IL
ROMANZO POPOLARE DELL'OTTOCENTO
Romanzo storico, romanzo popolare, romanzo rosa: ecco tre generi letterari
assai diversi l'uno dall'altro ma che a volte si possono sovrapporre.
Il romanzo popolare per definizione tratta di argomenti contemporanei,
ma il romanzo storico può senz'altro essere anche popolare, e
basti per tutti il fulgido esempio de I tre moschettieri
di Alexandre Dumas, se proprio non vogliamo citare i cicli storici dei
romanzi di avventure di Sir Walter Scott; in ogni caso entrambi i generi
affondano le radici nel romanzo gotico.
Se il romanzo storico, oltre a narrare di fatti reali, propone virtù
e modelli, è perchè ha funzioni che esulano dalla pura
azione narrativa (tanto che ne I promessi sposi Alessandro
Manzoni spesso interrompe la narrazione per "dialogare" con
il lettore), il romanzo popolare nasce come puro strumento per divertire
il lettore e pertanto si guarda bene dal proporre modelli di eroismo
e descrive piuttosto dei caratteri realistici (e con questo ottiene
ciò che poi sarà il vero appannaggio del feuilleton, cioè
l'identificazione del lettore col personaggio per ricavarne le proprie
gratificazioni). Ecco dunque che il romanzo popolare viene discriminato
dalla letteratura alta, classica, poichè non inventa narrazioni
originali bensì propone una serie di situazioni già assodate
e amate dal pubblico, e in definitiva ricalca un modello standardizzato.
Il pubblico, a sua volta, è sovrano nel giudicare e quindi nel
determinare il successo di un titolo.
Il romanzo popolare si suole suddividere in tre gruppi: il primo periodo,
o periodo romantico-eroico (dal 1830 circa), vede la nascita del feuilleton
classico francese ma annovera anche scrittori del calibro di Honoré
de Balzac, che vi si ispira per la sua Comédie Humaine;
si tratta della nascita di una narrativa democratica, per la borghesia,
dove anche il pubblico femminile inizia a leggere romanzi: nasce un
tipo di pubblico che legge di se stesso. Il secondo periodo (dal 1870
circa) gode di un pubblico di lettori assai aumentato che comprende
anche la bassa borghesia e il popolino, reazionario e non di rado razzista;
a questo gruppo appartiene Carolina Invernizio (1860 - 1916) che mette
in scena il proletariato torinese, e tutti gli scrittori/scrittrici
di feuilleton a seguire, che non esitano ad usare persino la malavita
come sfondo narrativo (in particolare Bruno Sperani). V'è infine
un terzo periodo che inizia ai primi del Novecento ed è forse
un po' spurio, comprendendo anche il nascente genere giallo-avventuroso,
e dove maggiormente il feuilleton si stempera nel romanzo rosa.
Lo schema fisso del romanzo popolare presenta da una parte gli innocenti,
le vittime, impossibilitati a partecipare all'azione, e dall'altra i
dominatori (buoni o cattivi, più spesso in quest'ultima categoria);
il dominatore, da qualunque parte stia, usa metodi propri e non si cura
della società, se interpreta la parte del giustiziere non va
certo in tribunale, ma non esita a pugnalare con le propie mani il nemico
(o il cattivo). In ogni caso, è un eroe carismatico, scevro dalle
tentazioni, dotato di ferrea volontà e immensa fortitudo. Si
tratta del Conte di Montecristo, che non guarda in faccia nessuno e
compie silenziosamente, anno dopo anno, la propria vendetta. E naturalmente,
lo schema vuole che vi sia una costante lotta tra l'eroe positivo e
l'eroe negativo (valga per tutti la dicotomia D'Artagnan e Milady).
Nel feuilleton, che vira nel tragico se non nell'assurdo tutti i topoi
del romanzo popolare, l'opposizione non di rado è tra fratelli
nemici o tra padre e figlio (a scelta, padre crudele e figlio/a santificata,
o padre credulone e figlio/a degenere). E poichè la contraddizione
tra bene e male è una costante, il lettore - che nella vita reale
ha i suoi problemi da affrontare, problemi del tutto paragonabili a
quelli di cui legge - deve venir consolato dall'immancabile trionfo
del bene sul male, anche se il "bene" non è altro che
la morale corrente di stampo borghese, che difficilmente accetta la
redenzione del peccato: è per questo che l'eroe negativo deve
morire, chiunque esso sia. Fantine deve morire, perchè la morale
corrente non può accettare che una prostituta venga premiata
dal buon samaritano, al quale è invece permesso di salvarne la
figlia. Il bene e il male dunque nel romanzo popolare si estrinsecano
in una coppia di forze uguali e contrarie, e la struttura narrativa
si basa su l'unico tema della dominazione dell'una sull'altra. Possiamo
citare tra le coppie di questo tipo la Primula Rossa e Chauvelin oppure
Fantomas e Juve, che si apprende solo nel volume finale essere fratelli
(questo, tra l'altro, un notevole coup-de-théâtre).
