francese di Humbugs of the World, 1866 Buffalo Bill col suo Circo Indiano ha un enorme successo nell'Europa di fine secolo. Nel 1872, dopo una breve esperienza con il Circo Barnum, lui stesso organizza le sue tournées. Il debutto avviene in dicembre a Chicago e il successo è strepitoso, per cui prosegue per Cincinnati e per New York. La gente, che tanto aveva sentito parlare delle sue gesta, accorre in massa per conoscerlo. Nel 1876, però, Kit, il figlio di sei anni muore improvvisamente; distrutto dal dolore, Buffalo Bill sospende ogni attività e scioglie la compagnia. Solo nel 1880, dopo aver vendicato Custer in un duello, Buffalo Bill torna allo spettacolo con il suo organizzatissimo Wild West Show-Rocky Mountain and Praire Exibition, la cui prima esibizione si tiene a North Platte nel luglio 1882. Di qui raggiunge Boston, Newport e Chicago. Nel dicembre 1883 muore anche la figlia Orra, e gli spettacoli riprendono solo nella tarda primavera. Nel marzo 1885 entra nello show Anne Oakley, tiratrice infallibile, in grado di centrare su un cavallo in corsa e da trenta metri una carta da gioco. Ancora alcuni mesi e anche Toro Seduto si aggrega allo spettacolo per un compenso di cinquanta dollari la settimana e un dollaro e mezzo per ogni foto autografata. Nel momento del massimo successo lo spettacolo si trasferisce al Madison Square Garden, dove un milione di persone si affollano per applaudire le sue imprese. La fama di Buffalo Bill sorvola presto l'Oceano. Nel febbraio del 1887 la compagnia raggiunge l'Europa, portando con sé anche Alce Nero, un altro grande capo pellerossa. Londra si esalta ai suoi spettacoli ai quali, per ben due volte, presenzierà anche la regina Vittoria. Poi ancora a New York e poi ancora in Europa. A Parigi tutto ciò che ricorda il West diventa di moda. E' all'Olympia di Londra che Barnum fa rappresentare nel 1889 "Nerone o la distruzione di Roma" che faceva il pari col "Più grande spettacolo del Mondo".
Molti non
sanno che Buffalo Bill fece diverse tournée in Europa, e fu in
Italia nel 1903 e nel 1906. Le foto qui sopra sono appese nella sala
interna del Caffé Greco, Roma, frequentato dalla star durante
il soggiorno romano. La dedica autografa recita: "To Kubinelli
/ of "Greco"- Rome / Compliments / W.J. Cody / Buffalo Bill" |
IL
PIU' GRANDE SPETTACOLO DEL MONDO
Phineas Taylor Barnum (Bethel, CT, 5 luglio 1810 - Bridgeport, CT, 7 aprile 1891)
Ai nostri giorni può sembrare quanto meno indelicato portare alla ribalta persone con difetti fisici solo per il gusto dello spettacolo, ma una volta non si andava tanto per il sottile. P.T. Barnum ne fece un libro. In Flik/Berto o tre mesi in un circo vengono presentate al pubblico le Signorine Bianchi, o "ragazze albine", e non mancano la "donna cannone" e "l'uomo scheletro". Freaks è anche il titolo di un cortometraggio del 1932 dove, ambientata in un circo, si narra una triste storia di crudeltà e di avidità. Nel film recita una sola attrice: tutti gli altri personaggi sono dei fenomeni.
The Konyot Family in un celebre poster. Riproduzione eseguita in occasione della Prima Convenzione Internazionale del Circo, Roma (Dic. 1988-Feb. 1989) Il nome del primo circo Barnum viene ripreso nel 1953 da Cecil B. De Mille per il suo famosissimo film sul circo, che ottiene 2 Premi Oscar (miglior film e miglior soggetto). IL CLOWN Protagonista del film è il circo, e tra le varie figure degli artisti spicca tra tutte quelle del clown. Buttons però non è un clown di professione: è un medico che deve nascondersi, e il suo personaggio incarna un altro cliché presente in letteratura. Anche ne Il Circo Barletta è presente un personaggio del genere: il buon "babbo Michele" di Margherita, il clown che la protegge, è in realtà nientemeno che il marchese Michele di Valdarta, uomo colto e raffinato, che per dei motivi non ben comprensibili perde i suoi averi, è costretto a fare qualunque mestiere e infine viene scritturato nel circo, dove una disgrazia gli frattura le gambe lasciandolo storpio. Poi al circo arrivano P'tit Oiseau e suo padre, e il resto della storia. M. Catalany, Il Circo Barletta, 1953, pag. 9 |
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