Un romanzo straordinario è senza dubbio I Beati Paoli
di Luigi Natoli (Palermo, 14 aprile 1857 25 marzo 1941). Con
lo pseudonimo di William Galt egli lo scrive appositamente per Il
Giornale di Sicilia e lo pubblica a puntate dal 6 maggio 1909 al
2 gennaio 1910. Il successo è enorme. Natoli prende l'ispirazione
da una setta segreta dei tempi che furono, molto amata dal popolo, che
nell'immaginario collettivo è costituita da "giustizieri"
e non da "sicari"; per l'ambientazione il romanzo si potrebbe
definire anche storico, ed ha un'impeccabile struttura da feuilleton,
dosando sapientemente tutti quei fattori che, oltre a formare una narrazione
avvincente, alimentano le fantasticherie del "lettore del popolo",
inteso come colui che, affetto da complesso di inferiorità sociale,
si culla in fantasie su concetti di vendetta e punizione dei colpevoli
di mali sopportati, tramite la lettura dei romanzi popolari o feuilletons
(definizione data da Gramsci in Letteratura e vita nazionale,
Einaudi, 1952). Ciò che rende particolare questo romanzo è
che è stato scritto in un periodo dove il feuilleton era da tempo
tramontato, vale a dire che segue il modello del primo periodo
del romanzo popolare, scritto durante il terzo.
William
Galt,
I Beati Paoli,
La Madonnina, 1949
L'edizione in volume fu preceduta
da un'edizione uscita in dispense illustrata dal figlio Edgardo
Natoli.
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Luigi
Natoli,
I Beati Paoli,
Flaccovio, 1971
Il testo è preceduto da un'introduzione di Umberto Eco,
dalla quale abbiamo tratto alcuni concetti espressi in questa
pagina.
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RIDUZIONI CINEMATOGRAFICHE
I Beati Paoli fu trasposto in versione cinematografica nel
1947
con il titolo I cavalieri dalle maschere nere, regia Pino
Mercanti, con Massimo Serato, Otello Toso, Lea Padovani, Paolo Stoppa,
Paola Barbara;
nel 2007 è andato in scena a Palermo in versione teatrale
con la regia
di Giuseppe Di Pasquale al Teatro Nuovo Montevergini.
Coriolano della Floresta fu trasposto
in versione cinematografica
nel 1947
con il titolo Il principe ribelle, regia Pino Mercanti, con
Otello Toso, Mariella Lotti, Paolo Stoppa, Massimo Serato, Umberto
Spadaro.
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Il titolo
più famoso di Carolina Invernizio: La sepolta viva,
Salani, 1935,
ill. di Carlo Chiostri. Il sottotitolo reca: romanzo storico.
Carolina Invernizio (1851-1916) in una fotografia giovanile
La
denominazione di feuilleton inizialmente indica un tipo di pubblicazione
che abbina letteratura e giornalismo; è un modulo inventato dal
francese Emile de Girardin che a partire dal 1836 pubblica romanzi a puntate
in appendice ai giornali, ed è rivolta al popolo che dispone così
di romanzi al costo del giornale. Dato il tipo di lettori, i testi (inizialmente
di vario genere) presto diventano storie di tipo consolatorio e compensatorio,
imperniate sulla dicotomia buoni/cattivi, e situate in ambienti degradati
e squallidi. Maestro del genere è Octave Feuillet (1821-1890),
con
Il romanzo di un giovane povero. Dopo la seconda metà
del secolo le storie variano impercettibilmente fino ad accogliere ambientazioni
ricercate. Da allora, nella storia letteraria, per
indicare una certa tipologia di romanzo popolare si fa risalire il
termine feuilleton al nome di Feuillet, e non più alla parola
feuillet (che indica il foglio di giornale).
Octave
Feuillet nasce l'11 agosto 1821 a Saint-Lô (Manche, Normandia);
il padre Jacques è un noto avvocato con un impiego nell'amministrazione
pubblica, la madre muore ben presto. Frequenta il Lycée Louis-le
Grand a Parigi e si avvia alla diplomazia. Tuttavia avverte il desiderio
di darsi alle belle lettere, il che lo mette in contrasto con il
padre. Torna a Parigi dove si impiega come giornalista e inizia
a scrivere per il teatro. Più tardi il padre lo perdona,
anzi lo richiama presso di sé a Saint-Lô. Octave obbedisce
e nel 1851 sposa la cugina Valérie Marie Elvire Dubois (1832-1906),
anch'essa scrittrice; di questo primo periodo sono i migliori romanzi
di Octave Feuillet. Nel 1852 pubblica Bellah, sulla
Revue des deux mondes, e nel 1858 il titolo che lo renderà
immortale, non solo, ma darà il suo nome a tutto il genere,
Le roman d'un jeune homme pauvre. E' tornato a Parigi
sin dall'anno precedente, e l'immediato successo lo rende benvisto
alla corte del Secondo Impero, tanto che l'Imperatrice Eugenia interpreta
la parte di M.me de Pons in Les Portraits de la Marquise
in una rappresentazione privata a palazzo. La morte del figlio lo
fa ritornare in Normandia, dove, venduto il castello di famiglia,
acquista una casa, Les Paillers, dove vive per i seguenti quindici
anni. Nel 1862 viene eletto all'Académie Française
e nel 1868 viene designato bibliotecario del palazzo di Fontainebleau,
con l'obbligo di risiedervi per almeno due mesi l'anno. Preso da
crisi nervose, vende la casa di Saint-Lô, e torna di nuovo
a Parigi, dove muore il 29 dicembre 1890.
TITOLI:
La Petite Comtesse (1857)
Dalila (1857)
Le Roman d'un jeune homme pauvre (1858)
Sybille (1862)
Monsieur de Camors (1867)
Julia de Trécur
(1872)
Honneur d'artiste (1890)
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Un'analisi
approfondita dell'opera di Octave Feuillet è in
Jean-Marie Seillan "Stéréotypie et roman mondain:
l'uvre d'Octave Feuillet",
Loxias; Loxias 17 Littérature à stéréotypes
online alla pagina http://revel.unice.fr/loxias/document.html?id=1684
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Ottavio Feuillet,
Seconde Nozze, Salani, 1904;
in antiporta il ritratto dell'Autore.
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Octave
Feuillet,
Le roman d'un jeune homme pauvre, Calmann-Lévy,
1932
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Octave
Feuillet,
Il romanzo di un giovane povero,
Gennaro Monte, 1911
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Luigi
Natoli
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DAL
FEUILLETON AL ROMANZO ROSA
Abbiamo
tracciato a grandi linee la struttura del romanzo popolare, da cui deriva
il modello del feuilleton, il quale a sua volta origina quella vastissima
letteratura popolare che va da fine Ottocento ai giorni nostri sotto
il nome di romanzo rosa. Il romanzo rosa dunque assume la struttura
tipica del feuilleton, dove la coppia in antitesi è sempre quella
lui/lei e dove la risoluzione finale del conflitto non si ottiene con
la morte di uno dei due, bensì con la riconciliazione che origina
il lieto fine. Perchè se il feuilleton poteva originare finali
caratterizzati da catastrofi (fisiche, morali, esistenziali), il romanzo
rosa ha sempre un lieto fine. Tanto per eliminare un poco di confusione
di termini, il romanzo rosa è tuttora denominato feuilleton (e
pazienza se si perde la differenza) oppure romanzo d'appendice poichè
usava pubblicarlo a puntate in appendice a giornali e riviste, e a seconda
del gradimento dei lettori veniva in seguito pubblicato in volume. La
nascita del romanzo rosa non è ovviamente definibile con una
data precisa, non essendo precisi i confini del genre, anche
perchè gli autori di fine secolo XIX - pur considerati di alta
letteratura - possono cimentarsi nel feuilleton (un esempio per tutti,
Le lys rouge di Anatole France), così come autori
di romanzi popolari possono scivolare senza accorgersene nel rosa (ed
è il caso di George Ohnet, soprattutto nel titolo che lo ha reso
immortale, Le Maître de forges). Ma agli inizi del secolo
successivo il romanzo rosa prende piede tra il pubblico femminile, sempre
più ampio, e tramonta definitivamente il feuilleton. Le vicende
una volta tragiche si stemperano in conflitti di stampo sentimentale,
l'introspezione psicologica (tipica di un Paul Bourget) cede il posto
alle descrizioni paesaggistiche, la narrazione perde di nerbo e acquista
in leziosaggini. Ma il successo è strepitoso. La
Francia è ancora una volta patria del romanzo rosa (v. a fianco
LO SCHEMA) dove ai primi del Novecento Delly lo porta alle supreme vette
della semplificazione, che si limita allo schema innamoramento/conflitto/sposalizio
spesso privo di contorno.
Nel
Novecento appaiono anche i romanzi inglesi, di cui regina indiscussa
è Elynor Glyn, ma anche l'innovativa Berta Ruck che pone in scena
la dattilografa e lascia perdere conti e castelli (peraltro protagonisti
borghesi si erano già avuti con le narratrici tedesche, mentre
l'ambientazione nella nobiltà rimarrà nei tempi recenti
appannaggio della sola Barbara Cartland).
In Italia vengono prontamente dimenticate le autrici di romanzi popolari
di fine Ottocento perchè il pubblico apre le braccia a Liala,
autrice di regime, che si modernizza nei temini e nelle
situazioni, ed è considerata la regina indiscussa del genre,
tuttora ristampata.
Tutte le case editrici dei primi decenni del Novecento pubblicano romanzi
popolari, feuilletons
e romanzi rosa, che giungono tradotti in italiano
decenni dopo la loro comparsa in patria: ciò origina una certa
confusione editoriale nelle collane dedicate, nelle quali si confondono
allegramente i generi - e comprendiamo che all'epoca non si facessero
tante sottili differenze - e dove scivola a volte un classico che, per
l'argomento o per l'ambientazione storica, viene confuso col genere
popolare (un esempio per tutti, Ettore Fieramosca del
D'Azeglio, per non parlare de I promessi sposi del Manzoni).
Ci riferiamo in particolare a Salani con la Biblioteca
delle Signorine e a Sonzogno con la Biblioteca
Universale.
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LO
SCHEMA DEL ROMANZO ROSA
Il
romanzo rosa si definisce come tale per lo schema stereotipato del "conflitto
da risovere con lieto fine", che segue alcuni modelli di diversificazione
narrativa. Poichè la tipologia nasce in Francia, si ha un'ambientazione
aristocratica: i comprimari possono essere letterati, artisti, militari
di gran valore, pure badesse, etc., ma l'azione principale vede un lui
di vecchia e solida nobiltà e una lei altrettanto dotata di quarti
nobiliari (spesso impoverita). Raramente l'aristocratica convola con
un non aristocratico, ma in tal caso lui è dotato di tutte le
virtù, compresa un'angelica pazienza, nonché di un solido
patrimonio, e
lei è
povera: è
il caso del citato
Le Maître de forges, di Le port d'attache
di Léon de Tinseau, etc., dove il conflitto tra
i due protagonisti sta proprio nella disparità d'origine. Più
raro è il caso opposto: nulla spaventa di più la
tenera madre di una mésalliance dell'erede con una fanciulla
di origini borghesi, salvo perdonarle la bassa nascita quando lei si
rende protagonista di un gesto eclatante atto a salvare tutta la famiglia.
Un altro topos del romanzo rosa è il tradimento, ovviamente
femminile (all'epoca, agli uomini pur sposati era ben permesso frequentare
artiste di varietà o anche signore meno qualificate, con discrezione
s'intende).
A questo proposito potremmo definire feuilleton il romanzo dove il tradimento
viene espletato - con finale punitivo e tragico - e romanzo rosa quello
dove il tradimento viene solamente sospettato, con finale riconcliliativo.
Di nuovo, la differenza è sottile, e così abbiamo un Lecomte
du Nouy che si cimenta nell'uno e nell'altro schema, raggiungendo col
primo vette di scabrosità che all'epoca lo tennero ben lontano
dagli scaffali delle signorine per bene. Ma è Marcel Prévost
il maestro indiscusso del feuilleton con pruderie, che raggiunge
l'immortalità con
Les demi-vierges.
Il romanzo rosa è comunque mondano, nel senso che pone l'azione
in quel "bel mondo" di cui possono godere solamente i nobili,
che nulla fanno per vivere in quanto ben forniti di rendite, e che per
passare il tempo si occupano dei castelli, delle cacce, di "ricerche
storiche", riscrivono la genealogia della propria casata, e - se
proprio sono dotati - dipingono o suonano il violino. Se vivono a Parigi,
vanno a teatro. Nulla ci viene detto della situazione politica, della
forma di governo: i romanzi rosa sono senza tempo. Quanto alla moglie
del nobile, il suo scopo nella vita è di resistere alla seduzione
prima, e di trovare un buon marito per la figlia poi; salvo incarnare
la figura della martire quando la narrazione esige che sia perennemente
distesa sulla poltrona, esangue e moribonda.
E poi c'è un altro modello, quello del conflitto suscitato dal
"terzo" che si incunea tra lui e lei suscitando il problema.
Le tipologie variano, in quanto il "terzo" può essere
un rivale, un semplice tentatore, un primo coniuge, una figlia, una
persona cattiva. Se Feuillet nel suo ultimo romanzo Honneur d'artiste
punisce
tutti e tre i protagonisti, e Ohnet fa altrettanto in Les dames
de Croix-Mort secondo la ferrea legge del feuilleton, Delly
- che non concepisce il male - in L'esiliata fa sostenere
tutta la parte del terzo incomodo al semplice ricordo della prima moglie
(e il pensiero
corre a Rebecca...). Un terzo incomodo può anche scalzare
l'amore materno/filiale, come in André Cornelis
di Bourget o Nous deux di Suzanne Martinon, entrambi con
finale amaro, il primo poichè a tradire è la madre, il
secondo poichè a tradire è il figlio.
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IL
ROMANZO POPOLARE/FEUILLETON/ROMANZO ROSA ITALIANO
Dopo
Carolina Invernizio, tutte si mettono a scrivere. E sono tante.
Distinguere in queste autrici il romanzo popolare dal feuilleton non
è sempre facile; e se la narrazione vira al sentimentale, non
è facile distinguere il feuilleton dal romanzo rosa propriamente
detto (per intenderci, quello dove trionfa l'Amore). Ciascuna di loro
si è cimentata nell'uno e nell'altro. Tutte intendono produrre
il romanzo sentimentale, sebbene il periodo storico entro il quale operano
le portino ad interpretare in senso "borghese" il mito romantico
d'amore e morte, con la difesa (ad oltranza) dei valori codificati e
con il conseguente finale punitivo per ogni trasgressione. Le loro eroine
sono delle vinte, abbattute dalla vita, dalla personalità preponderante
dell'altro, da loro stesse perchè deboli. Alcune scrittrici tuttavia
non si arrendono a questo cliché e producono opere più
trasgressive, e spesso queste autrici sono più propriamente poetesse;
altre ancora si dedicano in gran parte alla letteratura per l'infanzia.
Si trovano elencate alla pagina:
scrittrici dimenticate
Un po' tutte il feuilleton, se non lo scrivono, lo interpretano con
la loro propria esistenza, raggiungendo vertici di follia che le trasformano
in vere e proprie eroine da romanzo. Inoltre, essendo tutte più
o meno contemporanee, si conoscono bene tra di loro, collaborando spesso
alle medesime testate; alcune sono amiche, altre si detestano.
Abbiamo limitato la scelta ai nomi più noti - c'è anche
un Nobel Prize - e soprattutto a coloro che seguono un percorso letterario
ben definito, e che possono a ben diritto entrare nella storia della
letteratura, nonostante siano oggi assai snobbate dalla critica; e abbiamo
aggiunto qualche nome oggi dimenticato ma che a suo tempo ha avuto una
certa notorietà. Semmai, in questo excursus l'intrusa è
Liala per una semplice questione anagrafica, che però correva
l'obbligo di inserire perchè è la regina incontrastata
del romanzo rosa italiano di tutto il Novecento.
La
Biblioteca delle Signorine Salani
i più bei romanzi rosa mai scritti
TESTO:
© copyright Elena Malaguti, maggio 2008
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Paul
Bourget,
Andrea Cornelis,
Salani, 1927,
ill. interne di G. Starace
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Anatole
France,
Le Lys Rouge,
Calmann-Lévy, 1905
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Marcel
Prévost,
Les Demi-Vierges,
Lemerre, 1895
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